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NOTIZIARIO del 21
gennaio 2004
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Sentenza
24 del 2004 della Corte Costituzionale sull'illegittimita' del Lodo Schifani
Considerato in diritto 1. Il Tribunale di Milano solleva questione di legittimità costituzionale del comma 2, in relazione al comma 1, dell'art. 1 della legge 20 giugno 2003, n.140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), il quale, fatti salvi gli articoli 90 e 96 della Costituzione, dispone la sospensione, dall'entrata in vigore della legge stessa, dei processi penali in corso nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato della Repubblica, Presidente della Camera dei deputati, Presidente del Consiglio dei ministri, Presidente della Corte costituzionale), in ogni fase, stato o grado, per qualsiasi reato, anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime. Secondo il giudice remittente la norma censurata, nello stabilire per i processi suindicati la sospensione automatica, generalizzata e senza prefissione di un termine finale, viola l'art. 3 Cost., anzitutto con riguardo all'art. 112 Cost., che sancisce il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale; in secondo luogo con riferimento agli artt. 68, 90 e 96 Cost., in quanto attribuisce alle persone che ricoprono una delle menzionate alte cariche dello Stato una prerogativa non prevista dalle citate disposizioni della Costituzione, che verrebbero quindi ad essere illegittimamente modificate con legge ordinaria, in violazione anche dell'art. 138 Cost., disposizione questa che il remittente non indica nel dispositivo dell'ordinanza, ma cita in motivazione ed alla quale fa implicito ma chiaro riferimento in tutto l'iter argomentativo del provvedimento; infine viola gli artt. 24, 111 e 117 Cost., perché non consente l'esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato e delle parti civili, in contrasto anche con la Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. 2. In via preliminare si osserva che l'astensione dei magistrati componenti del collegio presso il quale era incardinato il processo penale e che ha sollevato la presente questione incidentale non ha influenza sulla rilevanza e quindi sull'ammissibilità della medesima. L'astensione, infatti, non comporta la regressione del giudizio ad una fase preprocessuale, tale da escludere l'immediata applicazione della norma da scrutinare. E' opportuno soggiungere che, secondo il principio affermato dall'indirizzo di gran lunga prevalente di questa Corte (v., ex plurimis, ordinanze n. 270 del 2003, n. 383 del 2002, n. 110 del 2000, sentenze n. 171 del 1996 e n. 300 del 1984), le vicende del giudizio a quo non incidono sullo svolgimento del processo costituzionale, caratterizzato dall'interesse generale alla risoluzione della prospettata questione. Né si può aderire alla tesi difensiva secondo la quale, non essendovi altri processi pendenti nei quali potrebbe ipotizzarsi l'applicazione della norma censurata, non sarebbe configurabile alcun interesse generale cui riferirsi. Non soltanto, infatti, non è provata tale situazione, ma la tesi non tiene conto del rilievo secondo cui la disposizione in oggetto (comma 2 dell'art. 1 della legge n. 140 del 2003) ha carattere di transitorietà anche rispetto alla norma - non espressamente formulata ma necessariamente desumibile - la quale impone l'immediata sospensione di quei processi penali nei quali dovesse verificarsi in qualsiasi momento la coincidenza della qualità d'imputa to con quella di titolare di una delle cinque alte cariche indicate nel comma 1 dello stesso art. 1. La questione, pertanto, non riguarda soltanto il processo in cui è stata sollevata, ma ha valenza generale, sicché dev'essere esaminata nel merito. 3. Per rispondere agli interrogativi posti dall'ordinanza di rimessione occorre, in primo luogo, definire quali siano la natura, la funzione e la portata della normativa impugnata. Essa riguarda una sospensione del processo penale, istituto che si sostanzia nel temporaneo arresto del normale svolgimento del medesimo ed è oggetto non di una disciplina generale, bensì di specifiche regolamentazioni dettate con riguardo alla diversità dei presupposti e delle finalità perseguite. Le sospensioni possono essere così raggruppate: a) sospensioni per l'esistenza di una pregiudiziale (costituzionale, comunitaria, civile, amministrativa, tributaria etc.); b) sospensioni dovute all'instaurazione di procedimenti incidentali finalizzati ad assicurare la terzietà del giudice o la serenità dello svolgimento del processo (ricusazione, rimessione); c) sospensioni per il compimento di atti e comportamenti che possono influire sull'esito del processo in modo tale da rendere tale esito, nella valutazione del legislatore, preferibile rispetto a quelli prevedibili sulla base del