NOTIZIARIO del 26 ottobre 2004

 
     

Imparzialita' del magistrato : il CSM condanna

CSM - Sentenza del 19.9.2003/23.3.2004 n. 85/2003 Reg. dep. - Presidente Buccico - Estensore Salmè.

Doveri del magistrato: impazialità. Mancata astensione da parte di Gip.

Illecito disciplinare. Sussiste.

Commette illecito disciplinare, da sanzionare con l'ammonimento, il magistrato che, in qualità di Gip, ometta di astenersi dalla trattazione di alcuni procedimenti penali nei quali risulti difensore, ed in uno indagato, un avvocato legato al magistrato incolpato da una relazione sentimentale. i n c o l p a t a della violazione dell'art. 18 R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, per aver violato il dovere di correttezza, trasparenza e terziarietà nella trattazione dei procedimenti a lei affidati rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere e così compromettendo il prestigio delle funzioni esercitate. In particolare la d.ssa XXXXX, in qualità di G.I.P. presso il Tribunale di ------, ometteva di astenersi dalla trattazione di alcuni procedimenti penali nei quali risultava difensore l'avv. ******nonché del procedimento n. …. a carico di ……. ed altri nel quale l'avv. ****** risultava difensore di +++++ ed esso indagato, malgrado ne sussistessero gravi motivi di convenienza rappresentati dalla esistenza di una relazione sentimentale intrattenuta col detto avvocato ****** del foro di -------.

In detto procedimento la d.ssa XXXXXXXX presentava istanza di astensione solo in data 11.10.2001 e cioè in fase avanzata e cioè dopo aver provveduto all'interrogatorio dell'indagato assistito dall'****** e disposto la scarcerazione di questi diversamente da quanto avvenuto per gli altri indagati del pari assoggettati a custodia cautelare. Svolgimento del procedimento Con nota del 15 novembre 2001 il vice presidente del C.s.m. inviava al Ministro della giustizia e al procuratore generale presso la Corte di cassazione un'informativa del presidente del tribunale di -------, alla quale era allegata una nota in data 7 novembre 2001 del procuratore della Repubblica presso lo stesso tribunale. Con tale nota il procuratore della Repubblica, riportando notizie riferite dal sostituto dott. +++++, segnalava che aveva provveduto a iscrivere nel registro degli indagati la dott.ssa XXXXXX, giudice delle indagini preliminari, in quanto dalle indagini relative al procedimento penale a carico di ….. ed altri erano emersi comportamenti della stessa XXXXXXX che potevano configurare il reato di abuso d'ufficio. Copia degli atti era stata trasmessa alla procura della repubblica di ……, competente ex art. 11 c.p.p.

Il procuratore della Repubblica esponeva che la dott.ssa XXXXXXX aveva emesso il 21 luglio 2001 provvedimenti cautelari di arresti domiciliari nei confronti di cinque indagati del reato di bancarotta, tra i quali tal YYYYYY, difeso dall'avv. *******, professionista con il quale la dott.ssa XXXXXX aveva una relazione sentimentale. Su richiesta dell'avv.****** la dott.ssa XXXXXX aveva, senza motivazione, trasformato la misura cautelare degli arresti domiciliari in obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, ma il tribunale della libertà, su impugnazione del p.m., aveva ripristinato l'originaria misura cautelare. Nel corso delle indagini successivamente svolte anche nei confronti dell'avv. *******, a seguito della sua iscrizione nel registro degli indagati per il reato di bancarotta, era emerso che nel periodo oggetto di dette indagini erano intercorse numerosissime telefonate tra il cellulare dell'indagato e quello della dott.ssa XXXXX.

