NOTIZIARIO del 23 giugno 2004

 
     

Censura in internet : ricordiamoci del 10 settembre
di Julien Pain *

L'esplosione di episodi di terrorismo ha sconvolto l'ordine mondiale ed ha avuto delle ripercussioni dirette sul mondo di Internet. Per tentare di proteggere i loro cittadini, le democrazie hanno a poco a poco limitato le libertà individuali. Così, anche in paesi abitualmente rispettosi della libertà di espressione negli ultimi tre anni si sono rapidamente sviluppate una serie di leggi liberticide, come quelle che consentono di mettere sotto sorveglianza le comunicazioni elettroniche o di censurare i siti.

Ma nonostante il carattere di provvisorietà che avrebbe dovuto distinguere le misure adottate dai governi occidentali dopo l'attentato al World Trade Center, a distanza di tre anni questi provvedimenti liberticidi sono sempre in vigore, e in molti casi, sono stati addirittura rafforzati. Anche i regimi autoritari hanno beneficiato delle priorità accordata alla lotta contro il terrorismo per rafforzare il controllo sulla Rete.

Del resto, nel momento in cui gli attentati colpiscono il cuore dei paesi occidentali, la sorte riservata al Net nelle Maldive o in Tunisia sembra avere ben poca importanza. Basta che un dittatore si vanti di contribuire alla lotta contro il terrorismo per far sì che la comunità internazionale chiuda un occhio, e spesso tutti e due, sugli arresti abusivi di molti cyberdissidenti o sulle numerose censure di siti.

L'attenzione di tutto il modo si è fissata sull'11 settembre 2001, data altamente simbolica dell'inizio di una minaccia che potrebbe non risparmiare nessuno, neppure la superpotenza americana. Per comprendere fino a che punto i diritti degli internauti stanno pagando salato il conto della guerra contro il terrorismo, bisogna fare un flashback di tre anni e ricordarsi com'era Internet prima di quel terribile attentato alla Torri gemelle.

Il 10 settembre 2001, il Web era ancora fonte di speranza: prometteva di facilitare l'accesso di tutti all'informazione indipendente e di contribuire a fare vacillare le dittature. Qualche giorno dopo, era diventato una sorta di zona del non-diritto, che aveva permesso ad Al-Qaida di svilupparsi e coordinare gli attacchi. Improvvisamente, Internet faceva ormai paura. Il 10 settembre 2001 segna l'ultimo giorno dell'era della libertà di espressione sul Net. Da allora, l'era del Big Brother si è avvicinata a grandi passi.

Le democrazie fanno saltare i paletti. Internet mette tutte le democrazie del mondo di fronte agli stessi problemi: dall'Europa all'Africa, passando per l'India e gli Stati-Uniti, tutti i governi democratici devono lottare contro lo sviluppo online dei contenuti pedofili, collaborare allo smantellamento delle reti terroristiche, far diminuire la cybercriminalità, proteggere le industrie culturali contro la pirateria, etc. La libertà di espressione e i diritti degli editori di contenuti online devono fare i conti con le nuove emergenze securitarie e finanziarie.

Le leggi che autorizzano la sorveglianza degli internauti si sono moltiplicate. Nell'ottobre 2001, gli Stati-Uniti hanno adottato il Patriot Act, seguiti a ruota dalla gran parte dei paesi occidentali: così a distanza di un mese la Francia, per esempio, si è dotata di una legge per la sicurezza quotidiana (LSQ). Ora, uno degli obiettivi di questi testi era di facilitare il conseguimento di informazioni personali relative agli internauti da parte della polizia.

Votate in gran fretta e in circostanze eccezionali, queste leggi sono ormai entrate a far parte del quadro legislativo di numerose democrazie. Oggi, la corrispondenza elettronica e la navigazione degli internauti non sono più protette da sufficienti garanzie di riservatezza. Peraltro, la censura si sta sviluppando anche in paesi abitualmente rispettosi della libertà di espressione, e spesso nell'indifferenza generale.

In Francia, è stato necessario attendere che la legge sulla fiducia nell'economia digitale (LEN) venisse definitivamente adottata per comprendere che le nuove regolamentazioni trasformavano Internet in un media di "serie b" e spalancavano la porta alla censura arbitraria del Web. In Russia, nessuno chiede spiegazioni alle autorità per la chiusura di dozzine di siti filo-ceceni.

E chi denuncia il governo indiano quando blocca i forum di discussione? Nessuno, o quasi...I cani da guardia del Net sono ancora lontani dal possedere la necessaria potenza per far fare un passo indietro ai governi delle grandi potenze... Le democrazie si stanno confrontando con i complessi problemi giuridici posti da Internet. Per gli anni a venire, il principale interrogativo sarà sapere come applicare una legge nazionale al Net, che per definizione non ha frontiere.

Di fronte a questo problema, alcuni giudici canadesi e australiani, malgrado le buone intenzioni iniziali, hanno fornito una risposta pericolosa: con il pretesto che ad alcuni testi si poteva accedere dal proprio paese, hanno accettato di trattare alcune denuncie per diffamazione di testi pubblicati all'estero. Quindi, tentando di proteggere i loro concittadini, hanno scoperchiato in realtà il vaso di Pandora.

I responsabili dei siti possono ormai essere portati davanti alla giustizia di paesi nei quali non sono né residenti, né fuoriusciti, e a cui peraltro i loro siti non erano neppure destinati. Per completare il quadro, in Francia il governo ha appena deciso che gli editori online sono ormai responsabili dei contenuti che diffondono sulla Rete - mentre per la stampa la prescrizione è di tre mesi.

