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NOTIZIARIO del 06
febbraio 2004
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Le
leggi ad personam Relazione di Armando Spataro, segretario generale del Movimento per la Giustizia, al XXVII Congresso Nazionale della Associazione Nazionale Magistrati (Venezia, 5-8 febbraio 2004). Il titolo e' nostro. PARTE PRIMA 1.L'analisi della fase storica, il clima politico, la controriforma del settore pubblico, i riflessi sulla politica giudiziaria Non può esservi alcun dubbio sul fatto che il nostro Paese non abbia mai vissuto, dal dopoguerra ad oggi, un periodo così gravido di pericoli - ma anche di danni ormai consumati - per la stessa possibilità di corretto funzionamento del sistema democratico voluto dal costituente. Si può affermare, anzi, che l'involuzione dei rapporti tra potere ed istituzioni, tra potere e cittadini è pervenuta a livelli inimmaginati anche dai più pessimisti osservatori della nostra realtà contemporanea: intendo riferirmi al progressivo affermarsi di una concezione privatistica dell'esercizio del potere di governo che, pur legittimato dall'esito della competizione elettorale della primavera del 2001, si è prevalentemente rivolto verso la tutela dell'interesse di pochi, anziché dell'interesse generale. Nella presentazione del Convegno pluritematico di Milano del 15 gennaio scorso, su Controriforme e diritti dei cittadini (...), abbiamo scritto: "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica; tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e la libertà di insegnamento in condizioni di parità tra scuole private e statali; la Costituzione afferma la libertà di stampa e di informazione, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e l'autonomia della magistratura. Ma le riforme ed i progetti di riforme che oggi si affollano nel settore pubblico stanno mettendo a dura prova la "resistenza" di questi principi". Ecco, dunque, il primo punto fermo sul quale l'ANM è chiamata ad esprimere valutazioni condizionanti la scelta della sua linea di azione: abbiamo a che fare con un complessivo progetto di riforma del settore pubblico che viene giustificato e presentato al Paese, peraltro nelle forme di un permanente show mediatico, con la necessità di perseguire modernità ed efficienza, anche attraverso l'incremento dei poteri del premier : si sta alterando, in realtà, il senso stesso dei rapporti tra le istituzioni ed i cittadini, si stanno moltiplicando le disuguaglianze, compromettendo il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione. Diventa lecito, perciò, parlare di una generale "controriforma" che avanza - e non della crisi di un singolo settore della vita pubblica. In questo contesto, l'analisi della politica giudiziaria dell'attuale maggioranza parlamentare e del governo non può dunque essere affrontata senza contemporaneamente considerare le sofferenze del mondo dell'istruzione e della sanità, del lavoro e della ricerca e, soprattutto, della informazione e della libertà di stampa. Per poi tornare alla giustizia, che rimane al centro delle nostre attenzioni, ed alle ragioni per cui il Governo, per bocca del Ministro Castelli, afferma ossessivamente che il problema centrale che l'affligge è quello dei rapporti tra la magistratura e la classe politica, tra la magistratura ed il legislatore. Se si condividono queste premesse, si comprende il successivo passaggio di questa relazione: la Associazione Nazionale Magistrati non può pensare di limitare il suo raggio d'azione e di analisi al solo pianeta-giustizia, sia pure per denunciarne con forza la deriva contraria all'interesse dei cittadini. Deve, invece, parlare di giustizia, ed in questo settore articolare proposte, senza perdere la visione del quadro d'insieme in cui i problemi della giustizia si collocano e senza perdere collegamenti (anzi intensificandoli) con tutte quelle altre componenti della società che, sia pure traendo origine da altre esperienze, professionali e non, si facciano carico di tutelare e far vivere i valori scritti nella Costituzione. Ciò rafforzerà e conferirà ulteriore legittimazione alle valutazioni e proposte dell'ANM sul tema della giustizia che le è proprio. La convinta apertura