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NOTIZIARIO del 06
febbraio 2004
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Le
leggi ad personam Relazione di Armando Spataro, segretario generale del Movimento per la Giustizia, al XXVII Congresso Nazionale della Associazione Nazionale Magistrati (Venezia, 5-8 febbraio 2004). Il titolo e' nostro. PARTE SECONDA 5.Le priorità d'intervento 5.a- L'efficienza del sistema: strutture, risorse, organici. La sufficiente dotazione e la corretta amministrazione delle risorse del sistema giustizia non è argomento che riguarda la sola efficienza - in senso manageriale - del sistema (il che non sarebbe, peraltro, di per sé un obbiettivo marginale), ma riveste un'importanza decisiva sotto il profilo politico ed istituzionale, al punto da essere una pre-condizione del corretto esercizio della giurisdizione. La velocità dei tempi delle decisioni, la loro esecuzione, l'organizzazione degli uffici giudiziari, il rapporto con gli utenti possono determinare o meno la fiducia della collettività: non un tema - dunque - da apprendisti manager, ma centrale per la legittimazione democratica del sistema stesso. Si spiega così che le previsioni della competenza in materia trovino posto nella Costituzione: "Ferme le competenze del CSM, spettano al Ministro della Giustizia l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia" (art. 110). Ma l'attuale Ministro, pur così sollecito nel richiedere "pareri pro veritate" sulla interpretazione delle leggi a consulenti esterni alla sua amministrazione e così straordinariamente capace nel suscitare un clima di permanente conflittualità con la magistratura, poco o nulla ha fatto in materia; anzi, il 18.12.2002, recatosi in visita al Consiglio Superiore della Magistratura per un incontro sui problemi organizzativi della giustizia, ha dichiarato che il primo problema da risolvere è per lui quello di un nuovo equilibrio tra politica e magistratura e di una complessiva riforma dell'ordinamento giudiziario, cui ha espressamente condizionato ogni intervento in materia organizzativa. Ancora, il 4 dicembre scorso, intervenendo in Senato sul disegno di legge di riforma ordinamentale, esprimeva soddisfazione per gli accordi che in seno alla maggioranza si stavano raggiungendo, ma comunicava che, per problemi di mancata copertura finanziaria, doveva essere accantonata la costituzione del cd. ufficio del giudice. Infine, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità del Lodo Maccanico-Schifani ed il 17 gennaio a Palermo, durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario, ha reiterato quella che può ormai definirsi una vera e propria ossessione personale: il centro dei problemi della giustizia sono i rapporti tra magistratura e classe politica. Il che non è assolutamente vero, pur potendosi dare per scontato che qualsiasi governante consideri per sé favorevolmente la possibilità di sottrarsi al controllo di legalità affidato alla magistratura. Ma magistrati ed avvocati italiani sanno che il problema centrale è altro : è quello di una situazione generale in cui mancano assistenti e idonee strutture! Eccola, dunque, la prima priorità da mettere in campo ed attorno alle quali schierarsi: dar vita, cioè, prima di ogni altro passo, alla "campagna" per le strutture, l'organizzazione, le risorse materiali, la tecnologia, la razionale distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio; una campagna che dovrà essere sostenuta da investimenti finanziari vantaggiosi per i cittadini già nel medio periodo e che si rivelerà capace di spazzare la falsa rappresentazione di una giustizia inefficiente per le colpe dei magistrati. 5.b - Il processo penale Lungi dal proseguire sulla strada di un garantismo selettivo, insensibile ai diritti dei soggetti marginali, delle vittime dei reati ed alle esigenze di efficienza del sistema processuale essenziali alla tutela della sicurezza collettiva, una seria azione riformatrice del processo penale dovrebbe imboccare la difficile strada dello snellimento del dibattimento, della revisione della disciplina della prescrizione dei reati e delle notificazioni, della riforma del sistema delle impugnazioni e del giudizio di appello e di cassazione. Non si tratta di arretrare sul piano delle garanzie, ma di riequilibrare il rapporto tra queste e l'efficienza complessiva del sistema. A ricordare la necessità di ciò, del resto, dovrebbe risultare sufficiente la consapevolezza dei rischi connessi alla persistente minaccia della criminalità organizzata, mafiosa (che pare espunta dal novero delle priorità politiche) e terroristica e, su un altro fronte, dei danni apportati all'economia del Paese ed agli interessi dei cittadini dalla criminalità dei colletti bianchi. 5.c- La riforma del processo civile. Anche nel settore del rito civile, pur se in misura minore che nel penale, occorrono strumenti per fronteggiare l'eccessiva durata dei processi che ha provocato, negli anni passati, una serie impressionante di giudizi e di conseguenti condanne a carico del nostro paese dinanzi alla corte di Strasburgo. Il problema, come per il penale, non può essere affrontato con un' ulteriore lievitazione del numero dei magistrati togati: oltre che difficilmente sostenibile dal punto di vista finanziario, non potrebbe che tradursi in una immediata dequalificazione professionale della magistratura medesima. L'ANM, come è noto, con il supporto di un gruppo di lavoro costituito da magistrati esperti, ha elaborato una serie di articolate osservazioni tecniche sul Testo unificato del disegno di legge recante "Modifiche al codice di procedura civile" (che in parte le ha