Gli autori di una pagina online possono essere ormai denunciati per diffamazione sulla base di un testo scritto magari 15 anni prima! Avremo dunque dei giornalisti, o degli editori di siti, responsabili a vita e ovunque nel mondo, per i loro scritti? E non stiamo parlando purtroppo di bizzarrie autoritarie di un qualche autocrate esotico, ma della via sulla si sono incamminati alcuni giudici e alcuni governi occidentali. In questo contesto, la soluzione potrebbe, e dovrebbe, venire da una reazione delle istanze internazionali.

L'ONU sta tentando di confrontarsi con il dossier Internet, per trovare nuove strade per governare lo sviluppo della Rete. Purtroppo, la prima decisione presa dall'organizzazione è stata quella di organizzare in due tempi il Summit sulla società dell'informazione. La prima parte a Ginevra e la seconda...a Tunisi, nel 2005.

Ignora forse l'ONU che il regime del presidente Ben Ali è uno dei più repressivi nei confronti degli internauti? Iniziative di questo tipo sono rivelatrici della scarsa credibilità delle Nazioni Unite, fagocitate dalle dittature, nella difesa della libertà di espressione sulla Rete. Le dittature imbavagliano la Rete Mentre le democrazie scivolano sempre di più verso il totale controllo del Net, i regimi continuano a rafforzare la presa di possesso della Rete.

E la situazione non ha fatto che peggiorare negli ultimi tre anni. Lo dimostrano dati allarmanti: attualmente ci sono 60 cyberdissidenti prigionieri e grazie ai sistemi di censura sempre più efficienti, la situazione non potrà che peggiorare. Internet fa sicuramente paura alle dittature. Ogni internauta può potenzialmente diventare un editore ed è effettivamente difficile sorvegliare il fiume di informazioni che transitano sul Net.

I regimi repressivi hanno escogitato due soluzioni per controllare la Rete. La prima, che chiameremo "soluzione alla cubana", consiste nell'interdire alla maggioranza della popolazione l'accesso alla Rete. Ma per Cuba e gli altri paesi che hanno adottato questa strategia, come la Corea del Nord o la Birmania, impedire l'accesso alle nuove tecnologie dell'informazione è difficilmente conciliabile con lo sviluppo economico. Questo spiega l'interesse per il "metodo cinese", più sofisticato e costoso, adottato anche dall'Arabia saudita o da Singapore.

Per sorvegliare i suoi internauti, censurare i siti scomodi e braccare la cyberdissidenza, Pechino ha fatto ricorso a un vero e proprio arsenale tecnologico. Ma allo stesso tempo, le autorità favoriscono l'utilizzo della Rete e se ne servono come strumento di propaganda. Tutti gli Stati autoritari stanno tentando di acquisire gli stessi strumenti per controllare il Web. Per fare questo, vengono applicati filtri che rendono inaccessibili i contenuti "sovversivi".

In questo campo, si distinguono l'Arabia saudita e la Cina, che bloccano migliaia di pubblicazioni online. Questi regimi esercitano una censura estremamente ampia, che va dai siti pornografici ai magazine indipendenti, passando per le pagine che trattano religioni proibite o che parlano di diritti umani. In seguito, vengono installati dei programmi che permettono di leggere le e-mail e che sono in grado di reperire le parole-chiave "controrivoluzionarie" o che "mettono in pericolo la sicurezza dello Stato".

Questi regimi si dotano di una vera e propria Cyberpolizia, formata per braccare e arrestare i cyberdissidenti. La Cina, con 62 persone dietro le sbarre, è di gran lunga la più grande prigione del mondo per gli utenti della rete, seguita dal Vietnam (7), dalle Maldive (3) e dalla Siria (2). Le pene inflitte ai cybernauti per il semplice fatto di essersi espressi su dei siti o nei forum di discussione, possono arrivare fino a 15 anni di carcere. Per bloccare le pubblicazioni indesiderabili, gli Stati repressivi utilizzano sempre di più gli strumenti degli hacker, che creano virus e programmi informatici di ogni sorta.

Di fronte a questo sofisticato arsenale tecnico e legislativo, i difensori della libertà di espressione dispongono di mezzi alquanto ridotti. Gli internauti cercano costantemente nuovi modi per sottrarsi alla censura. Per accedere ai siti bloccati utilizzano programmi che consentono di rendersi invisibili alla cyberpolizia e, allo stesso tempo, permettono di proteggere da occhi indiscreti la posta elettronica. Per sfuggire alla censura, gli internauti possono contare su una rete d'aiuto sicura efficace perché composta, nella gran parte dei casi, da familiari o compatrioti che vivono all'estero.

Infine, gli internauti possono beneficiare del sostegno di organizzazioni internazionali, che possono fornire tecnologie che consentono di aggirare i filtri governativi. Tuttavia, il gioco appare del tutto squilibrato. Per gli internauti cinesi, per esempio, è sempre più difficile lottare contro i sistemi messi in atto dal loro governo per imbavagliare la Rete, e questo grazie al sostegno tecnologico di un'importante azienda americana. Al momento attuale, si sta cercando di costruire in tutto il mondo il diritto di Internet. Ma questo fenomeno sembra attirare relativamente poco l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica.

Certo, la lotta contro il terrorismo rimane una priorità, ma che non può certo essere combattuta a scapito dei principi fondamentali delle democrazie, tra i quali deve essere contemplato ormai il diritto di utilizzare liberamente la Rete. La società civile, e in particolare Reporters sans frontières, devono continuare a mobilitarsi affinché non venga comunque dimenticato … il 10 settembre 2001.

* Julien Pain Responsabile Internet e Libertà di Reporters sans frontières

by www.osservatoriosullalegalita.org

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