Inoltre, da un'annotazione di un ufficiale di polizia giudiziaria, che aveva assistito all'interrogatorio di tale YYYYY, risultava che al termine di detto interrogatorio l'indagato aveva detto all'ufficiale di p.g. "cosa volete che vada a dire che mi è stato chiesto di cambiare avvocato che questo mi danneggia e che loro si vantano che hanno avvocati che vanno a letto con i giudici". Nel corso di un ulteriore interrogatorio il YYYYYY aveva anche dichiarato che l'avv. ******, recatosi al suo domicilio, dopo l'esecuzione della misura cautelare nei suoi confronti, gli aveva riferito che la sua relazione con la dott.ssa XXXXXXX era nota nell'ambiente e che la stessa già un anno prima aveva chiesto al presidente del tribunale di potersi astenere nei procedimenti nei quali egli era difensore.

L'avv. ******, infine, nel corso del suo interrogatorio davanti al p.m. affermava di avere appreso dell'esistenza dell'ordinanza che disponeva la misura cautelare nei confronti del …… prima dell'esecuzione e di avere concordato con la Guardia di finanza l'esecuzione della misura. Tale circostanza era confermata da un'informativa della Guardia di Finanza. Nella nota di trasmissione dell'informativa del procuratore della Repubblica di ------- il presidente del tribunale affermava anche che la relazione tra l'avv. ****** e la dott.ssa XXXXXX era conosciuta in tutto l'ambito del tribunale, ma non era trapelata all'esterno. Dalla relazione del dott.XXXXXX al procuratore della Repubblica in data 17 ottobre 2001 risultava, infine, che negli ultimi mesi del 2000 la dott.ssa XXXXXXX aveva chiesto al presidente del tribunale l'autorizzazione ad astenersi nei procedimenti in cui l'avv. ****** era difensore e che tale lettera era stata trasmessa alle cancellerie del tribunale, divenendo in tal modo di pubblico dominio. Dalla stessa relazione risultava anche che, in realtà, la dott.ssa XXXXXX non si era astenuta nei procedimenti nei quali l'avv. ****** aveva svolto funzioni di difensore.

In data 17 gennaio 2002 il procuratore generale ha esercitato l'azione disciplinare contestando alla dott.ssa XXXXXX l'illecito in epigrafe trascritto. Nell'interrogatorio reso il 7 maggio 2002 al procuratore generale presso la Corte di cassazione la dott. ssa XXXXXX ha dichiarato, innanzi tutto di riportarsi ad analogo interrogatorio reso il 22 marzo 2002 al procuratore della Repubblica di …... Nel corso di tale interrogatorio l'incolpata, dopo avere ricordato che a partire dai primi giorni del novembre del 2000 aveva iniziato una relazione sentimentale con l'avv. *******, ha dichiarato di avere rappresentato la situazione al presidente del tribunale, che si era limitato a far pervenire la nota scritta con la quale chiedeva di essere autorizzata ad astenersi, alla cancelleria, ma che questa determinazione non era idonea a evitare l'assegnazione di procedimenti nei quali l'avv. ****** svolgeva funzioni di difensore, perché per la ristrettezza dei termini, ad esempio in materia di convalida di arresti, la cancelleria non era in grado di controllare chi era il difensore. In effetti, pochi giorni dopo la segnalazione al presidente del tribunale, era accaduto che l'avv. ******* era stato nominato difensore di una persona arrestata e l'incolpata aveva pregato l'altro g.i.p., dott. ZZZZZ, di sostituirla.

Insieme al dott.ZZZZZZ si era poi nuovamente recata dal presidente del tribunale il quale si era limitato a chiederle se si sentiva tranquilla nello svolgere le sue funzioni e, avuta risposta positiva, non aveva adottato alcuna misura per evitare situazioni d'incompatibilità. Si era anche verificato che in alcuni procedimenti trattati dall'incolpata come giudice penale monocratico l'avv. *******, essendo l'unico legale presente nell'aula di udienza, era stato nominato difensore d'ufficio e che verso la metà di gennaio del 2001 lo stesso avv. ****** aveva iniziato a parlarle del merito di un procedimento assegnato alla dott. ssa XXXXXXX e che la stessa lo aveva interrotto. Verso la fine del gennaio 2001 la relazione con l'avv. ******* entrò in crisi, trasformandosi da rapporto sentimentale in semplice amicizia.