recepite) e sul cd. Progetto Vaccarella. A quelle osservazioni ci si deve riportare, ponendo nel debito rilievo le capacità propositive dell'associazione e coinvolgendo direttamente l'Avvocatura nelle nostre riflessioni. Va comunque affermato con forza che, anche per il settore civile, la garanzia della ragionevole durata del processo risiede, innanzitutto, nell'organizzazione giudiziaria : i magistrati devono essere posti in condizione di poter riservare ogni energia per l'attività propriamente giurisdizionale, mediante la predisposizione di moduli organizzativi che li sollevino da compiti materiali o di cancelleria. Non è più differibile, dunque, l'attuazione del c.d. ufficio del giudice, la creazione di una struttura autonoma composta da personale qualificato in grado di coadiuvare il giudice anche nella ricerca di materiale giurisprudenziale, oltre che nella redazione di provvedimenti di non grande complessità o comunque seriali. 5.d- Il contesto internazionale. Costituisce tema centrale, per il futuro della giustizia italiana, la sua proiezione internazionale. La dimensione valutativa offerta dalla comparazione della recente produzione legislativa italiana con il sistema delle fonti di diritto internazionale e gli obiettivi di comuni politiche europee in materia di contrasto delle forme più gravi di criminalità e di efficace cooperazione giudiziaria è forse quella che maggiormente si presta all'apprezzamento dell'importanza, gravemente sottovalutata anche nella passata legislatura, di assicurare il tempestivo adeguamento dell'ordinamento italiano agli standards riconosciuti come vincolanti nelle sedi politiche internazionali e, correlativamente, della serietà del rischio di isolamento ed arretramento politico, giuridico e culturale che grava sull'Italia per effetto di scelte in stridente contrasto con le quelle che si compiono sul piano internazionale e sovranazionale. I punti di osservazione sono molteplici e variegati: si pensi alla materia della corruzione (è ancora priva di ratifica la Convenzione penale sulla corruzione approvata il 4.11.1998 dal Consiglio d'Europa) o alla già citata legislazione in materia di reati societari (che contraddice palesemente gli impegni assunti dinanzi alla comunità internazionale di adottare misure repressive efficaci ed effettive nel contrasto della corruzione come del riciclaggio e, in generale, per la tutela della trasparenza dei mercati e della libertà di concorrenza economica). Si considerino anche i palesi atteggiamenti governativi di diffidenza - quando non di aperta contrapposizione - ad ogni significativa svolta innovatrice e migliorativa nel settore della cooperazione internazionale (vedi, ad es., la nota vicenda della legge sulle rogatorie, le riserve opposte dal Ministro della Giustizia all'adozione delle Decisioni quadro del Consiglio dell'Unione Europea in materia di repressione del razzismo e della xenofobia, o nel vertice di Laeken dell'11.12.2001 in tema di esecuzione dei mandati di arresto, o riservando la sottoscrizione del Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione generale sull'assistenza giudiziaria in materia penale adottato dal Consiglio d'Europa nel novembre 2001) che mal si conciliano con il ruolo propulsivo tradizionalmente svolto in questo campo dall'Italia. Tra l'altro, proprio nella dimensione di collaborazione istituzionale offerta dall'Unione Europea è oggi possibile ritrovare molti ed efficaci anticorpi alle tendenze disgregative dello Stato di diritto visibili attraverso le logiche di garantismo selettivo che permeano (soprattutto, ma non solo, come si è visto) le più recenti scelte legislative in materia di giustizia. Dunque, è essenziale che ogni futuro programma di politica giudiziaria preveda la decisa condivisione degli assetti organizzativi e normativi che in Europa si vanno delineando : nulla a che vedere, dunque, con le affermazioni - segnate, soprattutto nella percezione possibile all'estero, da ormai stucchevoli note folkloristiche - di Ministri della Repubblica (Bossi, 1.3.2002: "Mobilitiamoci contro l'U-E., la nuova Urss"; Castelli, 30.3.2003: "Toghe rosse, un pericolo per l'Europa"), che a vario titolo hanno manifestato contrarietà o riserve rispetto ai passi avanti che, nel campo della cooperazione, della armonizzazione delle normative nazionali e dell'integrazione delle strutture, va compiendo l'Europa. Non si tratta solo di aderire con convinzione agli specifici accordi varati o allo studio da parte degli Stati membri dell'U.E. (revocando ogni riserva o resistenza fin qui manifestata), ma anche appoggiare l'azione e l'assestamento dei suoi organismi e, innanzitutto, di Eurojust, la cui istituzione, risalente alla decisione del Consiglio dell'Unione Europea (Tampere, 16.10.1999) e definitivamente deliberata il 28.2.2002 dallo stesso Consiglio, costituisce la premessa di fatto della futura costruzione di una vera e propria Procura europea. In questa prospettiva, anzi, essendo incontestabile la pertinenza alla funzione giurisdizionale dei compiti assegnati ai magistrati di Eurojust, appare necessario battersi per assicurare che la loro designazione sia riservata al CSM, al fine di porre un argine alle eventuali interferenze del potere politico di uno o più Stati o delle stesse istituzioni comunitarie: un punto programmatico che non può essere marginale per chi si proponga garantire l'indipendenza dell'ordine giudiziario ed una preoccupazione non infondata se si pensa al contenuto del disegno di legge dell'11.7.2003 approvato dal Consiglio dei Ministri (ma fortunatamente restituito al mittente dal Capo dello Stato): con tale disegno, si attribuiva al Governo