NOTIZIARIO del 17 dicembre 2003

 
     

SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N. 466 ANNO 2002 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE (....)

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, e dell'art. 3, commi 6 e 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), promosso con ordinanza emessa il 31 gennaio 2001 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Adusbef-Associazione utenti e consumatori ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri, iscritta al n. 374 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2001. Visti gli atti di costituzione di Adusbef, di Centro Europa 7 s.r.l., di Rete A s.r.l., di TV Internazionale s.p.a. ed altra, di Prima TV s.p.a. ed altra, di R.T.I.-Reti televisive Italiane s.p.a. e della Rai-Radiotelevisione Italiana s.p.a., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. Udito nell'udienza pubblica dell'8 ottobre 2002 il Giudice relatore Riccardo Chieppa; uditi gli avvocati Massimo Cerniglia per Adusbef, Giuseppe Oneglia, Renzo Vistarini e Raffaele Izzo per Centro Europa 7 s.r.l., Federico Sorrentino per Rete A s.r.l., Piero D'Amelio per TV Internazionale s.p.a. ed altra, Felice Vaccaro e Giuseppe Morbidelli per Prima TV s.p.a. ed altra, Aldo Bonomo, Aldo Frignani e Luigi Medugno per R.T.I.-Reti Televisive Italiane s.p.a., Filippo Satta per la RAI-Radiotelevisione Italiana s.p.a. e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 1.— Con ricorso del 25 ottobre 1999 l'Adusbef-Associazione utenti e consumatori, la Tbs-Television Broadcasting System s.p.a, il Cnt-Coordinamento nazionale televisioni, il Comitato per la tutela dei diritti della libera manifestazione del pensiero e del pluralismo e l’Associazione utenti televisivi adivano il Tribunale amministrativo regionale del Lazio chiedendo l’annullamento: 1) dei provvedimenti, emessi in data 30 luglio 1999 (rectius: 28 luglio 1999), dal Ministro delle comunicazioni di rilascio delle concessioni ed autorizzazioni per la radiodiffusione televisiva privata in ambito nazionale su frequenze terrestri; 2) del regolamento per il rilascio delle suddette concessioni, approvato con deliberazione 1° dicembre 1998 dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom); 3) del regolamento e del disciplinare per il funzionamento della Commissione per la determinazione degli aventi diritto alle concessioni; 4) dei provvedimenti di negazione del diritto di accesso. Nel corso di tale giudizio, il Tar adito ha sollevato, con ordinanza 31 gennaio 2001, questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, e dell'art. 3, commi 6 e 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), in riferimento agli artt. 3, 21, 136, nonché, nella sola motivazione, all'art. 41 della Costituzione. 2.— Osserva il Tribunale rimettente che le norme impugnate, pur prescrivendo, in ossequio a quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 420 del 1994, che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale, hanno poi demandato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di "stabilire un periodo transitorio nel quale non vengono applicati i limiti" suddetti (art. 2, comma 6); più in particolare, continua il giudice a quo, l’art. 3, comma 6, consentirebbe l’esercizio delle reti eccedenti "a condizione che le trasmissioni siano effettuate contemporaneamente su frequenze terrestri e via satellite o via cavo", nonché "esclusivamente via cavo o via satellite", dopo lo spirare del termine che l’Autorità — "in relazione all’effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo" — avrebbe indicato (art. 3, comma 7). Il descritto assetto normativo avrebbe determinato, secondo il Tar, una evidente violazione dei principi della ragionevolezza, del pluralismo nella manifestazione del pensiero e della libertà di iniziativa economica, così come affermati dalla citata sentenza n. 420 del 1994, il cui contenuto risulterebbe, quindi, palesemente eluso, con l'ulteriore violazione dell’art. 136 della Costituzione. Le disposizioni legislative denunciate, attribuendo, infatti, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni un potere non delimitato nel tempo, consentirebbero l’indefinita protrazione del regime televisivo giudicato incostituzionale. 3.— Il Tar ritiene che le questioni sollevate siano rilevanti per la definizione del giudizio instaurato, sottolineando che l’insieme degli atti impugnati sarebbe stato adottato nella vigenza del predetto regime transitorio. Il rilascio delle concessioni sarebbe avvenuto, pertanto, utilizzando "le risorse quali risultavano disponibili dopo aver assicurato, in applicazione della normativa impugnata, la continuità della gestione alle imprese che superavano il predetto limite", con la conseguenza che, ove il detto regime transitorio venisse caducato, "risulterebbe incrementata la disponibilità di frequenze da assegnare ad altri aspiranti, con evidente beneficio del pluralismo nella manifestazione del pensiero e nell’informazione". 4.— Le questioni di costituzionalità sono ritenute dal giudice a quo non manifestamente infondate in riferimento agli artt. 3, 21 e 136 della Costituzione, nonché in riferimento al principio della libertà di iniziativa economica, richiamato nella sola motivazione dell'ordinanza. Il collegio rimettente sottolinea, a tal proposito, che la richiamata sentenza n. 420 del 1994 avrebbe consentito la protrazione — limitatamente al periodo transitorio indicato dal decreto-legge 27 agosto 1993, n. 323 (Provvedimenti urgenti in materia radiotelevisiva) — del regime previsto dall’art. 15, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), dalla stessa sentenza giudicato incostituzionale, nonché la provvisoria legittimazione dei concessionari a proseguire nell’attività di trasmissione, così escludendosi un "vuoto" normativo. Tale periodo, che non avrebbe dovuto superare la data dell’agosto del 1996, è stato prorogato fino al 31 luglio del 1997 dal decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545 (Disposizioni urgenti per l'esercizio dell'attività radiotelevisiva), convertito, con modificazioni, nella legge 23 dicembre 1996, n. 650. La legge n. 249 del 1997, anziché sancire — prosegue il collegio rimettente — il definitivo superamento del precedente assetto normativo dichiarato incostituzionale, avrebbe rinviato ad una data imprecisata