al mondo esterno a quello della magistratura, peraltro, non è solo finalizzata ad incrementare il campo delle forze che vorremmo a noi vicine nella difesa dei valori per cui abbiamo scelto di fare questo lavoro; è un'apertura finalizzata, piuttosto, ad allargare il fronte dei cittadini consapevoli del fatto che gli attacchi e le ingiurie alla Magistratura ed al principio di eguaglianza costituiscono solo una parte - forse neppure la più significativa - degli strumenti messi in campo per consentire l'esercizio del potere senza controlli. L'osservazione della realtà internazionale, peraltro, conferma l'esistenza di una netta divaricazione tra l'Italia ed il resto del mondo occidentale: in nessun paese a democrazia avanzata, infatti, sarebbe possibile un così clamoroso conflitto di interessi come quello conosciuto nel nostro, manifestatosi anche formalmente, circa un mese fa, con la firma apposta dal Presidente del Consiglio al decreto legge riguardante una rete televisiva di sua proprietà. Neppure negli Stati Uniti, dove pure i poteri del Presidente-premier sono notoriamente estesissimi e fisiologica è l'alternanza dell'uno o dell'altro schieramento politico nel governo della nazione, qualcuno ha mai pensato a riforme finalizzate ad attenuare il sistema di controlli bilanciati e reciproci che è l'essenza della tradizione democratica di quel paese. Il fatto è che dovunque esistono spinte culturali, libertà di stampa e di informazione, sensibilità diffuse che consentono ai popoli di identificarsi con le istituzioni e di difenderle anche dagli abusi e dagli eccessi di chi li governa. E' questa identità culturale, questa coscienza democratica che la magistratura italiana, per la sua parte, magari modesta, deve contribuire a rafforzare nel nostro paese. Che senso, del resto, avrebbe per la magistratura tutta impegnarsi per la difesa della indipendenza della giurisdizione in un sistema in cui l'informazione fosse totalmente controllata, la cultura penalizzata, la solidarietà esclusa, la sanità negata, il profitto personale e d'azienda l'unico fine, il Parlamento ridotto al ruolo notarile ? Qualcuno per questo potrebbe accusare - e di fatto accusa - la magistratura o alcune sue componenti di optare per una scelta politica a tutto campo. Si tratta di un'accusa falsa e strumentale e come tale essa va respinta senza lasciarsene condizionare neppure in minima parte : la magistratura, infatti, non è un soggetto politico in senso proprio, né può esservi soggettività politica in un corpo deputato all'applicazione imparziale delle regole prodotte dalla politica. Questo corpo non è titolare né di obiettivi politici in senso proprio né di interessi politici diversi dalla volontà di applicare le norme, iniziando da quelle costituzionali, e di realizzare pienamente i valori sottesi alle norme. Ma appunto per questo è evidente che perseguendo la difesa strenua dei valori e dei principi, la magistratura (e la sua Associazione) non si schiera affatto per una parte politica . Ben possono affermarlo quanti tra noi, anche in sede istituzionale, hanno criticato con la dovuta fermezza le scelte legislative addebitabili al precedente governo, quelle che hanno portato, tra la fine del '99 ed i primi mesi del 2001, alla devastazione del processo penale ed all'indebolimento delle possibilità di tutela degli interessi della collettività e delle vittime dei reati. Ma oggi il quadro è ben più allarmante e non giova certo la confusione che, a proposito di riforme effettivamente utili, sembra talvolta affiorare all'interno dello schieramento d'opposizione: anche per questo, e per coerenza, non possiamo consentirci passi indietro o incertezze. 