NOTIZIARIO del 2 aprile 2003

Le critiche dell'Economist all'Italia

Sono tre gli articoli che l'Economist oggi in edicola dedica all'Italia. E in nessuno dei tre e' prodigo di complimenti.

Nel primo si parla del disperato azzardo di Berlusconi che, dall'ultima trincea, s'illude, probabilmente invano, di resuscitare un'economia ormai moribonda. Il Presidente del Consiglio viene dipinto a parole e in una vignetta come un eroe di cappa e spada mentre, gia' con le spalle al muro, riesce a schivare un gruppo di assalitori saltando di slancio su un lampadario che pende dal soffitto.

La mossa viene equiparata all'ultima trovata di Berlusconi che ha promesso di tagliare le tasse, ritenendolo il modo migliore per rimettere in sesto l'economia e le proprie fortune politiche. Ma i suoi nemici, e anche alcuni alleati, si chiedono se non sia piu' probabile una rovinosa caduta.

Dopo lo sciopero generale del 26 marzo indetto dai lavoratori delusi per il mancato miracolo e le promesse non mantenute, si e' manifestata la vera preoccupazione degli elettori: non le riforme, anche se impopolari, ma l'economia ormai in stallo. E' il problema che dominera'in giugno le prossime elezioni, Europee e locali, che potrebbero decidere le sorti del governo Berlusconi.

Dopo tutto, la vera, o meglio l'unica, ragione per eleggere un soggetto con delle credenziali politiche dubbie, stava nella speranza che, trattandosi di un uomo d'affari di successo, avrebbe saputo come fare per rilanciare l'economia. E invece l'Italia e' in stagnazione completa.

E se questo era perdonabile finche' il resto dell'Europa e del mondo era nella stessa situazione non lo e' ora, nel momento in cui si assiste ad un miglioramento globale e ad un barlume di crescita anche in Europa.

Dopo la promessa di tagliare le tasse, Berlusconi ha promesso anche di ridurre i giorni di vacanza, ma, dopo le proteste delle Chiesa Cattolica, ha astutamente trasformato il progetto in un piano per spostare le festivita' pubbliche alla fine o all'inizio della settimana allo scopo di impedire i "ponti".

L'Economist fatica a vedere in questi provvedimenti una seria riforma economica, nonostante Berlusconi dichiari di metter in gioco in questo programma il proprio futuro politico, e critica la sua abitudine di prendere in contropiede i partners della coalizione non meno dei rappresentanti dell'opposizione.

Dopo aver descritto i particolari della manovra, il settimanale inglese riporta i pareri di alcuni esperti. Nick Elsinger, che segue l'Italia per Fitch Ratings, la vede come un atto di fede che presenta parecchi rischi. Vincenzo Guzzo, della Morgan Stanley, teme che, se i tagli fossero percepiti dalla gente come fonte di un peggioramneto del deficit, si scatenerebbe la corsa al risparmio piu' che la corsa agli acquisti.

Alcuni credono che i problemi italiani abbiano radici piu' profonde: troppo poche le grandi aziende, troppa "regulation", poca concorrenza, e investimenti insufficienti nelle nuove tecnologie. Secondo Francesco Giavazzi, dell'Universita' Bocconi, il problema italiano e' antico perche', dopo la crisi petrolifera degli anni '70, l'espansione italiana fu dovuta dapprima ad una incauta spesa pubblica negli anni '80, e, in seguito, alla svalutazione degli anni '90. Essendo queste due opzioni oggi impossibili, i problemi vengono a galla. E se questa analisi fosse azzeccata, altro che tagli alle tasse!

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Nel secondo articolo che ci viene dedicato questa settimana, l'Economist se la prende con Romano Prodi, che invece di occuparsi dell'Europa, si impegnerebbe troppo negli affari della politica italiana.

Ha incontrato Rutelli a Strasburgo per piu' di un'ora, e gli ha dato ordini precisi su chi deve fare che cosa, mentre come Presidente della Commissione Europea, dovrebbe essere al di sopra delle parti e non occuparsi della politica nazionale. Altri personaggi, come Pedro Solbes, Anna Diamantopoulou, e Michel Barnier hanno dato le dimissioni quando hanno deciso di tornare ad occuparsi dei rispettivi Paesi.

Prodi - dice il settimanale britannico - resta ben ancorato alla propria carica godendo del prestigio che gliene deriva, ma, contemporaneamente, lancia in patria nuove alleanze elettorali, organizza incontri come quello con Rutelli, e scrive sul Corriere della Sera che, se il centro-sinistra fosse al governo in Italia, i soldati italiani verrebbero fatti rimpatriare.

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Nel terzo e ultimo articolo l'Economist si occupa della situazione della satira in Italia.

Dal "teatro politico" lanciato dai parlamentari italiani dell'opposizione con lo spettacolo "Il Partito d'Amore" (storpiatura britannica per "Il Partito dell'Amore") che gira di teatro in teatro (causa accesso interdetto alla televisione in un paese in cui sei canali sono di proprieta' o sotto il controllo del primo ministro), alle peripezie di Sabina Guzzanti, alle traversie di Daniele Luttazzi, a quelle di Dario Fo, tutti ostracizzati, impegnati quasi sempre in teatri di fortuna o in televisioni improvvisate, e sempre inseguiti da denunce di varia natura.

Ormai, pero', secondo Gianluigi Melega, nemmeno il teatro si puo' piu' considerare un rifugio sicuro. Melega aveva scritto il libretto per "Mr. Me", un'opera in un atto, in inglese, su un politico ricchissimo ed egomaniaco.

Melega sostiene che, dopo aver avuto conferma che l'opera avrebbe inaugurato il festival di musica contemporanea di Venezia, in ottobre, gli e' stato comunicato che "per motivi finanziari" lo spettacolo sarebbe stato accantonato. Secondo Melega l'opera si sarebbe potuta montare praticamente a costo zero, impiegando gli anticipi ricevuti con le prenotazioni.

Il direttore del festival ha risposto che, per motivi di costo, il festival sarebbe stato totalmente dedicato alla musica per orchestra e che, quindi, "Mr. Me" non poteva piu' trovare una collocazione nel suo progetto artistico".

by www.osservatoriosullalegalita.org

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