il potere di designare il magistrato italiano in Eurojust (sia pure in una rosa di candidati sottoposta al preventivo vaglio dell'organo di autogoverno), nonchè il potere di impartire al medesimo "direttive per l'esercizio delle sue funzioni", tra cui figuravano anche quelle di richiedere e scambiare, anche in deroga al segreto investigativo, informazioni scritte in ordine a procedimenti penali ed al contenuto degli stessi. Nella relazione d'accompagnamento al progetto di legge si diceva infine che il Governo rinuncia alla facoltà di attribuire poteri giudiziari al suo rappresentante in Eurojust, le cui funzioni vengono evidentemente ritenute di natura amministrativa: siamo di fronte, evidentemente, a vere e proprie prove tecniche di controllo politico sull'attività giudiziaria, ad una anticipazione del complessivo disegno del Governo di sottoporre l'azione del Pubblico Ministero alle proprie direttive. 5.e- La formazione professionale, in particolare dei dirigenti e della magistratura onoraria E' innegabile, comunque, che siano necessarie anche alcune riforme ordinamentali (di quelle processuali penali già s'è detto), ma poco o nulla di utile e razionale si ritrova nei progetti del governo, peraltro mutevoli a scadenze ravvicinate, a seconda del succedersi di sentenze sgradite o degli umori dei leaders che vi si cimentano: non l'avvio della separazione delle carriere (più nettamente rilanciata, rispetto al testo del Ddl approvato in Senato, da recentissime prese di posizione all'interno del governo) e la previsione di una griglia infinita e mortificante di concorsi per il tramutamento di funzioni e la progressione in carriera; non l'esaltazione della carriera formale che così gravi danni ha arrecato alla giurisdizione ed il conformismo giurisprudenziale; non il progetto preoccupante di gerarchizzazione degli Uffici del Pubblico Ministero né il divieto di permanenza "presso lo stesso ufficio nello stesso incarico" per oltre dieci anni (che determinerebbe una obbligatoria migrazione, periodica e di massa, di migliaia di magistrati, obbligati a cambiare mestiere, con evidente sacrificio delle professionalità acquisite e delle esigenze di specializzazione, rapidità e prevedibilità delle decisioni giudiziarie imposte anche dall'estendersi della tutela giurisdizionale dei diritti nel contesto europeo), non, infine, le mille volte citate nuove regole per la interpretazione delle leggi, né i ridicoli ed anticostituzionali divieti per i magistrati di partecipare a qualsiasi manifestazione o ad associazione diverse da quelle con scopi sportivi, ricreativi, solidaristici e scientifici (sarebbe proibita, per tale via, la stessa possibilità di partecipazione alle attività dell'ANM o ad un dibattito scientifico comportante critiche alla politica giudiziaria di un qualsiasi governo !). Tra i temi oggetto della controriforma ordinamentale, piuttosto, appaiono particolarmente rilevanti, sia pure non nell'ottica e secondo le scelte del governo e della sua maggioranza, quelli della formazione e delle valutazioni di professionalità. A proposito di formazione, occorre riconoscere che oggi la stessa radice democratica della giurisdizione - essere tecnici riconosciuti del diritto - si deve collocare su un terreno di dibattito continuo, aperto, centrato anche su temi istituzionali e sociali con gli avvocati, l'accademia, la pubblica amministrazione. Tutto ciò, naturalmente, nulla ha a che vedere con lo svuotamento delle prerogative del CSM e l'attribuzione di maggiori poteri al Ministro ed alla Corte di Cassazione. Piuttosto, poiché essere giuristi vuol dire anche costruire una comune cultura del diritto e della giurisdizione, occorre un deciso rilancio della specifica esperienza delle Scuole di specializzazione per le professioni legali, il cui successo è oggi ostacolato sia da buona parte della attuale maggioranza politica, sia dal diverso approccio, anche organizzativo, realizzatosi nelle Università italiane (troppo spesso condizionate da "logica proprietaria"), sia - soprattutto - dalle resistenze del mondo forense, inspiegabilmente orientato verso la gestione autonoma dei percorsi formativi dei futuri avvocati. Ed occorre, naturalmente, dare vita alla Scuola della Magistratura, strumento essenziale per il raggiungimento dell'obbiettivo primario di assicurare il livello medio di preparazione di ciascun magistrato; una scuola che deve essere in grado di fronteggiare le esigenze formative dei magistrati in tirocinio, quelle permanenti di aggiornamento professionale in genere e quelle particolari dei dirigenti, essenziali - queste ultime - per il buon funzionamento degli uffici. Il tutto senza affievolire l'impegno dedicato in misura sempre maggiore da parte dell'organo di autogoverno verso la formazione permanente dei magistrati, che si va opportunamente orientando in misura sempre maggiore al contesto europeo, attraverso iniziative dirette a dar corpo in misura effettiva a quel modello di "giudice europeo" che costituisce un obiettivo ineludibile e per cui dobbiamo convenientemente e tempestivamente attrezzarci per superare la cd. "sfida comunitaria". Non può trascurarsi di rimarcare come, all'acquisita consapevolezza dell'importanza della magistratura onoraria (ormai numericamente imponente), occorra affiancare un adeguamento dei processi formativi (ed organizzativi) che direttamente la riguardino, in modo da rendere omogeneo e non improvvisato il suo apporto all'efficienza complessiva del servizio giustizia; un impegno che, non potendosi affidare solo alla normativa secondaria prodotta dal CSM attraverso le sue circolari, richiede scelte legislative, dirette anche ad una