l’efficacia dei limiti anticoncentrativi dalla stessa previsti, con consequenziale violazione degli artt. 3 e 21 della Costituzione, nonché dell’art. 136 per elusione del giudicato costituzionale di cui alla citata sentenza n. 420 del 1994. Il collegio rimettente conclude ritenendo non condivisibili i rilievi prospettati dai controinteressati, secondo i quali, da un lato, il legislatore conserverebbe un ampio margine di discrezionalità nel graduare nel tempo trasformazioni coinvolgenti rilevanti interessi, dall’altro sarebbe pienamente legittimo il conferimento di poteri regolatori ad un'Autorità amministrativa indipendente, al fine di determinare il momento più opportuno per la transizione dal regime provvisorio a quello definitivo. Osserva, infatti, il Tar del Lazio che "la sentenza n. 420 del 1994 ha già accordato al legislatore una moratoria di circa due anni, inutilmente decorsa ed illegittimamente dilatata", e che "degli istituti invocati dalle parti resistenti non può farsi un uso strumentale, che si risolva nella grave lesione del giudicato costituzionale e nella plateale violazione dei principi in esso affermati". 5.— E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, nella persona dell'avvocato Giorgio D'Amato, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza della questione sollevata. In particolare, si sostiene l’inammissibilità per difetto di rilevanza sulla base del seguente ordine di motivi: a) l’ordinanza di rimessione fonderebbe il giudizio di rilevanza sull’erroneo presupposto dell’impugnazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva, rimasto, invece, "estraneo" all’oggetto del giudizio a quo; b) il Tar assumerebbe erroneamente che le concessioni sarebbero state rilasciate utilizzando le risorse disponibili rimaste libere dopo aver assicurato la continuità della gestione alle "reti eccedenti". L’affermazione sarebbe, secondo la difesa erariale, non corretta, in quanto tutte le frequenze destinate al servizio di radiodiffusione televisiva dal piano nazionale di ripartizione delle frequenze adottato dal Ministro delle comunicazioni sono state assegnate dal piano elaborato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. L’eventuale caducazione del regime transitorio censurato non potrebbe comportare, pertanto, l’incremento della disponibilità di frequenze da attribuire ad altri aspiranti, come ritenuto, invece, dal giudice rimettente; c) quest’ultimo, inoltre, considererebbe applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio il comma 6 dell’art. 2 della legge n. 249 del 1997. La predetta disposizione, rileva l’Avvocatura, si indirizza, viceversa, ai soli programmi in tecnica digitale (o numerica) e non anche a quelli trasmessi in tecnica analogica, che sono gli unici ad essere presi in considerazione dai provvedimenti impugnati. Inoltre, il medesimo art. 2, comma 6, quando menziona le "autorizzazioni" si riferirebbe esclusivamente ai provvedimenti autorizzatori rilasciati sia per la ripetizione di segnali di emittenti estere o della concessionaria pubblica di cui agli artt. 38 e 43 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), sia per i trasferimenti di proprietà di società esercenti l’attività radiotelevisiva di cui all’art. 1, comma 6, lettera c), numero 13, della stessa legge n. 249 del 1997. La norma, dunque, non disciplinerebbe la situazione delle reti eccedenti, per l’esercizio delle quali non occorrerebbe alcuna autorizzazione ministeriale. L’Avvocatura generale dello Stato conclude le proprie argomentazioni difensive, in punto di rilevanza, ritenendo la questione sollevata astratta perché non strumentale alla tutela delle posizioni soggettive azionate nel giudizio. Sotto altro profilo, la difesa dello Stato deduce l’inammissibilità della questione sollevata, in quanto il suo accoglimento inciderebbe sulla scelta legislativa di determinare le modalità di messa a regime del sistema misto disciplinato dalla legge censurata. 6.— Nel merito, l’Avvocatura sostiene l’infondatezza delle censure con riferimento a tutti i parametri costituzionali evocati. Il rimettente non avrebbe, infatti, spiegato le ragioni dell’asserita violazione dei principi del pluralismo e di ragionevolezza, limitandosi a richiamare l’ordine delle argomentazioni sviluppato nella sentenza n. 420 del 1994. Il richiamo sarebbe non corretto, nella prospettiva della difesa erariale, secondo la quale l'attuale giudizio si svolgerebbe sotto la vigenza di un diverso assetto normativo che, in ossequio alle prescrizioni contenute nella predetta decisione, avrebbe limitato il numero delle reti assentibili ad uno stesso operatore privato (art. 2, comma 6). Ad avviso dell'Avvocatura la disciplina contenuta nell’art. 3, commi 6 e 7, non potrebbe protrarre, senza soluzione di continuità, il regime transitorio precedente il 1997. La norma, infatti, risponderebbe ad una logica coerente con il differente scenario normativo e tecnico (legato alla rivoluzione digitale e al processo di convergenza in atto) nel quale si applicherebbe. La rapida evoluzione tecnologica, conclude l’Avvocatura, ha portato di recente il legislatore a differire, con decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5 (Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi), convertito, con modificazioni, nella legge 20 marzo 2001, n. 66, i termini per il rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva privata in ambito locale su frequenze terrestri in tecnica analogica. Ciò al fine di favorire, senza gravosi oneri di riconversione e ristrutturazione, il migliore e più rapido passaggio ad un sistema di trasmissione in tecnica digitale. 7.— E’ intervenuta nel giudizio l’Adusbef-Associazione utenti e consumatori, rappresentata e difesa dall'avvocato Massimo Cerniglia, chiedendo l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale, con richiamo alle argomentazioni già contenute nell’ordinanza del Tar. 8.