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NOTIZIARIO del 04
marzo 2004
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Donne
coraggiose Le cronache politiche fanno emergere, attraverso i media, sempre più di frequente personaggi femminili che nell'esercizio della loro professionalità tentano di far valere un modo altro di porsi , radicalmente diverso , nei confronti dei terribili problemi del terzo millennio. In prossimità dell'8 marzo, mi pare giusto rendere il dovuto omaggio ad alcune persone che di recente hanno parlato a viso aperto e agito per imprimere una svolta radicale, significativa, al corso delle cose. La prima é a mio avviso Claire Short, ministro del governo Blair, dimissionaria dal governo insieme a Robin Cook, perché non d'accordo sull'intervento militare britannico in Irak. Come é noto, Claire ha recentemente denunciato le pratiche dei servizi di Intelligence britannica che, nel momento in cui gli ispettori dell'ONU conducevano la loro indagine per appurare la presenza delle armi di distruzione di massa in Irak , tenevano sotto controllo i telefoni del segretario Generale, Kofy Annan e non solo. La signora Short, fedele al proprio nome, ha le sue idee trés CLAIRES sulle logiche conseguenze delle sue affermazioni: la richiesta di dimissioni di Tony Blair dalla carica di Primo Ministro , perché profondamento nocivo per l'azione e l'immagine del Labour Party, tanto in Gran Bretagna che in Europa, nei suoi obiettivi fondanti di giustizia sociale e di pace. Sul sito della BBC le sono giunti centinaia di messaggi da tutto il mondo, alcuni critici altri invece di appoggio e di solidarietà, in netta condanna del modo arrogante con la quale Blair l¹ha accusata di "irresponsabilità" nei confronti dei servizi, "che lavorano alla sicurezza del paese, e per gli interessi nazionali". Ecco quindi due messaggi in suo favore molto significativi: Roger Laing, UK If someone passes on confidential information about an illegal act, is that wrong? What sort of a dictatorship do we want to live in anyway? I am going to enjoy watching Tony Blair explaining how Kofi Annan is a threat to national security. Tom, Plymouth, UK The term 'national interest' is often used as an excuse by our leaders to engage in morally questionable activities that serve the specific interests of the politicians involved and not the interests of the people of the nation, which I think is undoubtedly the case here. Oggi é apparsa nella trasmissione "Omnibus" di La 7, Mariane Pearl, moglie del giornalista americano di origine ebraica Daniel Pearl, sequestrato e barbaramente ucciso da membri di Al Chaida, in Pakistan, grazie all'evidente complicità di alcuni membri dei servizi segreti pakistani. Le modalità del crimine sono state rese note da un orrendo documento video, che ha fatto il giro del mondo. Mariane Pearl, anche lei giornalista , ha narrato in un libro, "Un cuore grande", ora apparso in Italia, questa tragica vicenda. Ha tracciato un quadro del lavoro di inchiesta svolto da lei e dal marito sulle collusioni dei servizi segreti pakistani col regime dei Talebani afgani e con Ben Laden , riaffermando una precisa concezione deontologica della professione reporter: la necessità di un'attenzione alla complessità del reale, che dovrebbe favorire non arroganti assiomi, ma sempre una analisi problematica degli eventi. Benché abbia profondamente sofferto per la fine del suo compagno Mariane, rimasta sola col bambino nato dopo la morte di Pearl, ha tuttavia segnalato un esemplare capitano dei servizi Pakistani, musulmano, che l'ha aiutata a scoprire il vero assassino del marito: un noto membro di Al Chaida. Costui, faceva culturalmente parte del mondo e della cultura occidentale, cittadino britannico , aveva un formidabile Curriculum di studi presso la London School of Economics: non un poveretto disperato, come spesso sono i Kamikaze palestinesi. Mariane ha quindi rimesso in discussione nel suo libro i concettii stessi di Islam, di terrorismo e anche di di Occidente, perché - all'analisi della concreta realtà - presentavano