NOTIZIARIO del 28 gennaio 2004

 
     

Alla democrazia serve piu' etica
Note a margine del dibattito Crisi della giustizia crisi della legalità (Milano, 27 gennaio 2004)
di Piero Ricca

Un irresistibile PAOLO ROSSI ha chiuso in bellezza l'incontro "Crisi della Giustizia crisi della legalità", svoltosi ieri alla Camera del Lavoro di MIlano. "Vi ricordate la favole del lupo e dell'agnello? Ora i potenti non solo commettono soprusi ma ti fanno sentire anche in colpa. Non bisogna rispondere alle provocazioni e agli insulti, bisogna rilanciare e aggiungere sempre", ha detto tra l'altro il comico, che ha pure offerto qualche divertente esempio di come inveire senza ingiuriare,,, Per esempio: dire allo "spirito santo" faccia di c..., alla luce del recente lifting, non dovrebbe costituire reato.

Una sala Di Vittorio piena di rappresentanti di quella società civile che negli ultimi anni ha fatto in tante occasioni sentire la propria voce, ma anche di magistrati e avvocati (tra gli altri i "padri nobili" Borrelli e D'Ambrosio) ha ascoltato con interesse i vari interventi, dell'avv. Roberto Pacchioli, del prof. Carlo Smuraglia, dei magistrati Piercamillo Davigo e Ilio Pacini Mannucci, dell'economista Salvatore Bragantini, di Don Luigi Ciotti.

Il senso dichiarato della serata è stato quello di collocare la crisi della giustizia nel contesto più ampio della crisi della legalità e della moralità pubblica. Centrale da questo punto di vista la frase di Bobbio scelta dagli organizzatori per intitolare gli interventi meno "giuridici" (Ciotti e Bragantini): "La democrazia vive di buone leggi e di buoni costumi".

"E' significativo", ha detto tra l'altro BRAGANTINI, "che la crisi Parmalat sia scoppiata in questo periodo: dà l'idea di un clima. Una falsificazione così grave va al di là dell'immaginazione anche di chi ha dimistichezza con i bilanci". E ancora: "C'è una perfetta consequenzialità fra scandali, leggi sbagliate e mancanza di controlli". Pur non essendo direttamente collegata al discorso Parmalat, per Bragantini, la modifica del reato del falso in bilancio ha fatto comodo a molti e non solo a Berlusconi.

In un intervento di straordinaria intensità DON CIOTTI ha descritto l'ambiente sociale e culturale in cui la corruzione cresce. Sette sono le piaghe più gravi. Una è la crescita della cultura dell'individualismo, la seconda è il trionfo del disvalore (la furbizia, la raccomandazione, il favore), la terza è il declino della funzione di garanzia delle leggi, sempre più forti con i deboli e più deboli con i forti, la quarta è la schizofrenia fra proclami e pratica (per esempio si fanno leggi e proclami proibizionisti e poi si incentivano le dipendenze, come quella del gioco d'azzardo), la quinta è l'uso distorto della comunicazione (meno informazione uguale meno democrazia), la sesta è il rischio di considerare la legalità un valore in sè (il valore vero è la dignità delle persone), la settima è la perdità di valore nel sistema della formazione (quali ricadute avranno tutti questi cattivi esempi sui giovani?).

L'incontro è stato moderato da Gianni BARBACETTO, che ha divertito ma anche fatto riflettere i presenti con una notizia di attualità: proprio in concomitanza con il dibattito la commissione giustizia della Camera si riuniva per discutere, su proposta dell'on. avv. Ghedini, la depenalizzazione sostanziale del reato di bancarotta fraudolenta (risate del pubblico, ma amare).