rivisitazione ordinamentale di un settore variegato e complesso "vulnerato", per quanto riguarda i giudici di pace, da un sistema retributivo foriero di pericolose distorsioni giurisdizionali di cui occorre reclamare un'adeguata revisione. Occorre ricordare come "l'epocale" riforma ordinamentale in discussione non contempli colpevolmente alcun aspetto di modifica della magistratura onoraria, nei cui riguardi occorre invece aumentare sin da subito l'investimento formativo, necessariamente pregiudiziale per ogni tipo di efficace coinvolgimento operativo, precostituendo modelli formativi specifici ed adeguati ad una realtà variegata e composita, utilizzando anche l'originale contributo dell'avvocatura, sicuramente interessata all'adeguamento professionale di una categoria di magistrati nei cui confronti non sono sopite perplessità o diffidenze. 5.f La valutazione della professionalità. Occorre intervenire sul tema delicatissimo ed ampio della valutazione della professionalità. L' ANM ha da tempo prestato attenzione al tema ed ha avanzato una proposta organica, elaborata all'esito di un confronto con l'avvocatura e la cultura giuridica, pubblicata nel volume "I magistrati e la sfida della professionalità". Il Ministro non l'ha neppure presa in considerazione. Sul tema è pure disponibile il confortante esito delle riflessioni maturate da circa 15 anni in sede istituzionale: proprio il CSM, lealmente collaborando con il Ministero della Giustizia, si è impegnato per la costituzione di una commissione paritetica che già nel luglio del 2002 ha definito i suoi studi finalizzati ad individuare i possibili parametri di valutazione della produttività dei magistrati, nonché i carichi di lavoro medio esigibili da ogni magistrato (che sono evidentemente differenti a seconda del "mestiere" svolto e della sede in cui si opera), ma il Ministro non ha ancora avviato la sperimentazione concordata, utile anche per indirizzare la tipologia della formazione professionale richiesta, le politiche di utilizzo e destinazione del personale, anche ad incarichi direttivi e semidirettivi e le necessarie valutazioni periodiche dell'operato dei dirigenti degli uffici. Sempre il CSM, il 3 dicembre scorso, ha istituito un gruppo di studio per la individuazione della tipologia dei provvedimenti da acquisire a campione, significativi per apprezzare l'espletamento delle varie funzioni del magistrato ai fini della progressione in carriera: compito certo impegnativo data la evidente difficoltà di ricondurre a categorie omogenee, e quindi comparabili, la molteplicità dei modelli professionali ricollegati alla pluralità delle funzioni. Ma è confortante che l'organo di autogoverno si sia mosso lungo la strada corretta e che già in alcune sedi periferiche (ad es., Roma, per iniziativa del locale Consiglio Giudiziario e prima ancora della delibera consiliare), sia stata affermato, in tema di formulazione dei pareri per la valutazione di professionalità, l'obbligo di allegare al rapporto dei dirigenti degli uffici una serie di provvedimenti giudiziari a campione, predefiniti in relazione alla funzione esercitata. Si tratta di sforzi finalizzati, in definitiva, alla regolamentazione delle cd. "verifiche periodiche di professionalità" (indipendenti dalla progressione economica), già proposte dal Ministro Flick nella scorsa legislatura, che non debbono avere come obbiettivo quello di giungere ad una graduatoria di bravura dei magistrati, che renderebbe la magistratura ancora attenta alla costruzione di titoli ed al conformismo giurisprudenziale, bensì quello di disporre di fonti di conoscenza, di elementi che possano essere indice di neghittosità, di negligenza, di incapacità a svolgere il proprio mestiere e la mancanza di attitudine a svolgere una diversa funzione o un incarico direttivo o semi-direttivo. Fonti di conoscenza che non possono che essere costituite dal "prodotto del lavoro del magistrato", da documentare anche con obbligatorie autorelazioni e da intendersi non soltanto come l'atto di esercizio della sua funzione, bensì e soprattutto come capacità complessiva di gestione del lavoro in un determinato ufficio, che consenta di mantenere un equilibrato rapporto tra procedimenti assunti in carico e procedimenti evasi. Criteri elastici che tengano conto della specificità di ogni funzione e di quella "ambientale", collegata all'efficienza della struttura amministrativa di supporto. Anche il tema della specializzazione e della rotazione nelle funzioni, normalmente affrontato in una logica riduttiva, che si limita a riproporre stantie argomentazione a favore dell'una o dell'altra tesi, rientra a pieno titolo nel discorso sulla valutazione delle professionalità. Il problema va affrontato in una logica complessiva, che ponga al centro dell'attenzione l'efficienza della giustizia e, all'interno di essa, la gestione del personale e delle risorse, e che metta in discussione le forme in cui si è andato consolidando il sistema di autogoverno della magistratura e le sue prassi, spesso distorte. Il sistema dell'autogoverno ha infatti tra i suoi compiti principali, accanto alla difesa dei valori fondamentali dell'autonomia e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, quello di gestire il personale in modo tale da fornire un servizio sempre più efficiente, anche alla luce delle eventuali modifiche legislative. Lo scopo da perseguire per andare incontro a ciò che la collettività si attende dalla giurisdizione è intuitivo: si tratta di garantire quel profilo fondamentale della certezza del diritto applicato che è costituito dalla prevedibilità delle decisioni e dalla ragionevole durata del processo. Concetti