— Si è costituita la RAI-Radiotelevisione Italiana s.p.a., rappresentata e difesa dall'avvocato Filippo Satta, sostenendo che la questione, nei termini prospettati dall’ordinanza di rimessione, non è fondata. In particolare, la società deducente ha contestato che la disciplina contenuta nella legge n. 249 del 1997 possa essere qualificata quale proroga pura e semplice del regime transitorio instaurato con il decreto-legge n. 323 del 1993, e proseguito con l’emanazione del decreto-legge n. 545 del 1996. La suddetta legge avendo introdotto, infatti, una nuova e più restrittiva disciplina antitrust, con fissazione al 20% del limite anticoncentrativo, si sarebbe adeguata ai principi affermati dalla sentenza n. 420 del 1994. La previsione, poi, di un regime transitorio di deroga al suddetto limite risponderebbe, secondo la difesa della RAI, alla profonda e coerente razionalità di consentire agli operatori privati "eccedenti" di continuare in questa fase di transizione a trasmettere in simulcast, in attesa che la maturazione del mercato satellitare consenta di riversare sullo stesso l’intera attività radiodiffusiva, con conseguente possibilità di cedere a terzi la concessione terrestre eccedentaria "in maniera industrialmente ed economicamente indolore". Quanto all’assunta violazione dell’art. 21 della Costituzione, la difesa della RAI sottolinea che la riduzione di un operatore in eccedenza non sarebbe da sola sufficiente ad assicurare il pluralismo. Una disciplina antimonopolistica che intenda garantire il pluralismo esterno non potrebbe prescindere, si sostiene, dalla concreta situazione del mercato assoggettato a controllo. In questa prospettiva assumerebbe valenza determinante la valutazione del bacino di utenza coperto dal gestore, a prescindere dal numero delle reti televisive possedute. La difesa della concessionaria del servizio pubblico conclude affermando che le condizioni per la trasformazione del settore radiotelevisivo sarebbero ormai mature. L’innovazione tecnologica numerica terrestre consentirà un aumento illimitato della disponibilità di radiofrequenze assegnabili, con conseguente accentuazione del pluralismo informativo. La stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avrebbe confermato, secondo la difesa della RAI, l’avvenuto mutamento della situazione del mercato, affermando, con deliberazione 13 giugno del 2000, n. 365, che l’istruttoria volta ad accertare la sussistenza delle condizioni per l’adozione della misura anticoncentrativa di cui all’art. 3, commi 6 e 7, è oramai pressoché conclusa. 9.— Si è costituita in giudizio la società Rete A s.r.l., rappresentata e difesa dall'avvocato Federico Sorrentino, chiedendo l’accoglimento della questione sollevata. In via preliminare, viene ribadita la sussistenza della rilevanza delle sollevate questioni atteso che l’accoglimento delle stesse condurrebbe non solo all’annullamento delle autorizzazioni rilasciate alle reti eccedenti, ma finirebbe anche per incidere sui criteri seguiti dall’Agcom nell’assegnazione delle frequenze e nella stessa determinazione del numero delle reti a copertura nazionale. Nel merito, la società deducente osserva, innanzitutto, che la normativa impugnata, non rispettando le prescrizioni contenute nella sentenza n. 420 del 1994, violerebbe l’art. 136 della Costituzione. In ordine all’inosservanza dell’art. 21 della Costituzione, la difesa della parte sostiene che la disciplina censurata, consentendo il superamento dei limiti anticoncentrativi per un periodo di tempo indeterminato, si porrebbe in netto contrasto con il principio del pluralismo informativo. Né varrebbe l’obiezione relativa alla valenza temporanea delle disposizioni in esame. Rileva la difesa di Rete A che già in altre occasioni la Corte ha salvato la normativa radiotelevisiva da una declaratoria di incostituzionalità facendo leva sulla assunta transitorietà della stessa, cui, però, non sarebbe mai seguita una disciplina conforme alle indicazioni costituzionali. La durata del periodo transitorio — legata ad una valutazione discrezionale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni — sarebbe, nella prospettiva della esponente, guidata dall’esigenza di assicurare il passaggio al sistema satellitare o via cavo senza alcuna perdita economica per il soggetto interessato, al fine di tutelare le imprese operanti in violazione delle regole anticoncentrazione, relegando sullo sfondo l'esigenza — in realtà primaria — di garantire il rispetto del principio del pluralismo informativo. La società conclude le proprie argomentazioni difensive sottolineando la necessità che la Corte estenda, in via consequenziale, la dichiarazione di illegittimità costituzionale anche all’art. 3, comma 11, quarto periodo, della legge n. 249 del 1997. Tale disposizione attribuirebbe, infatti, all’Autorità lo stesso potere discrezionale nella determinazione del periodo di permanenza nell’etere anche della seconda emittente criptata (Tele+Nero). 10.— Si è costituita la società R.T.I.-Reti Televisive Italiane s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Bonomo, Aldo Frignani, Luigi Medugno e Avilio Presutti, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità per irrilevanza delle sollevate questioni per le stesse motivazioni illustrate dalla difesa erariale. La deducente, sul punto, aggiunge che, allo stato, nessuna delle reti in esercizio è assegnataria di frequenze, che verranno determinate nell’ulteriore fase di progettazione, rinviata, secondo quanto previsto negli atti di concessione, al termine di 24 mesi dal 31 luglio 1999, con possibilità di proroga. Il problema dell’uso e della giusta distribuzione della provvista di frequenze disponibili potrà, pertanto, divenire attuale soltanto alla scadenza del predetto termine; anche se — sempre secondo la difesa di R.T.I. — il sopravvenuto accantonamento del piano analogico per effetto dell’art. 2-bis della legge n. 66 del 2001 renderà vana qualunque attesa. Nel merito, si sostiene la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, della legge n. 249 del 1997, che fissando il limite anticoncentrativo del 20%, avrebbe recepito puntualmente il dettato della sentenza n. 420 del 1994. Ad avviso della società R.T.I., la prospettata questione di incostituzionalità dell’art. 3, commi 6 e 7, sarebbe anch’essa manifestamente infondata. La disciplina transitoria, infatti, risulterebbe legittima per un duplice ordine di motivi. Innanzitutto, perché garantirebbe il principio del pluralismo informativo, impedendo l’estinzione di una emittente nazionale, cui non potrebbe seguire il subingresso di un nuovo operatore privato. In secondo luogo, perché alla stessa rete "eccedente" il legislatore avrebbe attribuito un ruolo di traino verso la maggiore diversificazione dei mezzi di