Nei primi giorni del luglio del 2001, mentre era in compagnia dell'avv. ****** al bar, a seguito della sua lamentela per l'eccessivo lavoro anche con riferimento all'esame di una richiesta di intercettazione telefonica, l'avvocato le chiese se detta intercettazione riguardava il processo """"" e lei rispose che riguardava altro. Inoltre, dopo l'esecuzione delle misure cautelari degli arresti domiciliari nell'ambito del processo contro il """" e altri, l'avv. ***** iniziò a parlarle del processo e lei lo interruppe. Questo episodio provocò il suo risentimento e contribuì ad allontanarla dall'avv. ******. Quanto all'attenuazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del +++++ l'incolpata ha precisato che analoga misura aveva adottato anche nei confronti di altro indagato e che il provvedimento era stato adottato l'ultimo giorno utile il che giustificava la particolare stringatezza.

Ha inoltre precisato che a seguito dell'iscrizione dell'avv. ****** nel registro degli indagati per bancarotta nell'ambito dello stesso processo riuscì ad ottenere, dopo molta insistenza, l'autorizzazione ad astenersi da parte del presidente del tribunale. L'incolpata ha anche negato di avere parlato con l'avv. ****** della misura cautelare nei confronti del +++++ prima dell'esecuzione e che le opposte dichiarazioni dell'avv. ***** non rispondevano a verità. Nell'interrogatorio reso al procuratore generale della cassazione la dott.ssa XXXXXX ha aggiunto che: a) sulla sua prima richiesta di autorizzazione ad astenersi del 10 novembre 2000 il presidente del tribunale aveva deciso di limitarsi a trasmetterla alla cancelleria del giudice monocratico per evitare che, a causa della propalazione della notizia della relazione sentimentale la moglie dell'avv. ***** potesse avere reazioni; b) la stringatezza della motivazione dell'ordinanza con la quale aveva trasformato gli arresti domiciliari del +++++ in obbligo di presentazione al p.m. era giustificata dalla circostanza che tale provvedimento venne depositato l'ultimo giorno del termine previsto dalla legge.

Con decreto del 27 maggio 2003, su conforme richiesta del p.m., il g.i.p di ….. ha disposto l'archiviazione del procedimento per i reati di cui all'art. 326 e 323 c.p. Il g.i.p. ha osservato, quanto alla rivelazione di segreto d'ufficio, contestata in relazione al sospetto che la dott.ssa XXXXX avesse informato l'avv. ***** della richiesta del p.m. di emissione di misura cautelare nei confronti del +++++, che era rimasto provato che, in un momento anteriore all'esecuzione della misura cautelare, alla domanda rivoltale dall'avv. ***** se il p.m. le avesse chiesto l'emissione di tale misura la dott. ssa XXXXXX aveva risposta con imbarazzo "non posso dire nulla, non farmi parlare" e che da tale risposta l'avv. ***** aveva dedotto che in effetti la richiesta del p.m. esisteva. Ma il comportamento dell'incolpata non configurava né rivelazione né agevolazione colposa della violazione del segreto. Quanto, invece, alla trasformazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del +++++ in obbligo di presentazione alla p.g., in relazione alla quale era stato ipotizzato il reato di cui all'art. 323 c.p., il g.i.p. ha ritenuto che, pur essendo il provvedimento, sprovvisto di motivazione, spiegabile alla stregua delle risultanze dell'interrogatorio, in assenza di qualsiasi ulteriore indagine che avesse potuto attenuare il pericolo di recidiva, non vi era alcun elemento dal quale si potesse desumere che al +++++, all'***** o alla XXXXX fosse derivato un ingiusto vantaggio patrimoniale o che ad altri fosse derivato un ingiusto danno.

All'esito dell'istruttoria il procuratore generale ha chiesto la fissazione della discussione orale.

