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NOTIZIARIO del 21
gennaio 2004
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Democrazia
in Iraq? Se nessuno ormai crede più che la guerra in Iraq sia stata scatenata per eliminare le armi di distruzione di massa (che non sono state trovate) o per contrastare il terrorismo (divenuto, semmai, ancora più pericoloso), rimane ancora in piedi l'ultima nobile motivazione escogitata dai sostenitori dell'intervento: instaurare in Iraq un regime democratico. Basta ricordare, però, la storia dei rapporti tra i Paesi occidentali e l'Iraq per rendersi conto di quanto questa giustificazione sia risibile. Scomparso l'Impero ottomano in seguito alla prima guerra mondiale, tra il 1920 e il 1923 le potenze europee si installarono nell'area mediorientale: la Francia ottenne il mandato sulla Siria e sul Libano, la Gran Bretagna sulla Palestina e sull'Iraq. La regione fu volutamente spezzettata con confini tanto improbabili da creare continui conflitti: fu, ad esempio, accantonata l'idea di un Kurdistan autonomo e fu separato il Kuwait dall'Iraq, rimasto così privo di uno sbocco al mare. L'Iraq, divenuto una monarchia costituzionale ma in realtà governato con pugno di ferro, cercò di difendere i propri interessi nazionali, chiedendo subito la restituzione del Kuwait, e diede vita a una politica di avanzata modernizzazione, tanto da essere ammesso nel 1932 nella Società delle Nazioni. I governi succedutisi nel corso di alcuni decenni erano tuttavia sostenuti dalla Gran Bretagna: a una Compagnia inglese, con partecipazione azionaria anche francese, olandese e americana, avevano infatti concesso lo sfruttamento delle risorse petrolifere irachene; per sdebitarsi, gli inglesi collaboravano alla repressione delle agitazioni popolari che scoppiavano periodicamente per protestare contro la svendita agli stranieri delle ricchezze del Paese. Si può considerare, quella inglese, una politica mossa da intenti democratici? Nel 1958, però, la rivoluzione guidata da un gruppo di ufficiali riuscì ad abbattere la monarchia. Il generale Kassem, divenuto capo del governo repubblicano e instaurata una dittatura personale, inaugurò una politica di riforme, promuovendo i diritti civili e redistribuendo le terre ai contadini. Inoltre assunse una posizione di equidistanza tra i due blocchi della Guerra fredda, si mostrò deciso a recuperare il Kuwait anche con la forza e nazionalizzò i pozzi petroliferi. Questa politica, sostenuta dal favore popolare, scatenò la reazione degli Inglesi, che nel 1963, per tutelare gli interessi della loro Compagnia petrolifera, bombardarono Bagdad e appoggiarono il partito Baath che, con un colpo di stato, si impadronì del potere. Kassem e i suoi collaboratori furono giustiziati e 400.000 persone furono arrestate e torturate. L'intervento occidentale fu determinato da spirito democratico? Difficile affermarlo, dal momento che grazie ad esso vennero abrogate le leggi che avevano nazionalizzato il petrolio, assegnato le terre ai contadini, riconosciuto il diritto al lavoro e introdotto la parità uomo-donna. Nei successivi quindici anni si alternano governi più vicini agli USA, che ormai hanno sostituito la Gran Bretagna come potenza egemone nell'area, o all'URSS, che mira ad espandere la sua influenza sui Paesi arabi; governi disposti a consentire lo sfruttamento straniero dei pozzi di petrolio o decisi a nazionalizzare imprese e banche, accelerando lo sviluppo sia dell'agricoltura che del commercio. Addirittura alla metà degli anni settanta si avvia un programma di industrializzazione, di sviluppo dell'istruzione e di promozione dei diritti della donna che conosce un grande successo, ponendo l'Iraq all'avanguardia tra i Paesi del Golfo. Ma nel 1979 scoppia in Iran la rivoluzione islamica che porta al potere l'ayatollah Khomeini, il cui regime allarma gli occidentali per la sua carica di fanatismo religioso e antiamericano. In questo contesto un nuovo 'uomo forte' si affaccia sulla scena politica irachena: Saddam Hussein. Questi capisce che può svolgere un ruolo importante come stabilizzatore della regione mediorientale e infatti, dopo avere acquistato armi, in buona parte di provenienza americana, per miliardi di dollari, nel 1980 attacca l'Iran e il suo regime fondamentalista. La guerra è terribilmente sanguinosa: ben un milione di vittime iraniane e 400 mila irachene in otto anni. Ma la cosa non preoccupa gli occidentali, anzi il segretario di Stato americano Henry Kissinger dichiara: 'Vogliamo che continuino ad ammazzarsi tra di loro il più a lungo possibile'. Gli Stati Uniti, per nulla preoccupati che Saddam sia un crudele dittatore, non solo ristabiliscono relazioni diplomatiche con l'Iraq, inviando a Bagdad proprio l'attuale ministro della Difesa Donald Rumsfeld, ma anche incoraggiano Arabia Saudita e Kuwait, stati per nulla democratici ma con cui gli occidentali da tempo mantengono buoni rapporti, a finanziare la guerra irachena e addirittura forniscono sostegno tecnologico per l'uso di armi chimiche contro gli iraniani. Fatti incontestabili, tanto che il segretario di Stato americano Madeleine Albright nel 2000 si scuserà ufficialmente con gli iraniani per l'appoggio dato all'Iraq. La politica americana appariva allora assolutamente libera da ogni scrupolo democratico! Conclusa la guerra senza vincitori nè vinti, Saddam Hussein si trovò con un bilancio statale dissestato: Arabia Saudita e Kuwait