NOTIZIARIO del 10 maggio 2004

 
     

Consiglio Stato: risarcimento vittime mafia
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, sentenza n. 2177/2004

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello N.R.G. 8116/2003, proposto dal Ministero dell'Interno e dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato ex lege domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; c o n t r o A.., rappresentata e difesa dagli avv.ti Graziano Lissandrin e Arturo Salerni ed elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio del secondo difensore, viale Carso, n. 23; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. I, n. 9187 del 26 ottobre 2002, resa inter partes;

Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di A..; Vista la memoria prodotta dalla parte appellata a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti della causa; Data per letta, alla pubblica udienza del 13 gennaio 2004, la relazione del Consigliere Bruno Mollica; Uditi, altresì, per le parti l'avv. M. Salerni su delega dell'avv. A. Salerni e l'Avvocato dello Stato Sica; Ritenuto in fatto e considerato in diritto:

FATTO La sig.ra A. . ha impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio la deliberazione del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso n. 129 in data 29 marzo 2001, con la quale è stata rigettata la domanda di accesso al Fondo di rotazione dalla medesima proposta in data 25 gennaio 2001, in quanto, in base alla sentenza del Tribunale di Vigevano emessa il 25 maggio 1993, allegata in copia alla domanda, la condanna degli imputati sarebbe riferibile a delitti diversi da quelli indicati nell'art. 4, comma 1, della legge n. 512/1999. Il Tribunale adìto ha accolto il ricorso nell'assunto che il Comitato non avrebbe potuto fondare il diniego esclusivamente sui dati formali dell'imputazione, senza un'autonoma valutazione dei fatti e in difetto di adeguata istruttoria e comparazione degli elementi costitutivi della fattispecie nonchè di approfondita e compiuta motivazione sulle ragioni del diniego. La sentenza del primo giudice viene impugnata dall'Amministrazione dell'Interno e dal Comitato, che ne deducono l'erroneità in ragione della omessa connotazione mafiosa dei reati accertati con la sentenza di condanna degli imputati e della mancanza di un potere di apprezzamento del Comitato di solidarietà diverso e autonomo rispetto a quello del giudice penale. Resiste la controinteressata A., che sostiene diffusamente l'infondatezza dell'impugnativa e ne chiede il rigetto. Alla pubblica udienza del 13 gennaio 2004 la causa è stata ritenuta in decisione.

DIRITTO 1. - L'appello si palesa fondato. La legge 22 dicembre 1999, n. 512 [1] - che istituisce il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso - stabilisce, all'art. 4, primo comma, che hanno diritto di accesso al Fondo le persone fisiche e gli enti costituiti parte civile nelle forme previste dal Codice di procedura penale, a cui favore è stata emessa sentenza definitiva di condanna al risarcimento dei danni a carico di soggetti imputati, anche in concorso, dei seguenti reati: a) delitto di cui all'art. 416-bis del Codice penale [2] ; b) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal medesimo art. 416-bis; c) delitti commessi al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso. Il successivo comma 2 contempla altresì tale diritto di accesso per i soggetti costituiti in giudizio civile, nelle forme previste dal Codice di rito, per il risarcimento dei danni causati dalla consumazione dei reati di cui al comma 1, accertati in giudizio penale.

La legge pone quindi una stretta correlazione tra il riconoscimento, da parte del giudice penale, della commissione degli specifici reati di cui al comma 1 ed il conseguimento del beneficio di solidarietà. Il Comitato istituito dall'articolo 3 della legge non è pertanto titolare di un autonomo potere di apprezzamento dei fatti-reato (anche sotto il profilo dell'aggravante), che verrebbe invero a sovrapporsi a quello esercitato dal giudice penale, al quale la norma riconosce esclusivo rilievo. Se ciò è vero, deve escludersi, ex se, la carenza istruttoria e motivazionale rilevata dal primo giudice.

Certo è che - incontroversa l'insussistenza di condanna ex art. 416-bis - l'esistenza di un clima di intimidazione derivante dal vincolo di associazione mafiosa non risulta, nella specie, formalmente contestata e applicata in sede penale (nè risultano integrate le circostanze di cui alle lettere b) e c) della disposizione in esame); la stessa Corte di Cassazione giustifica la confisca dei beni degli imputati sulla base di presupposti diversi dall'appartenenza all'associazione mafiosa (cfr. pag. 9 della sentenza di primo grado).

Non si vede allora quali elementi istruttori avrebbe dovuto acquisire il Comitato, da sovrapporre alla verifica giudiziale penale cui - come già rilevato - la legge attribuisce esclusivo rilievo; nè si vede quale ulteriore motivazione - oltre quella, fornita, della esistenza di condanna degli imputati per delitti diversi da quelli previsti dall'art. 4 della legge n. 512/1999 - avrebbe dovuto esternare l'Amministrazione. Nè, a supporto dell'assunto contenuto nella sentenza del primo giudice, può essere utilmente richiamato il disposto dell'art. 6, comma 2 [3] , della legge medesima, che assegna al Comitato un ben circoscritto potere istruttorio: risulta per tabulas che tale potere è attribuito ai soli fini della "completezza dei documenti" posti a base della richiesta di accesso al Fondo e dell'acquisizione di "copie di atti e informazioni scritte" dall'autorità giudiziaria - e quindi ai meri fini della completezza istruttoria per la pronuncia sulla domanda di beneficio - e non in funzione di una ulteriore valutazione di risultanze già definite in sede penale.

2. - Per le suesposte considerazioni, il ricorso in appello deve essere accolto. Sussistono giusti motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti

P. Q. M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, accoglie il ricorso in appello n. 8116/2003. Compensa le spese di giudizio fra le parti. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 13 gennaio 2004, pubblicato 20 aprile 2004.

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