2. Le leggi ad personam e le ragioni delle riforme rancorose Per non far torto all'intelligenza di alcuno, non intendo spendere una sola parola per illustrare il contenuto delle leggi che, varate dalla primavera del 2001 ad oggi, hanno determinato l'arretramento del paese sul piano dell'efficienza e dell'etica. Ne abbiamo discusso approfonditamente in numerose occasioni, confortati dalle valutazioni della netta maggioranza del mondo accademico e degli osservatori internazionali. Mi limiterò ad elencarle: - la legge sul rientro anonimo dei capitali illecitamente costituiti all'estero; - quella sul falso in bilancio; - quella sulla composizione e sul sistema elettorale del CSM; - quella sulle rogatorie; - quella sul legittimo sospetto; - quella sull'immunità alle cinque più alte cariche dello Stato, tralasciando, peraltro, di ricordare leggi "minori", progetti abortiti ma sempre in pista (la riforma del minorile, ad es.), atti amministrativi e scelte di politica giudiziaria ancora in fieri, tutte costantemente connotate dalla preoccupazione per gli interessi di pochi, anziché per la efficace tutela di interessi generali e diffusi. Sembra frutto di una provocazione o di un'inescusabile dimenticanza, dunque, quanto affermato dal Ministro della Giustizia (v. quotidiani del 29 gennaio scorso) a proposito della "legge Boato" sulla grazia ad un illustre condannato: "Il testo Boato è ragionevole ma il Parlamento si deve occupare di leggi che non interessano una sola persona, ma migliaia di cittadini" ! Tralascio pure l'elencazione degli insulti e delle ingiurie che nello stesso periodo, ma anche in precedenza, la Magistratura ha dovuto subire dal Presidente del Consiglio e da autorevoli esponenti delle istituzioni e della attuale maggioranza, contumelie rimaste spesso senza adeguata risposta istituzionale. In questo quadro politico, davvero senza eguali nel mondo civile, la Magistratura è riuscita ad andare avanti, portando a termine, sia pure in primo grado, alcuni dibattimenti "scottanti", a carico di esponenti politici di rilievo, sui quali - è inutile nasconderlo o sussurrarlo - si erano concentrate precise attese di impunità, per effetto di un'arrogante legislazione ad personam, che aveva portato alla trasposizione in legge del contenuto di istanze difensive rigettate dai collegi giudicanti. Non ci interessa - è chiaro - sottolineare l'esito di quei processi (uno dei quali accolto con soddisfazione persino da imputati e loro difensori), quanto gli sforzi ed i sacrifici personali e professionali, rispettivamente prodotti e sopportati dalla magistratura, unicamente per portare a termine i citati dibattimenti e solo per questo ricoperta di contumelie. Ma terminati quei dibattimenti, le controriforme mirate e rancorose non si fermano, e ciò per più ragioni: a) perché deve ancora celebrarsi il processo a carico del Presidente del Consiglio, fin qui stoppato dal semestre europeo e dal "lodo Maccanico-Schifani", da subito apparso macroscopicamente incostituzionale e tale dichiarato il 13 gennaio scorso; b) perché dovranno ancora celebrarsi i dibattimenti di appello dei processi milanesi sopra ricordati; c) perché, comunque, la magistratura va punita per la sua inconcepibile pretesa di giudicare anche gli eletti dal popolo; d) perché gli eletti dal popolo, o buona parte di essi, intendono evitare che l'eresia possa in futuro riproporsi; l'eresia di una magistratura che intende tenere fede ai doveri ed al ruolo che le assegna la Costituzione. Naturalmente, non sono solo gli eletti dal popolo a pensare di potersi giovare di questo stato di cose e delle ulteriori controriforme che avanzano: il potere criminale mafioso e comune, anche a prescindere dalle collusioni politiche, avanza identica richiesta. E non è un caso, infatti, che, dopo le leggi vergogna, siano numerosi i procedimenti per questo tipo di reati che vengono rinviati o sospesi grazie agli strumenti inventati per gli imputati potenti. Non possiamo dimenticare questo scenario ogni qualvolta ci apprestiamo ad esaminare il contenuto dei vari progetti di riforma che ci vengono periodicamente propinati asseritamente in nome dell'efficienza, della modernità e per meglio garantire i diritti dei cittadini. E non possiamo dimenticarlo ogni qualvolta parliamo di nuove leggi sulla informazione e di riforma della seconda parte della Costituzione (che, come è noto, prevede maggiori poteri per il premier - compreso quello di sciogliere le camere- il ridimensionamento di quelli del Capo dello Stato, il Parlamento ridotto ad un ruolo notarile e la Corte Costituzionale ridisegnata in modo preoccupante). In proposito, sa di inganno l'affermazione che si sente spesso ripetere : ".. noi vogliamo modificare solo la seconda parte della Costituzione, restano intoccati i diritti ed i principi riconosciuti nei primi articoli della Costituzione". Già, ma come sarà possibile la tutela dei diritti di fronte a giudici ed istituzioni di controllo ridotti al rango di organi serventi? 