NOTIZIARIO del 22 dicembre 2003

 
     

Satrapi e barboni

Mi sarei aspettato qualcosa di più da Adriano Sofri nel suo "canto" sulla caduta dei satrapi pubblicato oggi su "La Repubblica". Nell'articolo ha, con sapiente e abile articolazione linguistica, descritto le reazioni da avere alla sconfitta di un massacratore.

Pur condividendo molte sue considerazioni storiche, non mi entusiasma affatto questa sua energia epistolare tesa alla polarizzazione classica del male e del bene. Un'oratoria di esorcismo che, secondo me, può essere accostata ad uomini intrisi di dogmatismi aristotelici e non ad uomini di cultura come Sofri è.

In altre occasioni ho potuto apprezzare le grandi vedute di Sofri sul discorso dell'alterità e sui suoi tentativi di comprendere un mondo complesso dove si trova di tutto: dalla mamma africana che fa mutilare i genitali della sua bambina (considerandolo un atto di amore) a chi si fa esplodere in mezzo alla folla (considerandolo un martirio voluto da Dio) ecc ecc., alle torture inflitte da dittatori divenuti satrapi pericolosi anche per gli opportunismi logistici e commerciali di alcuni paesi "democratici".

Di fronte a questi misfatti, di fronte alle vittime innocenti delle guerre afghana, irachena e israelopalestinese, non vedo l'utilità di questo "canto" di Sofri che incita al disprezzo verso il tiranno caduto e all'esultanza della vittoria, americanizzando così i sentimenti classici verso l'uomo-lupo nero e con la barba, ed esautorando ogni altra analisi meno istintiva che evidenzi gli intrecci tra bene e male, pieni di sfumature di collusioni e collisioni.

Termino con l'augurio che queste nostre festività diano un po' di luce a tutti, non escludendo nè il "libero barbone" nè il "satrapo recluso".

Roma 20 dicembre 2003
Domenico Ciardulli

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