Motivi della decisione

1. La disciplina dell'astensione del giudice trova fondamento nell'esigenza di garantirne l'imparzialità e la terzietà, che, anche alla luce del novellato art. 111 Cost., costituiscono requisiti essenziali del giusto processo e quindi della giurisdizione. Per questa ragione, secondo l'orientamento costantemente seguito da questa sezione e dalla Corte di cassazione, il dovere deontologico di astensione non è limitato alle sole ipotesi nelle quali è imposto dalla legge ma ha una portata più ampia e si estende a tutte le fattispecie in cui l'astensione stessa è solo consigliata dalle circostanze del caso concreto che rendano prevedibili sospetti di compiacenza o parzialità nell'esaminare e decidere una determinata questione, così da compromettere il prestigio del magistrato e dell'ordine giudiziario (così Cass., 25 marzo 1988, n. 2584). Conseguentemente si è ritenuto che la violazione dell'obbligo di astensione in presenza di gravi ragioni di convenienza integra una violazione di regole basilari della deontologia professionale nello svolgimento dell'attività giudiziaria e pertanto la lesione del prestigio dell'ordine giudiziario è in re ipsa e deve essere ravvisata sulla base del mero accertamento della violazione (Cass. 24 gennaio 2003, n. 1088). La valutazione delle risultanze probatorie, alla stregua dei principi ora enunciati, impone l'affermazione della responsabilità disciplinare dell'incolpata.

2. Le circostanze di fatto indicate nel capo d'incolpazione sono sostanzialmente pacifiche perché la dott.ssa XXXXXX, nelle dichiarazioni rese sia in sede penale che nella fase istruttoria del presente procedimento, e, da ultimo, nell'udienza di discussione ha ammesso che:

a) alla fine di ottobre 2000 aveva iniziato una relazione sentimentale con l'avv. *****;

b) questa circostanza è stata comminata al presidente del tribunale di ------- con nota del 10 novembre 2000, "ai sensi e per gli effetti dell'art. 36 lettera h) c.p.p." con la quale venivano prospettate ragioni di convenienza "tali da esonerare lo scrivente magistrato dalla trattazione di procedimenti, anche pendenti, in cui la difesa sia assunta dal predetto" professionista e tale nota è stata trasmessa alla cancelleria penale monocratica affinché non fossero assegnati alla dott.ssa XXXXX processi nei quali l'avv. ***** era difensore (circostanza questa documentalmente provata mediante acquisizione di copia della nota con annotazione in calce del dirigente dell'ufficio);

c) la dott.ssa *******, nel gennaio 2001, non si è astenuta e ha trattato tre procedimenti penali nei quali l'avv. ***** svolgeva funzioni di difensore; dalla nota del 10 gennaio 2001 del presidente del tribunale al procuratore della Repubblica di ------, prodotta dalla difesa al dibattimento, risulta che si tratta dei procedimenti n. … r.g. a carico di …., del procedimento n. ….. concluso con patteggiamento e del procedimento n. ….. a carico di ….;

d) come risulta anche dalla documentazione acquisita in fase istruttoria nel procedimento n. … a carico di +++++ e altri, imputati di bancarotta, la dott.ssa XXXXXX in data 21 luglio 2001 ha emesso ordinanza cautelare con la quale ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti di tutti gli indagati; la misura cautelare è stata eseguita il 1° agosto successivo e in sede di esecuzione l'indagato ha nominato difensore l'avv. ******; tale circostanza è stata comunicata dalla polizia giudiziaria alla dott.ssa XXXXXX il giorno successivo; il 4 agosto è stato effettuato l'interrogatorio di garanzia del +++++ alla presenza dell'avv. ****** che, alla fine dell'interrogatorio ha chiesto la revoca della misura, eventualmente mediante sostituzione con misura cautelare meno afflittiva; l'8 agosto la dott.ssa XXXXX, su parere contrario del p.m., ha trasformato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del +++++ in quella che disponeva l'obbligo di firma davanti alla p.g.; il 31 agosto il tribunale del riesame ha ripristinato l'originaria misura cautelare ritenendo immotivata e, comunque, non fondata la trasformazione;