3. Il ruolo dell'opposizione politica, rilievi critici sull'azione del CSM e dell'ANM. Altri rilievi vanno ora sottoposti all'attenzione dei magistrati e dei cittadini, il primo dei quali concerne il piano della politica, mentre il secondo ci riguarda direttamente: a) non ci pare comprensibile - se non in una logica politica nel senso deteriore - l'atteggiamento troppo spesso incerto della attuale opposizione politica; b) non ci sembrano sempre giustificabili neppure atteggiamenti di eccessiva prudenza che talvolta si palesano sia nell'azione del CSM, che in quella dell'ANM. Sembra quasi, cioè, che - da un lato - l'opposizione politica sia convinta di potere utilmente percorrere anch'essa le strade controriformistiche tracciate dalla maggioranza e così guadagnare consenso elettorale, e che - dall'altro - Csm ed Anm troppo spesso pensino di potersi confrontare con un interlocutore credibile, con il quale, cioè, sia effettivamente possibile discutere intorno agli aggiustamenti tecnici da apportare a questa o quella riforma, al fine di renderla accettabile. 3.a Parliamo dell'atteggiamento della opposizione politica: sappiamo che la Giunta dell'ANM ha comprensibilmente ricercato ed effettuato incontri con i rappresentanti di tutti i partiti politici; è stato giusto, era doveroso. Ma abbiamo anche appreso che, nel corso di quelli con i partiti dell'opposizione, pure in generale solidamente orientati per la difesa delle prerogative costituzionali della magistratura, è stato frequentemente registrato un pressante invito "a cedere su qualche punto" della riforma ordinamentale. "Qualcosa dovere concedere" è stato detto ai nostri rappresentanti, quasi si discutesse della trattativa per la compravendita di un bene di opinabile valore. Quest'atteggiamento non dà solo la misura di una certa impreparazione tecnica, ma anche di una curiosa propensione a gareggiare in una nobile competizione tra gli schieramenti politici d'ogni colore per garantirsi il titolo del "bravo riformista": la riforma in sé diventa un fine, a prescindere dal suo contenuto e dalla sua effettiva necessità. Bisogna dimostrarsi riformisti a tutti i costi perché questo impone il rito massmediatico di questa stagione, officiato ai massimi livelli istituzionali, appena temperato dall'auspicio che tutti vi prendano parte con buona disposizione d'animo, "perché le riforme non si fanno a colpi di maggioranza". Ma questa direzione, per quel che riguarda il Movimento, può indirizzare solo una classe politica che non abbia ben chiara la scala dei valori cui conformare la propria azione e che per questo rischia pure di compromettere la sua identità culturale. Lo dimostrano, del resto, al di là della quantità di divisioni interne, alcune preoccupanti posizioni emerse all'interno dello schieramento d'opposizione da quanti aspirano a dimostrarsi "imparziali": una consistente e significativa area del centro sinistra auspica il ritorno al clima ed alla logica della bicamerale, ha manifestato apertura verso un'ipotesi di Commissione d'inchiesta su Mani Pulite e promosso un'autocritica interna alla sinistra "che lasciò mano libera ai magistrati visto che le loro indagini finivano per far cadere le teste degli avversari politici" (così i senatori diessini Morando, Macaluso, Petruccioli, il verde Boato ed il socialista Del Turco, in straordinaria sintonia con i parlamentari Saponara, Gargani e Tabacci della maggioranza, nell'ambito di un convegno organizzato all'inizio di dicembre nella sede della Fondazione Basso sul rapporto tra giustizia e politica); il sen. Elvio Fassone, al quale tutti riconosciamo assoluta autorevolezza, spinge per il confronto sulla riforma ordinamentale, proponendo una serie di modifiche all'insegna di una possibile "riduzione del danno"; l'on.le Violante propone di sganciare dal CSM la giurisdizione disciplinare; all'interno della associazione ItalianiEuropei avanzano progetti di riforma che definire singolari è poco; l'on.le Amato offre sponde alla maggioranza sostenendo anch'egli, sia pure con