banali il cui ossequio formale non è mai venuto meno, ma la cui pratica attuazione è stata spesso disattesa dal CSM e dalla magistratura associata, i quali in questi anni hanno troppo spesso privilegiato le esigenze di garanzia e tutela della posizione del singolo. Ragionare in questi termini, significa essenzialmente costruire una organizzazione che sia capace di rispondere, in modo professionale e in tempi ragionevoli, alla domanda di giustizia che viene dalla società e che, inevitabilmente, privilegi i saperi specifici settoriali. Ma significa anche affrontare in modo distinto, seppure coordinato, i problemi dell'organizzazione, e quelli dei singoli percorsi lavorativi, della formazione e della valutazione di professionalità: ogni riflessione su questi temi, dunque, va riportata nell'alveo di una più generale discussione sulla "carriera" professionale del magistrato. Organi istituzionali ed ANM, pur del tutto inascoltati dal Ministro, hanno le carte in regola per far sapere al paese quanto sia falsa l'affermazione di parte politica che vuole la magistratura appiattita nella difesa corporativa del principio di progressione in carriera per anzianità senza demerito. Ed hanno il dovere di denunciare quanto il sistema di progressione in carriera che si vuol creare (un vero "concorsificio", come efficacemente è stato detto) possa produrre solo conformismo interpretativo, burocratismo e soggezione gerarchica . 6. Le altre possibili, meno urgenti, riforme Decisamente meno urgenti appaiono altri possibili ed utili interventi riformatori. Ad es., nel settore del diritto penale sostanziale, ove appare necessaria ed urgente la rivisitazione del regime penale ed amministrativo delle condotte collegate alla immigrazione clandestina ed al suo favoreggiamento (ci si trova in presenza di leggi razziali che non fanno onore alla tradizione ed alla storia di questo paese) e possibile un ulteriore, sia pur limitato, intervento depenalizzante. Ma prima di procedere bisognerà valutare - ed è ancora presto per farlo - l'incidenza deflattiva per il lavoro dei giudici ordinari della competenza penale attribuita ai giudici di pace. E' certamente necessaria la tipizzazione degli illeciti disciplinari, tema in relazione al quale è inaccettabile il già ricordato ddl approvato al Senato, fondato su una logica tutta interna alle necessità politiche dell'attuale maggioranza. Un discorso serio in materia disciplinare, piuttosto, può essere utilmente ripreso utilizzando come base di partenza proprio il progetto-Flick, all'epoca unanimente apprezzato. Gli interventi sulla giustizia disciplinare, però, non possono non riguardare anche gli avvocati, non essendo ulteriormente tollerabile l'esercizio della funzione difensiva fondato su strategie meramente dilatorie (non consentite dal codice di rito) o, peggio, sulla sistematica diffamazione dei giudici e dei pubblici ministeri, che nulla ha a che fare con l'esercizio del legittimo diritto di critica. Ed occorre finalmente intervenire legislativamente per sancire, al pari di quanto avviene per i magistrati, l'assoluta incompatibilità tra l'esercizio della funzione parlamentare e quello della professione forense, non essendo corretto in democrazia che la prima, come abbondantemente si è visto in questa legislatura, venga utilizzata per la tutela - o per tentativi di tutela - degli interessi dei propri clienti, dando così luogo a vistosi conflitti di interesse . La composizione numerica del CSM, poi, deve essere riportata a quella esistente prima della Legge di riforma 28.3.2002, n.44, essendosi quella attuale rivelata del tutto inadeguata ai crescenti compiti dell'autogoverno ed al loro rilievo istituzionale. Va rafforzata, inoltre, la funzione dei Consigli Giudiziari, anch'essi gravati da nuovi compiti (basti pensare a quelli derivanti dall'amministrazione della magistratura onoraria), ma non attraverso la previsione della presenza di componenti laici eletti da Consigli regionali, bensì, in una prospettiva di decentramento, affidando loro alcune competenze attualmente del CSM e coinvolgendo l'avvocatura e la rappresentanza della magistratura onoraria in attività organizzative e nella formazione professionale. 7- La difesa dell'esistente : lo statuto del pubblico ministero. A giudizio di molti, la partita decisiva che si profila sul piano ordinamentale è quella che si gioca intorno allo statuto normativo ed al ruolo del pubblico ministero. Sono fin troppo evidenti le aspettative di condizionamento politico dell'attività del pubblico ministero connesse all'idea della separazione delle carriere. Ma parallelamente crescono non meno insidiose spinte allo svuotamento delle attuali prerogative processuali del pubblico ministero che sono invece essenziali all'effettività del suo statuto di autonomia. Si è già visto (paragrafo 5.d, ultima parte), ad es., quale sia l'orientamento del Governo in tema di configurazione del ruolo dei magistrati destinati ad Eurojust (non più magistrati, ma, appunto, funzionari amministrativi) Vi è ovviamente dell'altro all'orizzonte: il principio legale (art. 330 c.p.p.) che abilita il pubblico ministero a prendere notizia dei reati direttamente e, quindi anche in mancanza di una denuncia o dell'iniziativa degli organi di polizia, lungi dal rappresentare un'anomalia procedurale, costituisce invece una fondamentale garanzia processuale della posizione di indipendenza della magistratura inquirente, oltre che di promozione dell'effettiva eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, garantendo la possibilità di avviare un'indagine ed esercitare l'azione penale anche nei casi nei quali manchi una iniziativa