e) rispetto a quattro richieste di trasformazione delle misure degli arresti domiciliari disposte nei confronti dei coindagati, due vennero respinte e due vennero accolte, tra queste una fu accolta su conforme richiesta del p.m. e l'altra, quella relativa al +++++, fu accolta non ostante il parere contrario del p.m.; f) in epoca anteriore ma prossima all'esecuzione della misura cautelare nei confronti del +++++, l'avv. *****, nel corso di una conversazione al bar chiese alla dott.ssa XXXXXX se la richiesta di intercettazione telefonica, che la stessa aveva dichiarato di essere intenta a valutare, riguardava il procedimento di cui si tratta e l'incolpata rispose "riguarda altro"; dopo l'esecuzione delle misura cautelare nei confronti del +++++ ci fu un ulteriore colloquio nello studio della dott.ssa XXXXX nel corso del quale l'avv. ****** iniziò a parlare del procedimento e l'incolpata lo zittì;

g) ai primi di ottobre del 2001 l'avv. ****** comunicò alla dott.ssa XXXXXX di essere stato iscritto nel registro degli indagati in relazione allo stesso procedimento di bancarotta e in data 11 ottobre l'incolpata ha chiesto e ottenuto di astenersi nel predetto procedimento. E' rimasto dunque provato che l'incolpata non si è astenuta in tre procedimenti nei quali l'avv. ****** era difensore (gennaio 2001) e si è astenuta solo nell'ottobre 2001 nel procedimento nei confronti del +++++, dopo avere effettuato l'interrogatorio di garanzia e avere provveduto, in modo difforme rispetto ad altri due coindagati, alla trasformazione della misura cautelare. Non rilevano nel presente procedimento, perché estranee alla contestazione, tutta incentrata nella violazione del dovere di astensione, le due circostanze, oggetto delle valutazioni del giudice penale, relative alla ipotizzata rivelazione dell'emissione della misura cautelare nei confronti dell'°°°°° prima dell'esecuzione e del sospetto favoritismo concretatosi nella trasformazione della misura cautelare.

3. La linea difensiva della dott.ssa XXXXX si è articolata in una duplice direzione. Da un lato ha adombrato la tesi secondo la quale la relazione sentimentale con l'avv. °°°°°, iniziata alla fine di ottobre del 2000 sarebbe cessata nel gennaio 2001, trasformandosi in un rapporto di mera amicizia. Dall'altro ha, con maggior forza, sostenuto che la mancata astensione sarebbe stata giustificata dall'atteggiamento assunto dal presidente del tribunale che non aveva voluto accogliere l'istanza del 10 novembre 2000 e neppure quelle oralmente presentate in più occasioni successive. Quanto alla prima tesi la sezione osserva che la trasformazione del rapporto tra l'avv. ****** e la dott.ssa XXXXXX, da rapporto sentimentale a rapporto di amicizia, a parte la mancanza di riscontri probatori alle affermazioni dell'incolpata, non ha alcun rilievo ai fini che interessano, perché, anche se provata, la circostanza non esclude la sussistenza di un dovere, quanto meno deontologico, di astensione permanendo comunque le ragioni di salvaguardia dell'immagine di imparzialità e terzietà compromesse dalla diffusione della notizia della iniziale relazione sentimentale e non superate dalla trasformazione in relazione amicale.

Peraltro è significativo che pur essendo mutati i rapporti (secondo la tesi dell'incolpata) l'avv. ****** non esitò a parlare dei procedimenti in corso nei quali egli era difensore e la dott.ssa XXXXX, giudice. Quanto all'atteggiamento del presidente del tribunale, deve innanzi tutto escludersi che, dal punto di vista oggettivo, quella del 10 novembre 2000 possa essere qualificata come istanza di astensione e, quindi, che possa ritenersi rigetto di tale istanza la trasmissione alla cancelleria. Infatti, come è ovvio, l'istanza di astensione deve riguardare un singolo procedimento già instaurato e non procedimenti eventuali e comunque non individuati. Né, evidentemente, possono qualificarsi come istanze di astensione quelle oralmente formulate. Resta tuttavia provato, oltre che documentalmente, anche sulla base della testimonianza del dott. Moneti, un atteggiamento del presidente del tribunale di sfavore rispetto alla prospettiva di una formale astensione e tale atteggiamento rileva sul piano dell'accertamento dell'elemento soggettivo dell'incolpata.