sfaccettature e contraddizioni che mal si prestavano alle riduttive semplificazioni in bianco e nero. Gliene siamo grati perché i campioni del giornalismo nostrano, sull'onda emotiva e irrazionale provocata dall'11 settembre, ci hanno abituato a valutazioni affrettate, riduttive e semplificatrici. E perfino giornalisti del calibro di Magdi Allam, (che all'inizio era contrario alla guerra in Irak, perché la considerava un grande regalo a Ben Laden e alla penetrazione di Al Chaida in territorio irakeno e temeva lo squilibrio etnico e religioso nella regione) oggi si attesta su dichiarazioni roboanti contro il terrorismo, senza più indagare quella complessità originaria , necessaria premessa per capirne le articolazioni , e al fine di neutralizzarlo in modo definitivo o almeno limitarne gli effetti. Per fortuna John Kerry, futuro candidato democratico alla casa Bianca, che ha votato a favore della guerra all'inizio, oggi afferma: "La guerra non ha fatto altro che assicurare più terrorismo e più stragi". Speriamo che il candidato riesca ad essere eletto e a ristabilire la legalità internazionale, violata dalla guerra preventiva, ricomponendo i rapporti con l'Onu e con l'Europa, per avviare gli inizi di un processo democratico in Irak. Certamente sarà lungo e difficile (come provano i terribili attentati di Kerbala e del Pakistan contro la folla sciita), ma almeno si affronterà il problema nella sua globalità. L'altro fattore di instabilità in Medioriente da ormai mezzo secolo é il conflitto israelo-palestinese. Emma Bonino, (la terza donna coraggiosa di cui vorrei parlare) ha concesso il 15 febbraio ad Umberto De Giovannangeli dell'Unità una formidabile intervista, appoggiando la proposta di Shimon Perez, convinto che non esista alcuno sbocco militare all'attuale conflitto israelo-palestinese: aprire l'Unione Europea a Israele, Anp e Giordania, per rilanciare su basi nuove le prospettive di pace in Medio Oriente. Questa la vera svolta. "Chi si pone come unico obiettivo due Stati senza capire dove si vanno a collocare - dice Emma Bonino - non fa i conti con l'inadeguatezza degli Stati nazionali a risolvere una serie di problemi. "La proposta di ingresso di Israele, Palestina e Giordania nella Ue - aggiunge Emma - creerebbe un bel dibattito e offrirebbe una sponda a quei Paesi, come il Marocco, che stanno avanzando, sia pur gradualmente, sulla via della democratizzazione interna ma che non credono nella riformabilità democratica della Lega Araba." La proposta e' sostenuta anche dai Palestinesi "che si sono battuti e continuano a farlo per la democratizzazione dell'Autorità palestinese e per la smilitarizzazione dell'Intifada, e che stanno organizzando nei Territori corsi di non violenza". " Se Perez vuole davvero incardinare questo dibattito - continua Emma - i trattati dell'Unione Europa sono molto chiari: un Governo deve fare la richiesta. E se già partisse la richiesta, e ci si mobilitasse perché tale richiesta partisse anche solo da uno dei soggetti interessati, l'Europa sarebbe costretta a discuterne e a decidere". Come non condividere queste posizioni? Significa proporre a Israele e a due paesi arabi le soluzioni adottate dall'Europa al termine di ben due guerre mondiali, soluzioni che hanno consentito di realizzare per 50 anni una pace solida e duratura. C'e' un altro uomo politico europeo, pronto a muoversi verso in questa direzione: il francese di origine israelita Dominique Strauss Kahn. Personalmente sottoscrivo questo progetto illuminato dall'A alla Zeta. Mi sono in fatti ormai assolutamente intollerabili le immagini di bambini israeliani e palestinesi feriti o uccisi nel corso di episodi quotidiani di ordinario terrore. Utopia? Si', una grande utopia mobilizzatrice. Un'orizzonte difficile, lontano, eternamente mobile, che ci farebbe pero' veramente mettere in marcia tutti, per riparare le ingiustizie, i fanatismi, il terrorismo, ed avanzare verso la pace nel Mediterraneo. * gia' direttrice dell'Istituto italiano di cultura di Marsiglia _____________ I
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