delle strutture di polizia, che dipendono dall'esecutivo. Allo stesso modo il complesso delle regole procedurali che oggi garantiscono al pubblico ministero la direzione ed il controllo delle indagini preliminari realizza più elevati standards di garanzia dei diritti della difesa. La conservazione dell'una e dell'altra serie di prerogative processuali non è meno rilevante per la tutela dell'effettività della giurisdizione penale, rivelando le proposte di segno contrario - fondate sulla concezione del pubblico ministero passivo recettore di notizie di reato preconfezionate dalla polizia - scopi dichiarati di controllo politico strumentale dell'azione penale. In altri termini, l'obiettivo di condizionarne l'esercizio può realizzarsi non soltanto attentando all'unità della giurisdizione e all'effettività dello statuto di indipendenza ed autonomia del pubblico ministero, ma anche, più silenziosamente, svuotando le attribuzioni a lui spettanti in tema di avvio e conduzione delle indagini. In questo campo, dunque, la riforma per il futuro consiste nella difesa dell'esistente: si contrasti, dunque, ogni disegno di separazione delle carriere, perché è possibile assicurare ai cittadini un più elevato livello di garanzie solo se, come in Italia, giudici e magistrati del pubblico ministero partecipano allo stesso concorso per l'accesso alla professione, sono animati dalla stessa cultura della giurisdizione (frutto anche di medesimi programmi di formazione ed aggiornamento), realizzano una continua osmosi di esperienze professionali e godono delle stesse prerogative costituzionali di indipendenza ed autonomia. Ci spiace che questa posizione ci divida dall'Avvocatura, con la quale - ovviamente - il confronto non può essere interrotto, nella speranza, però, che alcune opinabili osservazioni formulate (secondo cui, ad es., sarebbe il nuovo testo dell'art. 111 della Cost. ad imporre la separazione delle carriere) siano suscettibili di più meditata e documentata riflessione. 8. La cancellazione delle leggi ad personam Altro rilevante punto programmatico che deve caratterizzare la linea dell'ANM non può non essere la richiesta di cancellazione delle leggi ad personam che hanno determinato l'affievolimento del controllo di legalità e l'arretramento del prestigio del Paese nel contesto internazionale: una precisazione non superflua, specie quando si sente autorevolmente affermare che l'alternanza nella guida politica del paese, favorita da un sistema bipolare, non può comportare la rivisitazione delle leggi approvate da un Parlamento caratterizzato da diverse maggioranze. Bisogna tornare a parlare, allora, di principi non negoziabili : se la ricerca della mediazione a costo del sacrificio della propria identità culturale e politica è stato il tratto distintivo della politica giudiziaria del precedente governo, quello dei programmi dell'attuale maggioranza - ripetiamolo ancora - è senza dubbio la tutela degli interessi personali di pochi e la connessa mortificazione della magistratura. E' prioritaria, dunque, l'esigenza di rivisitare criticamente e porre rimedio agli effetti più nefasti della recente legislazione in tema di giustizia, o almeno di quelli resistenti alla intrinseca capacità dell'ordinamento di assorbire e neutralizzare i tentativi di distorcere il contenuto ed il significato di fonti superiori. La cd. legge sulle rogatorie, n. 367 del 2001, di ratifica ed esecuzione dell'Accordo di assistenza giudiziaria stipulato il 10.9.1998 fra Italia e Svizzera vale ad offrire una dimostrazione emblematica della forza di resistenza del sistema assicurata dal rigore e dalla coerenza sistematica dell'opera interpretativa offertane dai giudici, i quali, prima ancora di invocare l'intervento correttivo della Corte Costituzionale, hanno il dovere, più volte richiamato dal giudice delle leggi, di ricercare, nella ricognizione del contenuto delle norme, una interpretazione alternativa a quella che determinerebbe il contrasto con la legge fondamentale dello Stato. E' così avvenuto che i giudici, che applicano le nuove norme nel quadro dei principi del diritto costituzionale e del diritto internazionale, hanno, in pratica, rifiutato l'interpretazione avuta di mira dal legislatore (in ciò aiutati, come ha per primo osservato Franco Cordero, dalla obiettiva povertà tecnica dello sforzo di traduzione della volontà politica originatrice) e ne hanno ribadito un'altra, considerata più coerente ai principi costituzionali che regolano i rapporti internazionali ed alla gerarchia delle relative fonti e la Corte di Cassazione ha poi confermato la correttezza della decisione. Nonostante le alte grida di chi ha accusato i giudici di "interpretare" la legge in senso difforme dalla volontà sovrana del Parlamento eletto dal popolo (questo il significato della risoluzione approvata a maggioranza dal Senato il 5.12.01), la Confederazione Elvetica ha ratificato la Convenzione bilaterale proprio per effetto dello stabilizzarsi di tale orientamento giurisprudenziale. La capacità dell'ordinamento di assorbire gli effetti nefasti di alcune leggi disgregatrici si è dimostrata anche in occasione dell'applicazione del nuovo regime della rimessione del procedimento penale ad un giudice diverso da quello naturale (cd. legge Cirami): questa legge non ha condotto agli esiti dichiaratamente perseguiti nelle particolari vicende processuali che ne erano state l'origine solo per il rigore opposto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (per questo anch'esse, naturalmente, accusate di avere agito per finalità politiche) nel concreto apprezzamento della sussistenza dei presupposti legittimanti il ricorso