NOTIZIARIO del 29 febbraio 2004

 
     

Telekom Serbia:
Commissione cerca nuova credibilita'
di Carlo Dore jr *

Su "L'Unione Sarda" di oggi 29 febbraio è apparso un articolo di fondo relativo agli ultimi sviluppi dell'affaire Telekom-Serbia, i cui contenuti possono essere definiti, a seconda della prospettiva di valutazione che si assume, curiosamente grotteschi o totalmente privi di logica.

L'autore di tale articolo, evidentemente all'oscuro delle vicende che hanno caratterizzato l'attività della commissione parlamentare di inchiesta negli ultimi mesi, sostiene infatti che, in un paese "normale", i personaggi cui viene addebitata la responsabilità di un'operazione politicamente inopportuna e finanziariamente scellerata (personaggi rispondenti ai nomi di Romano Prodi, Piero Fassino e Lamberto Dini) non esiterebbero a presentarsi dinanzi alla suddetta commissione parlamentare per chiarire la loro posizione.

Come sopra accennato, tale linea di ragionamento presenta carenze logiche macroscopiche: è infatti quantomeno curioso pretendere "normalità" in un paese il cui Presidente del Consiglio, imputato di un reato infamante quale la corruzione di un giudice, manifesta un così scarso rispetto per le Istituzioni da impiegare tutto il suo potere nel tentativo di determinare, mediante l'approvazione di una serie di leggi ad personam, la caducazione dei processi a suo carico, ponendosi al contempo a capo di una sorta di bieca crociata nei confronti della "componente politicizzata della magistratura.

E' del pari curioso definire come pienamente legittimata una commissione di inchiesta che, travalicando clamorosamente i limiti apposti alla funzione di organo di accertamento di responsabilità politiche che le è propria, ha finito con l'assumere, pur in riferimento ad un'operazione che, per prospettive e modalità di attuazione, suscita non poche ragioni di dubbio, il ruolo di moderno Tribunale della Santa Inquisizione nei confronti dei principali leaders del centro-sinistra.

Nell'interpretazione febbrile di tale ruolo, Trantino e gli altri commissari della maggioranza non hanno esitato a dare credito alle rivelazioni di alcuni faccendieri dal passato a dir poco avventuroso, al fine di contestare ai sopra citati leaders non solo ipotesi di responsabilità politica, ma veri e propri fatti di corruzione, per i quali l'on Taormina era persino giunto ad invocare l'arresto dei suddetti Prodi, Dini e Fassino.

Le ulteriori indagini condotte dai magistrati della Procura di Torino, immancabilmente descritti dal Presidente Berlusconi come "amici dei comunisti", hanno però messo in rilievo la scarsa credibilità di questi faccendieri-accusatori, rilevando inoltre l'esistenza di una sostanziale continuità di rapporti tra tali soggetti ed alcuni parlamentari azzurri.

Dinanzi all'inarrestabile crollo dell'impianto accusatorio costruito su testimonianze risultate non attendibili, l'on. Trantino ha riaffermato la funzione di esclusivo accertamento di responsabilità politiche e non penali propria dell'organo da lui presieduto, nel disperato tentativo di recuperare un minimo di quella legittimazione necessaria ad operare che la commissione di inchiesta, in forza degli atti precedentemente compiuti e delle dichiarazioni rese da determinati suoi componenti, appare ormai totalmente priva.

Per questo, così come sembra condivisibile la scelta degli esponenti di centro-sinistra di abbandonare la commissione, ancor più giustificabile risulta la linea tenuta da Prodi, Dini e Fassino che fino ad ora non hanno proceduto a chiarire in quella sede la loro posizione. Infatti, in un paese "normale", la commissione presieduta dall'on. Trantino non sarebbe neppure lontanamente configurabile.

* dottore in giurisprudenza

by Bollettino Osservatorio

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