trasmissione, funzionale al più rapido sviluppo della tecnologia digitale. La normativa transitoria, conclude l’esponente, non potrebbe essere considerata come mera prosecuzione temporale del regime giuridico esistente prima della sentenza n. 420 del 1994. L’emittente "fuori limite" (identificata in Retequattro) svolgerebbe, infatti, rispetto al passato, la sua attività di trasmissione via etere sulla base di un titolo non stabile, con consequenziali ripercussioni sull’intera fisionomia dell’attività di impresa dalla stessa svolta. La società sottolinea, infine, che la preoccupazione manifestata dal giudice rimettente di una indefinita protrazione dell’attuale sistema regolamentare per lo stato dell’evoluzione tecnologica sarebbe sconfessata dall’attività posta in essere dall’Autorità di settore e dalle recenti novità normative. Nella deliberazione n. 365 del 2000 (sopra citata) l’Autorità ha, infatti, ritenuto pressoché conclusa l’istruttoria sulla misura anticoncentrativa ad essa demandata dal legislatore ex art. 3, commi 6 e 7. Il decreto-legge n. 5 del 2001 ha previsto il rilascio delle licenze e delle autorizzazioni per le trasmissioni digitali — da parte del Ministero per le comunicazioni — in base ad un regolamento da adottarsi, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro il 30 giugno 2001. 11.— Si sono costituite le società TV Internazionale s.p.a e Beta television s.r.l., rappresentate e difese dagli avvocati Alessandro Pace, Piero D'Amelio e Ottavio Grandinetti, chiedendo l’accoglimento delle sollevate questioni di legittimità costituzionale. Le disposizioni impugnate — evidenzia la difesa delle predette società — realizzerebbero una protrazione, con aggravio, del precedente assetto normativo giudicato incostituzionale dalla sentenza n. 420 del 1994. L’attuale piano di assegnazione delle frequenze consentirebbe, infatti, la concentrazione in capo ad un unico operatore privato di tre reti sulle undici (e non più dodici) complessivamente pianificate. L’occupazione illegittima da parte delle tre reti R.T.I. di un cospicuo numero di radiofrequenze terrestri impedirebbe, inoltre, di ridurre l’attuale disparità di trattamento esistente tra queste ultime e le altre reti nazionali nella copertura televisiva via etere terrestre. La difesa delle società afferma che la mancanza di un parametro normativamente stabilito, secondo i principi propri della riserva di legge, nella definizione del potere attribuito all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni confermerebbe la illegittimità delle norme denunciate. I deducenti sostengono, infine, che dovrebbe essere dichiarata l’incostituzionalità consequenziale dell’art. 3, comma 11, della stessa legge n. 249 del 1997, il quale, pur prescrivendo che "nessun soggetto può essere destinatario di più di una concessione televisiva su frequenze terrestri in ambito nazionale per la trasmissione di programmi in forma codificata", vanificherebbe tale divieto consentendo il permanente utilizzo della seconda rete criptata, sia pure in via provvisoria, "alle stesse condizioni e termini previsti dai commi 6 e 7" dello stesso articolo. Nello svolgimento delle successive argomentazioni difensive sul punto, le società assumono l’incostituzionalità non soltanto della disciplina "provvisoria" delle trasmissioni codificate, ma anche di quella "a regime". La ragione sarebbe insita nella stessa natura limitata delle frequenze radioelettriche, che non potrebbero, in quanto tali, essere assegnate ad emittenti criptate. Tale assegnazione ridurrebbe, infatti, inevitabilmente il numero delle opzioni informative disponibili per quei cittadini che non intendessero sottoscrivere un abbonamento ad una pay-tv. La scelta legislativa risulterebbe, pertanto, ad avviso delle esponenti, irrazionale e lesiva del pluralismo, nonché "in contrasto con i limiti dell’utilità sociale e dell’interesse generale, i quali, ai sensi degli artt. 41 e 42, primo comma, seconda parte, della Costituzione, devono caratterizzare la disciplina dei beni (come l'etere) assoggettati al governo dello Stato". Ancora secondo la difesa della società la gravità dell’espediente legislativo volto a neutralizzare i divieti contenuti, rispettivamente, nell’art. 2, comma 6, e nell’art. 3, comma 11, si misurerebbe alla luce della previsione, contenuta nell’art. 17, comma 2, del regolamento per il rilascio delle concessioni, dell’eventuale "subentro" di un terzo interessato nella posizione "utile" occupata in graduatoria da "Retequattro" e da "Tele+ Nero", qualora "entro il termine di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 3 della legge risultino rimosse le condizioni ostative all’esercizio, sulle frequenze terrestri in tecnica analogica, delle reti eccedenti". Il che dovrebbe consentire la possibilità di un eventuale subentro "in soprannumero" da parte di un terzo acquirente, con la grave conseguenza di impedire l’attuazione delle concessioni rilasciate nel luglio del 1999. Non si potrebbe, infatti, così trasferire alle altre emittenti le frequenze "necessarie" per la copertura del territorio. 12.— Si sono costituite le società Prima TV s.p.a. ed Europa TV s.p.a., rappresentate e difese dagli avvocati Roberto Afeltra e Felice Vaccaro, le quali, in via preliminare, chiedono che la Corte dichiari inammissibili le questioni per difetto di rilevanza. La sopravvivenza transitoria delle due reti eccedenti non avrebbe, infatti, causato una minore disponibilità di frequenze assegnabili. Sul punto vengono sviluppate argomentazioni difensive analoghe svolte dall’Avvocatura generale dello Stato e dalla società R.T.I. Nel merito, le predette società deducono l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, della legge n. 249 del 1997, atteso che le Tele+ non avrebbero mai debordato dal limite anticoncentrativo del 20%. Quanto alla violazione dell’art. 3, commi 6 e 7, della stessa legge, le esponenti evidenziano, con argomentazioni analoghe a quelle esposte dalla società R.T.I., il pericolo di estinzione di una emittente nazionale senza contestuale aumento del pluralismo informativo. 13. — Si è costituita la società Centro Europa 7 s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Oneglia, Renzo Vistarini e Raffaele Izzo, ripercorrendo l’iter motivazionale dell’ordinanza del Tar e condividendo le censure di incostituzionalità sollevate. La società aggiunge che l’attuale normativa di settore le impedirebbe di utilizzare concretamente le frequenze che le sono state assegnate nella fase di pianificazione, e conclude per l'accoglimento delle questioni sollevate. 