sensibili differenze progettuali, la necessità di maggiori poteri per il premier; nella Margherita e nello SDI ed ancora con il Boato-bicameralista, si levano voci possibiliste sulla riedizione del lodo Maccanico-Schifani sotto forma di legge costituzionale (come se la forma della legge potesse evitare la lesione del principio di eguaglianza). Insomma, torna a manifestarsi la filosofia della politica giudiziaria degli ultimi due anni del governo di centrosinistra che, ispirata a logiche di esasperata mediazione, è stata l'anticamera del diritto dei forti che oggi vive nel sistema. Ma di bicamerali, anche se travestite o mascherate, non vorremmo più sentire parlare! Tentando, dunque, di sintetizzare il quadro degli atteggiamenti della maggioranza, possiamo dire di avere prima assistito ad una vera e propria campagna pubblicitaria, condotta con tecnica da marketing, tendente convincere i cittadini che l'inefficienza del sistema è addebitabile ai magistrati ed alle loro finalità politiche e che, per questa ragione, le riforme della giustizia si devono assolutamente fare: è vero che i "moderati" dello schieramento parlano di larghe intese (magari pensando all'opposto) ed avanzano emendamenti insignificanti, ma i falchi ribattono che le riforme si faranno comunque a colpi di maggioranza e non deflettono neppure dalle scelte più impresentabili. La maggioranza, cioè, persegue il fine delle "mani libere": controlli affievoliti (prima di tutto quelli della magistratura) e bilanciamenti solo nominali (da parte del Capo dello Stato, del Parlamento e delle Autorità di Garanzia) fanno da apripista all'incremento del potere dell'esecutivo e di chi lo dirige. Ma l'opposizione, confusa ed incerta, scende sullo stesso terreno ed, inseguendo l'agenda che le viene imposta dalla maggioranza, elabora progetti ambigui e speculari, sforzandosi di riempirli di contenuti ritenuti migliori o più presentabili, ma molto spesso eccentrici rispetto all'economia generale del sistema e rispetto alla stessa scala di valori che ne ha caratterizzato la tradizione e che tuttora dovrebbe caratterizzarne l'azione. Vorrei a questo prevenire un'obiezione, quella che, secondo questa relazione, l'intero quadro politico istituzionale - destra, sinistra e centro, alto e basso - verrebbe presentato come inaffidabile ed avverso alla magistratura e ai valori che essa si propone di realizzare. Se così fosse, ne seguirebbe che la rappresentatività dei valori in capo alla magistratura sarebbe l'unica non inquinata, laddove il sistema di rappresentanza realizzato nella politica non risulterebbe affidabile. In tal modo la magistratura verrebbe rappresentata non soltanto come isolata, ma anche come contrapposta alla rappresentanza politica. Non è così : l'analisi del Movimento, come anche le pagine successive consentiranno di verificare, si fonda proprio sulla convinzione che un corpo come la magistratura non è - e non ha nessun interesse a presentarsi come - l'unico depositario dei valori sociali e non ha titolo, né interesse, per presentare l'intera compagine politica come affetta da incapacità o non-volontà di cogliere i valori sociali. Ad essa, anzi, può solo affidare le proprie motivate riflessioni nella convinzione di poter rendere un doveroso servizio alla collettività. Inoltre, proprio per rendere autorevole la forte difesa delle sue prerogative costituzionali, la magistratura deve essere innanzitutto in grado, a partire dalle valutazioni di competenza del CSM e dei Consigli giudiziari, di affrontare coraggiosamente e senza incertezze, i temi della verifica di professionalità, dell'organizzazione degli uffici, della dirigenza e della deontologia; in altre parole, deve trovare la capacità - sin qui spesso assente - di snidare posizioni indifendibili. Ma tutto ciò è discorso diverso da quello della necessità di non adeguarsi al rito delle riforme a tutti i costi e di segnalarne i pericoli. 