normale svolgimento del processo stesso (come avviene per l'affidamento in prova dell'imputato nel processo minorile e per il compimento delle riparazioni, delle restituzioni e del risarcimento del danno nel processo davanti al giudice di pace); d) sospensioni per ragioni soggettive, quali quella dipendente dalla condizione dell'imputato che per infermità di mente non è in grado di partecipare coscientemente al processo, e quella degli appartenenti a reparti mobilitati prevista dall'art. 243 del codice penale militare di guerra. Se si prescinde da quest'ultima, peraltro prevista in un testo risalente (regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303), mai sottoposto a scrutinio di costituzionalità e soprattutto connesso ad una situazione eccezionale quale lo stato di guerra, le altre sospensioni soddisfano esigenze del processo e sono finalizzate a realizzare le condizioni perché esso abbia svolgimento ed esito regolari, anche se ciò può comportare la temporanea compressione dei diritti che vi sono coinvolti. Ciò vale anche per la sospensione stabilita per l'ipotesi dell'imputato incapace, perché la capacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo è aspetto indefettibile del diritto di difesa senza il cui effettivo esercizio nessun processo è immaginabile, come questa Corte ha affermato fin dai primi anni della sua attività (cfr. sentenze n. 59 del 1959 e n. 354 del 1996). Da quanto fin qui esposto emerge che la sospensione, di solito prevista per situazioni oggettive del processo, è funzionale al suo regolare proseguimento. Ciò non significa che quello delle sospensioni sia un sistema chiuso e che il legislatore non possa stabilire altre sospensioni finalizzate alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali, ma implica la necessità di identificare i presupposti di tali sospensioni e le finalità perseguite, eterogenee rispetto a quelle proprie del processo. 4. La situazione cui si riconnette la sospensione disposta dalla norma censurata è costituita dalla coincidenza delle condizioni di imputato e di titolare di una delle cinque più alte cariche dello Stato ed il bene che la misura in esame vuol tutelare deve essere ravvisato nell'assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche. Si tratta di un interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale. E' un modo diverso, ma non opposto, di concepire i presupposti e gli scopi della norma la tesi secondo la quale il legislatore, considerando che l'interesse pubblico allo svolgimento delle attività connesse alle alte cariche comporti nel contempo un legittimo impedimento a comparire, abbia voluto stabilire una presunzione assoluta di legittimo impedimento. Anche sotto questo aspetto la misura appare diretta alla protezione della funzione. Occorre ora accertare e valutare come la norma incida sui principi del processo e sulle posizioni e sui diritti in esso coinvolti. 5. La sospensione in esame è generale, automatica e di durata non determinata. Ciascuna di siffatte caratteristiche esige una chiarificazione. La sospensione concerne i processi per imputazioni relative a tutti gli ipotizzabili reati, in qualunque epoca commessi, che siano extrafunzionali, cioè estranei alle attività inerenti alla carica, come risulta chiaro dalla espressa salvezza degli artt. 90 e 96 della Costituzione. Essa è automatica nel senso che la norma la dispone in tutti i casi in cui la suindicata coincidenza si verifichi, senza alcun filtro, quale che sia l'imputazione ed in qualsiasi momento dell'iter processuale, senza possibilità di valutazione delle peculiarità dei casi concreti. Infine la sospensione, predisposta com'è alla tutela delle importanti funzioni di cui si è detto e quindi legata alla carica rivestita dall'imputato, subisce, per quanto concerne la durata, gli effetti della reiterabilità degli incarichi e comunque della possibilità di investitura in altro tra i cinque indicati. E non è fondata l'obiezione secondo la quale il protrarsi dell'arresto del processo sarebbe da attribuire ad accadimenti e non alla norma, perché è questa a consentire l'indefinito protrarsi della sospensione. 