14.— Nell'imminenza dell’udienza pubblica del 6 novembre 2001, sono state depositate ulteriori memorie difensive. L’Avvocatura generale dello Stato ribadisce l’erronea valutazione della rilevanza effettuata dal giudice rimettente, aggiungendo che esula dall’oggetto della questione sollevata dal Tar qualunque valutazione attinente alla non equivalente copertura del territorio nazionale da parte delle reti, così come eventuali illegittimità dei provvedimenti amministrativi adottati. Si precisa, ad ogni modo, che l’eventuale caducazione delle norme impugnate non determinerebbe un incremento della disponibilità di frequenze per gli altri concessionari, atteso che: a) le frequenze occupate dalla rete "eccedente" non sarebbero corrispondenti a quelle di una rete configurata nel piano; b) non si potrebbe effettuare una assegnazione provvisoria in mancanza di specifica indicazione del piano stesso. La difesa erariale evidenzia, inoltre, che una eventuale sentenza di accoglimento inciderebbe negativamente sul c.d. piano di "disarmo bilanciato" predisposto dal legislatore del 1997, che vorrebbe una contestuale attuazione delle norme di cui all'art. 3, commi 6, 7 e 9, della legge n. 249 del 1997 (quest’ultimo comma è relativo al programma di ristrutturazione di una delle reti della RAI in una emittente che non può avvalersi di risorse pubblicitarie). Nel merito, l’Avvocatura si sofferma ampiamente sulla nuova tecnica di trasmissione digitale per evidenziare che l’aumento del numero dei programmi irradiabili non può non avere una ricaduta sui criteri di adeguamento ai principi costituzionali in materia. Il nuovo scenario digitale riceverà completa definizione, continua la difesa erariale, entro l’anno 2006, secondo quanto disposto dall’art. 2-bis, comma 5, della legge n. 66 del 2001; medio tempore verrà consentita la sperimentazione della diversa tecnica di trasmissione con obbligo dei soggetti titolari di più di una concessione di riservare almeno il 40% della capacità di trasmissione di ciascun blocco di programmi ad altri operatori. Riferisce sempre l'Avvocatura che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con deliberazione del 7 agosto 2001, n. 346, sulla base della predetta normativa e all’esito di approfondite analisi di mercato, ha fissato il termine del 31 dicembre 2003 per il definitivo abbandono dell’etere terrestre da parte delle reti eccedenti, con riserva di rivedere il termine stesso entro il 31 gennaio 2003, prevedendo che alla data per prima indicata, almeno il 50% della popolazione sarà in grado di ricevere segnali televisivi digitali e satellitari. Per le esposte ragioni, l’Avvocatura conclude, anche alla luce delle menzionate novità legislative e provvedimentali, nel senso della inammissibilità o infondatezza della questione sollevata. 15.— La difesa della RAI s.p.a. si richiama anch’essa al contenuto della legge n. 66 del 2001 e al provvedimento n. 346 del 2001 dell’Autorità per evidenziare come la soglia del 50% — ritenuta dall’Agcom stessa un giusto "bilanciamento tra la necessità di procedere ad una rapida deconcentrazione e le esigenze economiche delle imprese" — appaia rispondente ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Dopo aver sottolineato la natura del tutto eterogenea della misura prevista dall’art. 3, comma 9, rispetto alle misure anticoncentrative disposte dai commi 6 e 7 dello stesso art. 3, la deducente insiste nella dichiarazione di infondatezza della questione sollevata dal Tar. 16.— La difesa di Rete A s.r.l. mette in evidenza, nella memoria depositata, che il termine del 31 dicembre 2003 fissato dall’Agcom è: a) eccessivamente lontano in relazione alla perdurante situazione di accertata illegittimità; b) non "credibile" alla luce della facoltà di proroga prevista; c) "smentito" da altre analisi di mercato, secondo le quali la diffusione digitale interesserà il 60% delle famiglie italiane soltanto nel 2017. La deducente aggiunge, inoltre, che il legislatore e l’Agcom avrebbero disegnato un circolo vizioso, attribuendo il compito di stimolare e accelerare il passaggio alle nuove tecnologie ai principali operatori privati, che hanno interesse a ritardare l’attuazione di un sistema che porterà alla perdita della rete "eccedente". La parte insiste, pertanto, per l’accoglimento della questione sollevata. 17.— La difesa di R.T.I. s.p.a., rispetto alle argomentazioni difensive prospettate nell’atto di costituzione, sottolinea la necessità di una rinnovata valutazione del requisito della rilevanza ad opera del giudice a quo, in quanto: a) non sarebbe stata impugnata, da parte dei ricorrenti, la deliberazione n. 346 del 2001 dell’Agcom; b) tale deliberazione ha fissato il termine finale del regime transitorio, con consequenziale venuta meno della natura indeterminata delle disposizioni censurate. Da qui la prospettata necessità di una restituzione degli atti al giudice a quo, già altre volte, effettuata dalla Corte in presenza di ius superveniens contenuto in atti non aventi forza di legge (vengono citate la sentenza n. 177 del 1991 e l’ordinanza n. 173 del 1973). Il suddetto provvedimento dell’Autorità viene richiamato anche al fine di riaffermare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale, atteso che non sussisterebbe più né il rischio di una protrazione indefinita del regime transitorio, né una applicazione dello stesso per un periodo ancora eccessivamente lungo. In questo quadro si inserirebbe la legge n. 66 del 2001, che avrebbe integrato il regime transitorio previsto dalla legge n. 249 del 1997, rispettando le indicazioni date dalla sentenza n. 420 del 1994. Dopo aver ricordato le disposizioni più rilevanti del nuovo assetto televisivo "imposto" dal legislatore, la difesa di R.T.I. sostiene che le attuali reti "eccedentarie" dovranno — alla luce, soprattutto, di quanto statuito dall’art. 2-bis della legge citata — svolgere un ruolo trainante del sistema verso la conversione delle tecniche di trasmissione e conseguentemente verso la migliore attuazione del principio del pluralismo informativo. La società deduce, inoltre, che una ipotetica dichiarazione di illegittimità