3.b L'azione del CSM e dell'ANM. Pur in un quadro di generale apprezzamento che si deve per le rispettive azioni, sembra talvolta che proprio a questo rito ed alla esigenza di continue mediazioni, prestino attenzione anche il CSM e l'ANM. Non diversamente, per quanto riguarda il CSM, si spiegano sia il silenzio sulle invettive lanciate dal luglio 2003 ad oggi all'indirizzo della magistratura da vasti settori della maggioranza, specie dopo le note sentenze milanesi, sia l'atteggiamento tenuto sul caso Pizzorusso (che riteniamo non condivisibile nella forma e nel contenuto). Conforta, comunque, la recentissima scelta di intervenire a tutela della magistratura dopo le note esternazioni del premier dal palco di una festa di partito: è sperabile che ciò segni un'inversione di tendenza. Il CSM, infatti, può e deve sapere intervenire con fermezza nei confronti degli altri poteri se essi ignorano le prerogative costituzionali di quello giudiziario, senza accettare affievolimento alcuno della sua funzione di tutela dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura, cioè proprio di quella funzione che - sin dai tempi del progetto della bicamerale - gli si voleva sottrarre. In assenza di tali interventi istituzionali, del resto, si favorirebbe il diffondersi della convinzione che le reazioni provenienti solo da organi associativi siano ispirate da finalità di tipo sindacal-corporative. Quanto all'ANM, solo l'eccessiva attenzione per alcune esigenze di natura politica possono spiegare l'omissione della GEC rispetto all'obbligo statutario di dare esecuzione ad un deliberato del CDC, peraltro frutto di una proposta del Movimento, che avrebbe dovuto imporre l'invio al Parlamento europeo di un dossier sulla grave anomalia italiana (non può definirsi in altro modo il comportamento di una maggioranza che produce leggi ad personam e di un premier che insulta la magistratura perfino nel corso di una solenne seduta del Parlamento Europeo). La nostra convinzione, insomma, è che la concordia nazionale, come è stato ricordato da un illustre relatore nel corso della manifestazione del Brancaccio del 22 novembre scorso, non può reggersi sulle regole talvolta mortificanti della continua mediazione politica: l'unanimità non è un valore in sé, è uno strumento per l'affermazione di valori o decisioni condivise. L'unanimismo non è né l'uno, né l'altro e non può sostenere la difesa radicale dei principi. 4. Quale riformismo e quali riforme Questa posizione potrebbe da qualcuno essere confusa con il desiderio di mera conservazione dell'esistente, o addirittura ispirata da pulsioni corporative. Me ne dispiacerebbe, pur rilevando, a dire il vero, che in certi tempi, la mera conservazione dell'esistente - come la tenuta delle trincee in tempi di guerra - non sarebbe poi un obiettivo da poco. Esistono poi quelli che osservano, rimproverandoci, che "non si può dire sempre no!": Oscar Scalfaro li ha definiti "i consiglieri benevoli" ai quali si deve rispondere che "che essi si collocano nell'elenco dei responsabili dello sfascio dello Stato,.. che certe proposte uccidono la democrazia, che di fronte ad esse non c'è patteggiamento, c'è un no assoluto e poi si discute!". Ovviamente, non ho altro da aggiungere a queste parole che immodestamente faccio mie. Ma vorrei tranquillizzare gli scettici: non sto affermando che la Magistratura dovrebbe chiudersi a riccio e negarsi ad ogni ipotesi di discussione su progetti di riforma. In realtà, pur se qualche volta un "no" pronunciato con decisione serve molto di più di più di una proposta debole e di compromesso, affermo che la Magistratura deve svolgere l'utile ruolo di contribuire ad individuare le priorità effettive ai riformisti veri. La Magistratura, in quanto non portatrice di interessi di parte, non interessata a guadagnare il consenso dell'elettorato ed in quanto forte di esperienza e memoria, può ben indicare i reali punti di sofferenza del sistema che meritano interventi forti. Deve formulare la sua proposta complessiva ed offrirla per le valutazioni e le conseguenti iniziative a chi ha competenza per utilizzarla ed eventualmente elaborarla o farla propria, ma se non c'è spazio per il suo accoglimento deve essere scartata ogni ipotesi di adattarsi al desiderio dell'interlocutore. Unitamente ai nostri interlocutori privilegiati, cioè il ceto accademico, l'avvocatura (non ci si vuol qui riferire - è chiaro - a quella parte di essa che siede in Parlamento e si preoccupa prevalentemente di elaborare nell'interesse dei propri clienti, ma fortunatamente non