Un altro intervento spumeggiante è stato quello di DAVIGO (ormai padrone della tecnica), che ha criticato lil disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, da poco passato al Senato e considerato punitivo per i magistrati e dannoso per i cittadini dall'associazione nazionale magistrati. La indipendenza è strettamente connessa all'imparzialità del magistrato, ed entrambe sono garanzie per la serenità ed equità del giudizio, osserva Davigo.
La riforma appare compromettere proprio questa facoltà di libertà del giudizio, per esempio quando fissa dei criteri rigidi e burocratici all'interpetazione delle norme o quando imponendo divieti severi al comportamento dei magistrati (già in parte contentuti nel codice di autodisciplina dell'anm) sembra suggerire ai cittadini di diffidare dei magistrati che danno loro torto. "Questa storia delle toghe rosse ha fatto scuola, nessuno si chiede più: ma quell'imputato è colpevole o innocente?".
Anche i limiti posti alla manifestazione del pensiero da parte dei magistrati fa giungere a conclusioni paradossali: "Comincio a preoccuparmi a farmi vedere in giro con questo o quel giornale".
E il diritto di espressione del pensiero? "Bisogna ricordare che vale per chiunque, e che in democrazia coincide con il diritto di critica, per l'adulazione bastano i cortigiani". L'iter della legge si annuncia vivace, un nuovo sciopero dei magistrati è dietro l'angolo, e anche Ciampi, presto o tardi, potrebbe avere qualcosa da obiettare...

Il dottor MANNUCCI ha passato invece in rassegna i molti casi di quotidiana ingiustizia: non gli errori giudiziari, ma i tanti piccoli e grandi disservizi di un sistema che avrebbe bisogno di maggiori risorse e di una più moderna organizzazione. Il rappresentante dell'ANM di Milano ha inoltre citato una affermazione di un collega di Roma, Luigi Scotti, che a sopresa ha destato uno scandalo che si fa fatica a non considerare strumentale.
"Lo stato di assedio in cui ci costringono ci impedisce di fare una seria autocritica", ha detto Scotti. "Proprio così", conviene Mannucci, " e dirlo sembra addirittura un atto sovversivo". L'ennesima conferma che le toghe vivono davvero in uno stato di emergenza per i troppi attacchi subiti, i quali, come non si stancano di ripetere, sono in realtà rivolti all'idea stessa di giurisdizione.

Il Prof. SMURAGLIA (ma lui ci ha tenuto a definirsi un avvocato "per dimostrare, insieme al collega Pacchioli, che ci sono avvocati diversi da quelli che servono i potenti calpestando i diritti") ha svolto una serie di considerazioni più "politiche" entrando nel merito delle buone leggi e dei buoni costumi da opporre agli esempi attuali che vanno in direzione contraria.
Ha invitato i presenti a esaminare le diverse proposte che il coordinamento milanese delle associazioni e dei movimenti per la giustizia ha elaborato proponendo la questione giustizia come uno dei temi centrali di una volontà di riscatto culturale, morale e politico. Sullo sfondo ci sono gli appuntamenti elettorali, ma la sostanza del problema è culturale. "Bisogna reagire prima di tutto moralmente, far capire ai giovani che un altro modo di vivere e lavorare è possibile".
Oggi, secondo Smuraglia, prevale un'immagine della giustizia asservita al potere, sia con le leggi ingiuste sia con i comportamenti nelle aule di giustizia. Gli avvocati dei potenti possono permettersi cose che a nessun altro sarebbero permesse. Per esempio ottenere rinvii senza motivi fondati o far valere una capacità di pressione derivante dalla funzione parlamentare.
"Bisogna conservare la capacità di indignarsi", chiude Smuraglia. A un futuro centrosinistra di governo certo non mancheranno le occasioni per dimostrare idee e coraggio "perchè non c'è solo da cancellare le pessime leggi fatte, ma da riformare il sistema: negli ultimi anni infatti non è stato approvato alcun provvedimento serio contro la corruzione".

E un compito di rilievo, accanto all'elaborazione dei tecnici del diritto, continuerà a spettare ai cittadini, alla loro capacità di vigilanza, come ha ricordato nella sua introduzione l'avvocato PACCHIOLI, anch'egli del coordinamento: da dieci anni migliaia di milanesi dimostrano di aver cura della giustizia, con tante iniziative. Per esempio partecipando alle inaugurazioni dell'anno giudiziario. Purtroppo quest'anno non è stato possibile. Motivo: inagibilità. Un altro, paradossale ed emblematico, segno dei tempi.

by Bollettino Osservatorio

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