costituzionale determinerebbe il crollo dell’intero sistema televisivo, in quanto: a) verrebbe a cadere l’insieme degli atti impugnati; b) le imprese sarebbero private dei titoli abilitativi, tornando ad operare in una situazione di precarietà ed incertezza; c) non sarebbe possibile assegnare frequenze "ad altri aspiranti", atteso che, venute meno le concessioni, tutti i soggetti diventerebbero soltanto "aspiranti"; d) non si potrebbe procedere all’assegnazione di frequenze in presenza di un piano "annullato". A questo, la difesa della parte aggiunge che l’impossibilità di assegnazione delle frequenze deriverebbe anche dal fatto che le stesse sarebbero localizzate in determinati punti di irradiazione, suscettibili, in quanto tali, di utilizzazione soltanto mediante gli impianti disattivati. Tutto questo evidenzierebbe l’errore in cui sarebbe incorso il giudice rimettente; da ciò la rafforzata necessità di un riesame della rilevanza della questione da parte di quest’ultimo. 18.— La difesa di TV Internazionale s.p.a. e di Beta Television s.r.l., in ordine alle diverse eccezioni sollevate dalle parti costituite sulla rilevanza della questione, replica che, affinché la questione di legittimità costituzionale possa dirsi rilevante, è sufficiente "una non implausibile motivazione sulla applicabilità nel giudizio a quo delle disposizioni" censurate; osserva che, in ogni caso, nell’ipotesi concreta la rilevanza deriva dal fatto che il trasferimento sul satellite delle reti eccedenti consentirebbe di "recuperare" un numero elevato di radiofrequenze suscettibili di nuova assegnazione. Nel merito, le società ribadiscono la "consecuzione" temporale e concettuale esistente tra la disciplina oggetto della sentenza n. 420 del 1994 e la legge n. 249 del 1997, attestata dal fatto che la rete eccedente di R.T.I. continuerebbe ad operare grazie al rilascio della concessione avvenuta nel 1992 sulla base dell’art. 15, comma 4, della legge n. 223 del 1990, dichiarato incostituzionale con sentenza n. 420 del 1994. Le deducenti affermano, inoltre, in risposta alla sostenuta assenza di effetti favorevoli al pluralismo in caso di cessazione dell’attività delle reti eccedenti, che una sentenza di accoglimento consentirebbe all’emittente Centro Europa 7 di iniziare ad operare nel mercato e, più in generale, agli altri soggetti concessionari di ottenere le frequenze in concreto assegnate. Quanto alla dedotta influenza dell’innovazione tecnologica digitale sulla garanzia del pluralismo osserva che tale influenza non sarebbe attuale, tenuto conto che la tecnologia digitale sostituirà quella analogica soltanto "entro l’anno 2006", quando già saranno scadute le concessioni sessennali rilasciate nel luglio del 1999. La situazione, ad avviso delle deducenti, non è mutata né con la fissazione del termine ad opera della deliberazione dell’Agcom n. 346 del 2001 (termine ritenuto inattendibile e suscettibile di successive proroghe), né con l’emanazione della legge n. 66 del 2001. Gli artt. 1 e 2-bis di detta legge sarebbero, anzi, anch’essi incostituzionali perché: a) l’art. 1 impedirebbe alle amministrazioni competenti — in contrasto con gli artt. 3, 21, 41 e 97 della Costituzione — di esercitare le funzioni di governo dell’etere, là dove consente alle reti (anche prive di concessioni) di proseguire nell’esercizio delle loro trasmissioni sino all’attuazione del nuovo piano digitale; b) gli artt. 1 e 2-bis perpetuerebbero sino al 2007 — in contrasto con gli artt. 3, 21, 41, 97 e 136 della Costituzione — uno stato di fatto già dichiarato incostituzionale, consentendo, al contempo, che l’etere terrestre continui — in contrasto con gli artt. 3, 21, 41, 42 e 97 — ad essere utilizzato dalle emittenti criptate di un solo gruppo imprenditoriale. La difesa delle società insiste, pertanto, nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione e nella richiesta di dichiarazione di incostituzionalità consequenziale delle norme da ultimo richiamate. 19.— La difesa di Prima TV s.p.a. ed Europa TV s.p.a. prospetta, innanzitutto, la violazione del principio di pari trattamento, per l’ingiustificato regime giuridico che caratterizza le trasmissioni criptate rispetto a quelle in chiaro. Le deducenti, dopo aver sottolineato il rapporto di stretta dipendenza esistente tra impianti e frequenze secondo quanto già riferito dalla difesa di R.T.I, chiedono che la Corte disponga la restituzione degli atti al giudice a quo a seguito della emanazione della più volte citata deliberazione della Agcom n. 346 del 2001. 20.— La società Centro Europa 7 s.r.l. — dopo aver sostenuto l’irrilevanza ai fini della decisione della sopravvenuta fissazione del termine da parte dell’Agcom secondo le linee difensive già tracciate dalla società Rete A — sottolinea che tuttavia l’emittente da essa gestita è l’unica ad avere ottenuto regolare concessione ma che non può operare per la mancata assegnazione delle frequenze da utilizzare; evidenzia la gravità dell’attuale assetto televisivo caratterizzato dalla presenza di tre reti nazionali di R.T.I. su un totale di sei effettivamente operanti, delle quali due "Tele+Bianco e Telemarket (Elefante) non farebbero informazione, la prima in quanto pay tv e la seconda perché emittente di sole televendite"; insiste, pertanto, per l’accoglimento della questione. 21.— A seguito dell’udienza pubblica del 6 novembre 2001 la Corte, con ordinanza istruttoria 3 dicembre 2001, ha disposto, "ai fini di una più completa valutazione di tutti gli aspetti della controversia e delle tesi contrapposte illustrate dalle parti", l'acquisizione di una serie di elementi di conoscenza circa l’assetto radiotelevisivo italiano, con particolare riguardo a quello in ambito nazionale, la sua evoluzione nel tempo, specie nel periodo transitorio, e i fattori che hanno concorso a determinarlo, compresi, tra gli altri, gli aspetti tecnici (tecnologie di trasmissione, impianti, frequenze, copertura del territorio, ecc.), economici (assetti proprietari, accordi tra emittenti, ecc.) e finanziari (entrate e costi, entità e distribuzione della raccolta pubblicitaria, ecc.). La Corte, con la predetta ordinanza, ha previsto i termini e le modalità dell’esecuzione dell’istruttoria, affidando al Giudice relatore, quale giudice per l’istruzione, l’acquisizione degli elementi sopra indicati e la determinazione dei termini per i singoli adempimenti. 