Tale rilievo, tuttavia, se è idoneo ad attenuare il disvalore deontologico della mancata o della tardiva astensione, non vale a eliminarlo del tutto. Infatti è pacifico che la dott.ssa XXXXXX era consapevole delle gravi ragioni di convivenza che imponevano di non trattare procedimenti nei quali l'avv. ***** era difensore. Lo dimostra non solo e non tanto la nota del 10 novembre 2000, ma anche la richiesta al dott. ZZZZZ di essere sostituita in sede di convalida di arresto di una persona difesa dall'avv. ***** e i ripetuti colloqui con il presidente nel corso dei quali aveva manifestato il suo disagio. D'altra parte, nell'interrogatorio reso al dibattimento, la dott.ssa XXXXX ha dichiarato che in analoga occasione, nella precedente sede di Lecco, quando svolgeva funzioni di giudice civile, aveva chiesto e ottenuto di astenersi nei singoli procedimenti. Lo dimostra anche la circostanza che in più occasioni (la prima nel gennaio e poi nel luglio e in agosto del 2001) la dott.ssa XXXXX dimostrò la sua forte contrarietà rispetto a conversazioni nel corso delle quali l'avv. ***** le rivolgeva domande o, comunque, intendeva intrattenerla, in merito a processi a lei assegnati.

Decisiva è poi la circostanza che, quando ha voluto, l'incolpata ha percorso l'unica strada che doveva essere seguita, e cioè quella della formalizzazione di una vera e propria istanza di astensione rispetto a procedimenti ben individuati, così come, secondo le sue stesse dichiarazioni, aveva fatto nell'ufficio precedentemente occupato. Ciò è avvenuto con le istanze dell'11 ottobre, del 9 e del 16 novembre 2001, che, infatti, il presidente del tribunale non ha potuto non accogliere, avendo egli stesso già ritenuto, nell'invitare la cancelleria a non assegnare alla dott.ssa XXXXX procedimenti nei quali era difensore l'avv. *****, che la trattazione da parte della stessa era contraria a elementari esigenze di convenienza. A fronte del fondamentale rilievo che nel sistema costituzionale assumono i beni protetti dal dovere di astensione (l'imparzialità e la terzietà del giudice) ritiene la sezione disciplinare che, corrispondentemente, di grandissima intensità deve essere l'impegno del magistrato nell'individuazione delle situazioni di pericolo e nel perseguimento, con tutta la determinazione necessaria, delle possibilità che l'ordinamento appresta per evitare il grave pregiudizio che la mancata astensione reca alla credibilità della giurisdizione e del magistrato stesso.

A tal fine si osserva che, se è vero che la legge non offre rimedi al magistrato che abbia presentato istanza di astensione nei confronti del provvedimento che non la accolga (Cass. 23 marzo 2000, Zara), resta pur fermo che è dovere del magistrato presentare l'istanza ed eventualmente reiterarla o comunque assumere anche le opportune iniziative, all'interno del sistema di amministrazione della giurisdizione (come ad esempio la segnalazione agli organi ai quali spetta la vigilanza), per evitare la lesione ai principi del giusto processo. Ritenuta quindi sussistente la responsabilità disciplinare dell'incolpata, alla luce delle considerazioni svolte, si ritiene equa l'irrogazione della sanzione minima dell'ammonimento.

P.Q.M.

La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura; Visto l'art. 35 del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, dichiara la dott.ssa XXXXX responsabile della incolpazione ascrittale e le infligge la sanzione disciplinare dell'ammonimento.

Roma, 19 settembre

2003 L'ESTENSORE (Giuseppe Salmè) IL PRESIDENTE (Emilio Nicola Buccico)

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