6. Da quanto detto emerge anzitutto che la misura predisposta dalla normativa censurata crea un regime differenziato riguardo all'esercizio della giurisdizione, in particolare di quella penale. La constatazione di tale differenziazione non conduce di per sé all'affermazione del contrasto della norma con l'art. 3 della Costituzione. Il principio di eguaglianza comporta infatti che, se situazioni eguali esigono eguale disciplina, situazioni diverse possono implicare differenti normative. In tale seconda ipotesi, tuttavia, ha decisivo rilievo il livello che l'ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversità può venire in considerazione. Nel caso in esame sono fondamentali i valori rispetto ai quali il legislatore ha ritenuto prevalente l'esigenza di protezione della serenità dello svolgimento delle attività connesse alle cariche in questione. Alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, il cui esercizio, nel nostro ordinamento, sotto più profili è regolato da precetti costituzionali. L'automatismo generalizzato della sospensione incide, menomandolo, sul diritto di difesa dell'imputato, al quale è posta l'alternativa tra continuare a svolgere l'alto incarico sotto il peso di un'imputazione che, in ipotesi, può concernere anche reati gravi e particolarmente infamanti, oppure dimettersi dalla carica ricoperta al fine di ottenere, con la continuazione del processo, l'accertamento giudiziale che egli può ritenere a sé favorevole, rinunciando al godimento di un diritto costituzionalmente garantito (art. 51 Cost.). Ed è appena il caso di osservare che, in considerazione dell'interesse generale sotteso alle questioni di legittimità costituzionale, è ininfluente l'atteggiamento difensivo assunto dall'imputato nella concretezza del giudizio. Sacrificato è altresì il diritto della parte civile la quale, anche ammessa la possibilità di trasferimento dell'azione in sede civile, deve soggiacere alla sospensione prevista dal comma 3 dell'art. 75 del codice di procedura penale. 7. Si è affermato, per sostenere la legittimità costituzionale della legge, che nessun diritto è definitivamente sacrificato, nessun principio costituzionale è per sempre negletto. La tesi non può essere accolta. All'effettività dell'esercizio della giurisdizione non sono indifferenti i tempi del processo. Ancor prima che fosse espressamente sancito in Costituzione il principio della sua ragionevole durata (art. 111, secondo comma), questa Corte aveva ritenuto che una stasi del processo per un tempo indefinito e indeterminabile vulnerasse il diritto di azione e di difesa (sentenza n. 354 del 1996) e che la possibilità di reiterate sospensioni ledesse il bene costituzionale dell'efficienza del processo (sentenza n. 353 del 1996). 8. La Corte ritiene che anche sotto altro profilo l'art. 3 Cost. sia violato dalla norma censurata. Questa, infatti, accomuna in unica disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni e distingue, per la prima volta sotto il profilo della parità riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti. Né vale invocare, come precedente e termine di comparazione, l'art. 205 cod.proc.pen. il quale disciplina un aspetto secondario dell'esercizio della giurisdizione, ossia i luoghi in cui i titolari delle cinque più alte cariche dello Stato possono essere ascoltati come testimoni. Non è superfluo soggiungere che, mentre vengono fatti salvi gli artt. 90 e 96 Cost., nulla viene detto a proposito del secondo comma dell'art. 3 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, che ha esteso a tutti i giudici della Corte costituzionale il godimento dell'immunità accordata nel secondo comma dell'art. 68 Cost. ai membri delle due Camere. Ne consegue che si riscontrano nella norma impugnata anche gravi elementi di intrinseca irragionevolezza. La questione è pertanto fondata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Resta assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale. 9. La disposizione direttamente impugnata si inserisce in un contesto normativo le cui articolazioni, per quanto riguarda i primi due commi - che si riferiscono, rispettivamente, alle due situazioni della non sottoponibilità a processo e della sospensione dei processi eventualmente già in corso - sono dirette alla medesima, sostanziale finalità, hanno lo stesso ambito soggettivo di applicazione ed entrano in contrasto con gli stessi precetti costituzionali. Pertanto, in via conseguenziale ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimità costituzionale deve estendersi anche ai commi 1 e 3, non direttamente impugnati, dell'art. 1 della legge n. 140 del 2003: al comma 1 per le ragioni appena dette, ed al comma 3, concernente la sospensione della prescrizione per il tempo di applicazione delle misure di cui ai primi due commi, perché lo stesso, caducati i precedenti, non ha alcuna autonomia applicativa. Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riservata a separata decisione la questione di legittimità costituzionale dell'art. 110, quinto comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), sollevata dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe; dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n.140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato); dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 3, della predetta legge n. 140 del 2003. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2004. ___________________ I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE COPIATI CITANDO E LINKANDO LA FONTE
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