22.— Il Giudice per l’istruzione ha disposto l’acquisizione degli elementi di conoscenza indicati, inoltrando formale richiesta al Ministero delle comunicazioni e all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (in data 4 febbraio 2002), nonché all’Autorità della concorrenza e del mercato (in data 14 febbraio 2002). In relazione alle rispettive competenze tecniche è stato chiesto di indicare, con riferimento: A. alle emittenti televisive private nazionali e alla concessionaria del servizio pubblico: - gli impianti di radiodiffusione televisiva nazionale esercenti nei seguenti periodi: a) 1 ottobre 1984-agosto 1990 (in riferimento al decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807 - legge 6 agosto 1990, n. 223); b) agosto 1990-agosto 1993 (in riferimento al decreto-legge 27 agosto 1993, n. 323); c) agosto 1993-agosto 1996 (in riferimento al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545); d) agosto 1996-luglio 1997 (in riferimento alla legge 31 luglio 1997, n. 249); e) luglio 1997- luglio 1999 (in riferimento alla data di rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni per le emittenti private); f) luglio 1999 fino alla data di comunicazione della richiesta inoltrata (con aggiornamento alla data dell’adempimento istruttorio), con indicazione delle aree coperte e della localizzazione dei siti di emissione dei segnali televisivi; B. all’evoluzione del sistema televisivo dal 1994 ad oggi: - numero delle reti, livello di copertura del territorio e localizzazione degli impianti esercenti nel dicembre del 1994, con elencazione delle variazioni intervenute fino alla comunicazione della richiesta inoltrata (con aggiornamento alla data dell’adempimento istruttorio) e delle misure concretamente adottate "al fine di consentire e gradualmente ridimensionare le concentrazioni esistenti"; C. ai sistemi, alle tecniche e alle modalità di trasmissione: a) la quantità percentuale di servizi di televisione attualmente offerta con qualsiasi sistema (ad esempio: via etere terrestre; via cavo; via satellite), tecnica (ad esempio: analogica; digitale) o modalità (es. in chiaro; ad accesso condizionato) di trasmissione, con specificazione delle rispettive aree coperte e della possibile integrazione dei sistemi e delle modalità di trasmissione sotto il profilo degli impianti riceventi; b) l’andamento del "mercato degli utenti e degli operatori" dal 1997 ad oggi, con previsione sino al 2006 per ciascuno dei predetti sistemi, tecniche e modalità di trasmissione; C.1 alla televisione digitale terrestre: a) i dati sulla fase di sperimentazione prevista dall’art. 2-bis del decreto-legge n. 5 del 2001, con (eventuale) indicazione degli operatori privati che hanno intrapreso la suddetta sperimentazione; b) i costi degli apparecchi riceventi e/o degli adattatori necessari per la ricezione del segnale televisivo digitale trasmesso in chiaro o in forma codificata (ad esempio: set top box; decoder; sistemi di antenna individuali/centralizzati), con specificazione delle possibilità di utilizzazione/adattamento di quelli esistenti ai fini della ricezione del segnale digitale; c) i costi di installazione e di utilizzazione degli impianti di trasmissione in tecnica digitale; d) l’andamento del mercato dei predetti costi dal 1997 ad oggi, con previsione sino al 2006; e) il numero dei canali e delle reti "disponibili" con un sistema di trasmissione digitale a regime, specificando i limiti anticoncentrativi in grado di assicurare le regole concorrenziali; D. all’attuazione del piano di assegnazione delle frequenze: a) gli interventi tecnici e le iniziative comunque intraprese per l’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze al fine di consentire, in particolare, l’effettivo impiego delle frequenze concretamente assegnate ai singoli concessionari; b) la prevedibile durata del processo di compatibilizzazione della situazione esistente a quella prefigurata nel piano; E. alla copertura del territorio nazionale delle emittenti televisive private in chiaro e criptate: - l’attuale livello di illuminazione delle aree di servizio consentito alle stazioni televisive appartenenti alle emittenti private nazionali cui è stata rilasciata l’autorizzazione o la concessione nel luglio del 1999; sul punto si è chiesto di specificare, altresì: a) lo scarto esistente tra tale livello e quello raggiungibile mediante la concreta utilizzazione delle frequenze oggetto dei titoli abilitativi; b) le modalità tecniche di ridistribuzione delle frequenze necessarie per la configurazione dei siti comuni previsti nel piano; E.1. alla copertura del territorio nazionale della concessionaria del servizio pubblico: - l'attuale livello di illuminazione raggiunto; F. alla convergenza multimediale: - lo stadio di sviluppo del processo di convergenza multimediale tra il settore radiotelevisivo e delle telecomunicazioni. Con riferimento agli aspetti economici, si è richiesto di indicare, in relazione alle rispettive competenze: a) la situazione degli assetti proprietari di tutte le reti televisive private nazionali, nonché le situazioni di controllo e di collegamento comunque esistenti tra le emittenti e tra queste e i soggetti proprietari in ciascuno dei periodi indicati sub A); b) gli accordi intercorsi tra le emittenti, compresi quelli di interconnessione o di trasmissione di programmi in contemporanea eccedenti l’ambito locale. Infine, per gli aspetti finanziari, è stato richiesto, sempre avuto riguardo agli ambiti di competenza, di specificare: a) le entrate e i costi di ciascuna rete privata e pubblica, con allegazione degli estratti di bilancio; b) le quote di audience e della raccolta pubblicitaria di tutte le emittenti private e pubbliche operanti a livello nazionale dal 1994 fino alla data dell'inoltro della richiesta (con aggiornamento alla data dell'adempimento istruttorio). Con riferimento a tutti gli aspetti sopra riportati, è stato chiesto, inoltre, di fornire elementi in ordine al livello di concorrenza effettivo e consentito, con previsione fino al 2006, tenendo conto, tra l'altro, del numero delle imprese televisive nazionali pubbliche e private operanti, delle risorse tecniche disponibili, delle barriere all'ingresso esistenti. In data 23 maggio 2002, il giudice per l’istruzione, a seguito dell’avvenuto deposito delle