a quell'eccezionale rimedio, ma è un dato di fatto che la nuova disciplina è sempre più spesso strumentalmente chiamata in causa nei processi di criminalità organizzata ed ogni qual volta prevalgano strategie difensive dilatorie. La Corte Costituzionale, infine, ha cancellato l' ultimo frutto dell'azione combinata di manovre avvocatesche e legislatori ad personam : la legge sulla sospensione dei processi contro i titolari delle cinque più alte cariche dello Stato, anche se relativi a reati commessi al di fuori dell'esercizio delle loro funzioni. Ma proprio queste incredibili vicende (non a caso duramente stigmatizzate anche dal mondo accademico) richiamano la necessità di non perdere di vista la gravità del frequente ricorrere, per via legislativa, a vere e proprie avventure sul terreno della legalità costituzionale o a palesi tentativi di interferire per via amministrativa sull'esercizio della giurisdizione o dell'autogoverno della magistratura, come tali in grado di generare pericolosi conflitti di attribuzione : è del resto evidente che gli strumenti correttivi e stabilizzatori previsti dall'ordinamento (compresi quelli della Corte Costituzionale) possano essere esposti ad un serio rischio di sfiancamento dinanzi alla moltiplicazione dei comportamenti istituzionali anomali e produrre altresì violente aggressioni - come quella che si profila in danno della Corte Costituzionale e che già si è manifestata nei confronti del suo neo Presidente, il prof. Gustavo Zagrebelsky al quale esprimiamo la nostra piena e convinta solidarietà - in danno degli organi e delle istituzioni di controllo. Dunque, non si tratta di far seguire ad ogni eventuale cambio di maggioranza di governo la sostituzione delle leggi gradite alla vecchia maggioranza con altre ben viste dalla nuova, ma di dare avvio ad una nuova stagione politico-istituzionale nella quale, anche attraverso la cancellazione delle leggi che li hanno posti in crisi, ripristinare la tutela dei principi non negoziabili: l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e l'autonomia ed indipendenza della magistratura, ma anche quello del tempus regit actum, in modo che non siano più possibili, nell'applicazione delle regole del processo, eccezioni votate ad influire sull'esito dei procedimenti in corso. 9. La sfida dell'ANM, nell'ANM 9.a La possibile convergenza dei programmi e lo sforzo di trasparenza La condivisione di questo percorso (accettazione del confronto ed elaborazione di proposte e linee guida sulle riforme che servono; rifiuto di trattative e di mediazione sulle altre, ovvero sui principi non negoziabili), in quanto fondato su precise ragioni tecniche e su una scala di valori condivisa, sembra un obiettivo alla portata di tutte le componenti dell'ANM: si rafforzerebbero, peraltro, l'omogeneità dell'Associazione e la possibilità di azione comune a difesa dell'autonomia della magistratura. Si tratta ovviamente di un obiettivo tendenziale, anche se non necessariamente troppo distante nel tempo, al quale non può far ombra la pretesa di preservare a tutti i costi la identità delle componenti dell'ANM. Certamente non sarà il Movimento per la Giustizia, nato più di quindici anni fa proprio per reagire alle degenerazioni correntizie, a frenare un percorso di tendenziale avvicinamento tra le correnti. Anzi, auspichiamo un processo di rifondazione dell'Associazione che, avvicinando le sue componenti quanto ai contenuti dei rispettivi programmi ed alla condivisione della scala dei valori che essi presuppongono, determini lo spostamento della dialettica interna sul terreno del quantum di coerenza tra propositi enunciati e prassi consiliari ed associative, in sede centrale ed in sede periferica. Una contesa sulla trasparenza che, facilitata dalla diffusione delle informazioni attraverso le mailing list ed i siti web delle componenti dell'ANM, consenta ad ogni magistrato di valutare le prassi istituzionali ed associative dei rappresentanti di ciascun gruppo. A questo proposito, ci sarà marginalmente consentito di rivendicare al Movimento non solo di essere stato il primo gruppo dell'ANM ad avere dato vita, nel '98, ad una mailing list, ma anche di avere scelto da subito la formula della lista aperta ai non iscritti ed ai non magistrati. Questa strada ci ha esposto a basse strumentalizzazioni, che ancora proseguono e che non ci intimidiscono, ma si è anche rivelata una scelta vincente al fine di avvicinare i cittadini al mondo ed ai problemi reali della giustizia. 9.b : La questione morale. Ma, indipendentemente dai tempi entro i quali l'omogeneità dell'azione dell'ANM potrà assestarsi e dalla efficacia degli strumenti tecnici per rendere trasparente e giudicabile l'attività di ogni sua componente, l'Associazione stessa e le sue componenti devono rilanciare la questione morale, nella sua accezione più vasta. Ciò comporta oggi, innanzitutto, la denuncia dell'intreccio spesso perverso tra gli interessi clientelari dei gruppi e talune scelte istituzionali nel CSM che ha finito per inquinare la stessa azione consiliare. Non vi può essere dubbio, infatti, che oggi appaia più grave che mai la distanza tra declamazioni verbali (spesso fieramente "gridate" da chi, fino a poco tempo fa, faceva professione di moderatismo) ed alcuni comportamenti consiliari : le regole non possono essere piegate agli interessi dei gruppi, ai vecchi schemi correntizi. E quando questo avviene è necessaria una severa azione di denuncia : perché ci si può anche dividere, ma non certo per effetto di un residuo corporativismo e di logiche di appartenenza. Insomma, come già è stato detto, la stessa legittimazione della magistratura ad adottare