sempre nel migliore dei modi, le leggi che dovrebbero far rientrare dalla finestra le eccezioni e le richieste respinte nelle aule dei Tribunali) ed il personale amministrativo, la Magistratura può individuare i terreni di utile riforma e su quelli - e solo su quelli - intensificare i contributi propositivi, negandosi, invece, ad ogni trattativa riguardante le controriforme rancorose (carriere separate, concorsi per la progressione in carriera, gerarchizzazione delle Procure, svuotamento delle prerogative del CSM etc.) ed ogni principio not negotiable : certe dichiarazioni di disponibilità al dialogo, infatti, hanno solo il senso di una finzione dialettica ormai stucchevole. Nel concreto, è inaccettabile che tutti, a partire dal Capo dello Stato, individuino nella lentezza dei processi il problema centrale della giustizia in Italia e che nessuno proponga un qualsiasi strumento per farvi fronte. E' anzi accaduto l'esatto contrario, che dal '99 ad oggi - anche prescindendo dai già formulati rilievi sulle reali finalità della legislazione post primavera 2001 - siano state varate leggi, da un governo e dal successivo, che hanno determinato solo ulteriore allungamento dei tempi dei processi. La produzione legislativa degli ultimi anni può senz'altro definirsi alluvionale: secondo i criteri di classificazione del sistema Teseo attingibili dalla consultazione del sito web del Parlamento, dal luglio 1996 ad oggi sono state approvati 120 provvedimenti legislativi in materia di "diritto e giustizia". Pur dovendosi tenere debitamente in conto la complessità del contenuto di non poche delle leggi progressivamente introdotte nell'intera XIII legislatura e nei primi due anni di quella in corso, ben 18 leggi si riferiscono al diritto civile sostanziale e processuale, 41 introducono modifiche del sistema di diritto penale sostanziale e processuale (ad esse si aggiungono 9 riguardanti la specifica materia dell'ordinamento penitenziario e dell'esecuzione della pena), 16 attengono all'ordinamento giudiziario, 1 alla disciplina della professione di avvocato, 6 all'utilizzazione del personale e delle risorse dell'amministrazione della giustizia ordinaria, 1 al generale potenziamento del sistema di giustizia amministrativa. Complessivamente, poi, 21 delle 120 leggi approvate sono dichiaratamente finalizzate a dare ratifica ed esecuzione ad accordi internazionali ovvero comunque a garantire l'attuazione di impegni assunti dallo Stato nel rapporto con altri Stati ovvero con organizzazioni internazionali. Già questi dati servono a dimostrare che in questi anni, in Italia, più che un deficit di riforme, si è manifestato un eccesso ingiustificato di interventi che hanno alterato gli equilibri normativi su cui si reggeva il sistema giustizia, determinando incoerenze interne, se non proprio - e spesso - insuperabili contraddizioni. Occorre evitare, dunque, di invocare immotivamente nuove riforme, specie se ciò avviene all'indomani di sentenze sgradite o di decisioni comunque clamorose; vi è assoluta necessità, piuttosto, di eliminare i guasti prodotti dalle scelte di politica giudiziaria sia del precedente governo, che ha perseguito la logica della mediazione a tutti i costi, sia dell'attuale che ha voluto ripetute leggi ad personam: occorre ricucire, cioè, con speculari "controriforme", i più vistosi strappi ormai provocati al sistema. Ecco perché la Magistratura ha titolo, per la propria esperienza e per la conoscenza dei problemi della giustizia, per contribuire ad individuare le priorità di intervento, poche ed indiscutibili sulle quali impegnarsi in uno sforzo propositivo. Esse sono: la campagna per le strutture e le risorse materiali ed umane, la campagna per interventi normativi in grado di ridurre i tempi del processo penale e civile, la campagna per essere protagonisti del processo di integrazione e cooperazione giuridica in Europa e nel mondo, la campagna per la formazione professionale e dei dirigenti, l'elaborazione di più adeguati sistemi per la valutazione della professionalità. Al legislatore, presente o futuro, il compito di tradurle - se crederà - in interventi normativi. by Bollettino Osservatorio _____________ I
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