non erano disposti a cancellare i 35 miliardi di dollari del debito iracheno e la caduta del prezzo del petrolio non permetteva all'Iraq di risanare le sue finanze. Saddam allora pensa di risolvere il problema invadendo nel 1990 il Kuwait, convinto che gli americani, date le buone relazioni intrattenute sino ad allora, lo lasceranno fare. In effetti gli Stati Uniti non impediscono l'invasione del Kuwait, ma subito dopo, per costringere Saddam a ritirarsi, organizzano in pochi mesi una grande coalizione, a cui i Paesi arabi che si sentono minacciati dall'espansionismo iracheno partecipano con un contributo di venti miliardi di dollari. Dopo i bombardamenti aerei della coalizione alleata nel 1991, l'Iraq è completamente devastato: vittime di cui è difficile stabilire il numero, infrastrutture distrutte, il Paese riportato all'era preindustriale, mentre l'industria bellica americana conosce un vero boom e gli USA conquistano quasi la metà del mercato mondiale delle armi. Agli iracheni morti durante la guerra bisogna poi aggiungere quelli morti in seguito, a causa delle bombe all'uranio impoverito sganciate dagli anglo-americani: secondo un rapporto ONU, in pochi anni i casi di tumore sono aumentati del 700 per 100! E ancora: gli occidentali, convinti che Saddam cambierà politica, non solo lo lasciano al potere ma gli consentono anche di sterminare curdi e sciiti. E' temerario affermare che ciò che conta non è che in Iraq ci sia un governo democratico e rispettoso dei diritti umani ma che ci sia un governo docile alle richieste americane, perchè, come dice Bush padre, 'non si può accettare un governo indipendente che amministri la sua ricchezza'? Sfortunatamente per la popolazione irachena, Saddam non ha capito la lezione e crede di poter giocare ancora un ruolo autonomo. Così l'embargo contro l'Iraq, decretato dall'ONU sin dal 1990, per volontà degli Stati Uniti terminerà solo con la caduta del dittatore, e avrà una durata e sarà applicato con un rigore senza precedenti; nè l'accordo 'petrolio in cambio di cibo' potrà evitare la catastrofe umanitaria in Iraq: pochi miliardi di dollari all'anno non sono infatti sufficienti per le esigenze del Paese, dato che per quattro quinti sono destinati a pagare i debiti di guerra. Conseguenze: la classe dirigente rafforza il suo potere mentre i sudditi si impoveriscono. Gli effetti più catastrofici riguardano il campo delle risorse alimentari, della sanità e dell'istruzione. In dieci anni le spese sanitarie mensili per abitante passano da 30 a 2 dollari, i bambini morti sono almeno 1 milione e 500 mila, 1 milione quelli che non potranno sviluppare facoltà mentali normali per carenze nutritive e ancora 1 milione quelli che non vanno a scuola. Già nel 1996 Ramsey Clark, ministro della giustizia americano ai tempi di Kennedy e di Johnson, accusò la politica irachena del suo Paese di genocidio, ma a chi domandava se i costi umani dell'embargo fossero accettabili, Madeleine Albright, allora ambasciatrice americana all'ONU, pur concedendo che si trattava di scelte difficili, rispondeva affermando che tutto sommato 'noi pensiamo che valga la pena di pagare questo prezzo'. Nè l'embargo nè i bombardamenti americani e inglesi, che dal 1998 in poi si susseguono quasi quotidianamente per iniziativa di Clinton e di Blair, provocano tuttavia la rivolta degli iracheni e la caduta di Saddam, e allora Bush figlio si convince che la sua America non può venir meno alla missione di liberare definitivamente gli iracheni dalla feroce dittatura di Saddam. Così, approfittando dello shock provocato dall'attentato dell'11 settembre e del controllo dei mezzi d'informazione, l'amministrazione americana rispolvera la storiella delle armi di distruzione di massa in mano al nuovo Hitler e passa all'azione. Nella stessa area geografica stati come Israele o Turchia quelle armi le hanno davvero e non vengono attaccati: ma sono stati amici, e non si può pretendere che le stesse regole valgano per tutti! Una guerra preventiva è contraria allo statuto dell'ONU: ma che importa della legalità internazionale se, dopo la vittoria, l'Iraq potrà avere finalmente un governo democratico! Solo nei primi giorni dell'operazione, non a caso denominata 'colpisci e terrorizza', sono state sganciate più bombe di quante ne sono state utilizzate nell'intera prima guerra del Golfo, con massacri indiscriminati di civili e di militari e con devastazioni che consentiranno buoni guadagni alle imprese incaricate della ricostruzione. E si vuole dare a bere all'opinione pubblica mondiale che un intero Paese è stato martoriato per donargli la democrazia? E intenzioni così nobili possono credibilmente attribuirsi a governi come quelli americano e inglese che, in base alle norme del diritto internazionale, dovrebbero essi stessi essere perseguiti per crimini di guerra e crimini contro l'umanità? In realtà, questa seconda guerra del Golfo è in perfetta continuità con la storia delle potenze occidentali, che raramente si sono preoccupate di istaurare regimi democratici, anzi spesso li hanno rovesciati e hanno appoggiato regimi autocratici: basti ricordare, per limitarci all'area mediorientale, l'insediamento della dinastia saudita in Arabia o dello scià Reza Pahlavi in Iran. In effetti, ancora una volta ciò che si vuole è un governo fantoccio ligio agli ordini della Superpotenza garante del nuovo ordine mondiale! _____________ I
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