una linea di intransigente difesa dei principi sarà maggiore se ripartiremo dalle prassi virtuose, nel CSM e nei singoli uffici, ove vanno denunciati deviazioni ed opportunismi. Ma i magistrati devono essere in grado di parlare non solo dei temi sui quali essi soltanto e gli altri addetti ai lavori possono interloquire, ma anche di quelli che il semplice utente capisce e che sente per sé più gravosi, come i costi della giustizia, i rimborsi ai testimoni, i palazzi che sono come un labirinto dove il cittadino non sa mai a chi rivolgersi, gli orari fittizi delle convocazioni, i rinvii inspiegabili, la buona educazione del magistrato verso le parti e gli avvocati (che è spesso un optional che si nutre di cartelli ed avvisi, piuttosto che di comprensione anche delle necessità altrui). Essere inattaccabili su questo piano può costare fatica, ma alla lunga rende la magistratura forte. 10 : Lo sciopero alle porte L'ANM, alla luce dell'analisi del contesto sociale, storico e politico in atto, considerata la gravità dell'attacco portato dall'attuale maggioranza politica alle sue prerogative costituzionali e l'assoluta insensibilità ed indisponibilità del Governo rispetto ad ogni ipotesi di seria discussione ed utile dialogo, non ha che una strada: dichiarare lo sciopero all'esito del Congresso Nazionale di Venezia. L'astensione dal lavoro, garantiti i servizi che riguardano i detenuti, dovrà essere attuata con modalità che ne attestino la serietà : non manifestazione virtuale di protesta, ma di effettiva denuncia delle condizioni in cui la magistratura opera e dei reali intenti della classe politica di governo. Ma perché lo sciopero non risulti un'arma spuntata è necessario che esso si inquadri nell'ambito di una serie di iniziative proiettate nel contesto europeo e capaci di coinvolgere i cittadini in una mobilitazione di lunga durata. Nel richiamare il contenuto del documento presentato nella seduta della Giunta Esecutiva Centrale della ANM del 28.1.04 (documento che segue in allegato), pensiamo, ad es., che sia necessario dar vita ad una petizione popolare per comuni necessità da rivolgere alle Camere ai sensi delll'art. 50 Costituzione, che si debba organizzare una pubblica manifestazione dei magistrati da tenersi di fronte ad una significativa sede istituzionale. Ma ci appare anche essenziale appare l'apertura dei palazzi di giustizia ai cittadini ed alle associazioni, anche con modalità ed in orari inusuali, per illustrare le condizioni in cui operano i magistrati italiani. Utile sarà, poi, la loro disponibilità a recarsi in ogni luogo e contesto ove sia possibile e richiesta l'illustrazione delle ragioni di crisi della giurisdizione. Questo congresso - che registra una partecipazione straordinariamente elevata di magistrati - costituirà ovviamente il banco di prova e valutazione di ogni iniziativa che, anche da altre parti, sarà proposta. Ascolteremo con attenzione ogni intervento, nell'auspicio di pervenire, così, a decisioni unanimi e condivise. Qualcuno, forse, potrà ritenere che questa relazione sia troppo "politica" nella prima parte, troppo prolissa in quella propositiva, retorica in alcuni passaggi. Forse c'è del vero in ognuna di queste possibili obiezioni e spero solo che la nettezza delle valutazioni espresse possa giustificare qualche eccesso dialettico o qualche sbavatura. Ma i guasti al sistema democratico ed alle prerogative costituzionali della giurisdizione si succedono veloci e, purtroppo, il tempo non è una entità neutra: per più tempo i guasti si protrarranno, maggiori saranno le difficoltà per rimuoverli: dunque, gli errori o gli eccessi di chi tutto questo comprende e teme, potranno - spero - essere perdonati. Ma inerzie e passi felpati di chi non si accorge che è oggi in gioco la qualità della democrazia nel paese possono risultare fatali. Come ha detto Camilleri al Brancaccio, bisogna adoperarsi per chiudere i cantieri aperti per la demolizione della giustizia: questo deve essere il nostro scopo, sperando che la tutela degli interessi generali ritorni ad essere la stella polare per l'azione dei governanti. Ma è un compito che i magistrati ed i giuristi non possono affrontare da soli: sarebbe modesta prospettiva quella di chi temesse contaminazioni. Caliamoci tra la gente e nelle associazioni, dunque ! Coinvolgiamo gli uomini della cultura e le persone che incarnano l'idea della moralità e della intransigenza sui valori. Proprio la vaccinazione collettiva è il mezzo di difesa contro le tecniche di comunicazione e la guerra psicologica usate contro la magistratura: essa consiste nella diffusione di persona in persona, di gruppo in gruppo, attraverso strumenti moderni e tradizionali, della conoscenza effettiva della realtà e del rischio di lesione dei principi costituzionali. La vaccinazione funziona e noi dobbiamo crederci non solo perché ce lo dicono gli esperti di comunicazione, ma anche perché vediamo crescere l'attenzione dei cittadini attorno a noi. E poi, cari colleghi, quali altre scelte potremmo oggi praticare? Lavoriamo, dunque, sul medio termine e pensiamo in grande, con fiducia nel Paese! "C'è in giro una sete enorme di valori, di principi che non sono praticati…so che si dice che ciò è lirico..ma se si cerca di farli vivere, se si è disposti a pagare qualcosa, cade la retorica. Occorre che ciascuno faccia la sua parte". Tutto ciò vi propongo a nome del Movimento per la Giustizia, non per desiderio di conservazione, ma perché sogniamo una Associazione dei magistrati forte ed autorevole, radicata nella parte migliore del Paese. by Bollettino Osservatorio _____________ I
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