relazioni illustrative e della relativa documentazione da parte dei soggetti sopra indicati, ha chiesto al Ministero delle comunicazioni di fornire i seguenti chiarimenti: a) in ordine alla copertura del territorio nazionale, sulla base di quali elementi si fosse accertato il superamento della soglia del 75% del territorio da parte di Canale 5 e Italia 1 e il mantenimento al di sotto di detta soglia per le altre emittenti nazionali; b) in ordine al numero dei canali e delle reti disponibili in tecnica digitale, sulla base di quali criteri fosse stato possibile ipotizzare — avendo la disponibilità di 55 canali — un numero di programmi pari a 220; c) sulle attuali e prevedibili possibilità di utilizzazione dei quattro canali previsti dal piano (analogico) nazionale di assegnazione delle frequenze (66, 67 e 68 della banda V della gamma UHF ed il canale 9 della banda III della gamma VHF) per la diffusione digitale terrestre; d) in ordine agli accordi tra emittenti, l’assetto proprietario dei seguenti soggetti: Consorzio Italia 9 Network; Circuito Odeon Tv; Consorzio Italia 3, dal momento della loro costituzione ad oggi; e) l’attuale stato dei giudizi promossi da Rete Mia, Rete A, Rete Capri, 7 Plus. In pari data, il giudice per l'istruzione ha chiesto, altresì, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni chiarimenti sul punto c) sopra indicato, nonché di specificare in dettaglio, in ordine al numero dei canali e delle reti disponibili in tecnica digitale, i criteri che consentirebbero — avendo la disponibilità di 55 canali — un numero di programmi complessivo pari a 144. Infine, le due Autorità e il Ministero sono stati invitati a trasmettere (entro il 2 settembre 2002) ulteriori ed eventuali elementi di aggiornamento relativi allo stato della sperimentazione del digitale terrestre. 23.— Con memoria depositata all’esito dell’istruttoria, Centro Europa 7 s.r.l. ha sottolineato, quanto al contenuto della relazione redatta dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, come detta Autorità abbia confermato "con termini chiari ed inequivoci" che il quadro normativo delineato dalla legge n. 249 del 1997 ha "lasciato pressoché immutato il precedente assetto", attraverso l’ulteriore proroga del periodo transitorio e il rilascio di titoli abilitativi alle reti eccedenti, con conseguente impossibilità per la esponente di utilizzare le frequenze oggetto della concessione rilasciata nel luglio del 1999; per quanto riguarda il contenuto della relazione depositata dal Ministero delle comunicazioni, ha osservato come lo stesso "non abbia potuto fare a meno di confermare" che "la proroga dell’esercizio delle emittenti televisive nazionali veniva disposta fino al 31 luglio 1999". La difesa della società, inoltre, contesta l’affermazione ministeriale secondo cui non vi sarebbe "legame tra le concessioni rilasciate e la disponibilità delle frequenze transitoriamente in esercizio", mediante il richiamo all’art. 5, comma 2, del decreto ministeriale 8 marzo 1999 (Disciplinare per il rilascio delle concessioni nazionali). L'esponente conclude, sul punto, affermando che l'attuale situazione prorogherebbe con aggravio la precedente, operando allo stato, sul mercato, sei reti nazionali, di cui due (Tele+ Bianco e Telemarket) "non farebbero informazione". Nella memoria, infine, la parte analizza la questione di legittimità costituzionale alla luce del previsto sistema televisivo digitale, sottolineando come tutte le parti in causa, nonché le due Autorità e il Ministero, direttamente o indirettamente, abbiano ritenuto non realizzabile il passaggio alla nuova tecnica di trasmissione entro la data prefissata della fine dell'anno 2006. Vengono riportati, a tal proposito, alcuni passi della relazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in cui si manifesta la conseguente preoccupazione di una protrazione dell’attuale situazione di sostanziale duopolio con "rilevanti barriere all’ingresso" e "fenomeni collusivi a carattere escludente nei confronti di altri operatori in violazione delle regole di concorrenza". La difesa di Centro Europa 7 s.r.l. indica quale data realistica del passaggio al digitale l'anno 2017, precisando, però, come l’attuale questione di legittimità costituzionale abbia ad oggetto il sistema di trasmissioni televisive in tecnica analogica e non digitale, considerato anche che le concessioni rilasciate nel luglio del 1999 scadranno nel luglio del 2005 e quindi prima della programmata data di cessazione della tecnica analogica del 2006. La società deducente afferma di condividere quanto sostenuto dalla difesa delle società TV Internazionale s.p.a. e Beta Television s.r.l., secondo cui alcune norme della legge n. 66 del 2001 "concorrono anch’esse a perpetuare la situazione di incostituzionalità denunciata dal Tar Lazio, con richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale degli artt. 1 e 2-bis del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, per contrasto con gli artt. 3, 21, 41, 42, 97 e 136 della Costituzione". Infine, la difesa della parte deduce che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nella propria relazione "si dimentica", nel descrivere il panorama dell’emittenza nazionale, che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze del 1998 è stato accantonato, con la conseguente oggettiva impossibilità per la stessa Centro Europa 7 s.r.l. di utilizzare concretamente le frequenze oggetto di concessione. La parte richiama, inoltre, l’affermazione contenuta nella "relazione aggiuntiva" predisposta dall’Autorità citata, secondo cui "la nuova assegnazione delle frequenze ha consentito una copertura di oltre l’80% del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia. La popolazione servita è pari ad oltre il 92 % (...)"; tale asserzione viene contestata in quanto la stessa rischierebbe di creare "pericolosi equivoci", atteso che nessuna "nuova frequenza" è stata assegnata, come, del resto, ammette lo stesso Ministero, laddove nella relazione fa riferimento all'accantonamento del piano. L'esponente, pertanto, chiede che vengano dichiarate incostituzionali le norme censurate, compreso l’art. 3, commi 6 e 7 — qualora non si ritenga che detto articolo sia stato implicitamente abrogato dalla successiva legge 29 marzo 1999, n. 78 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo equilibrato dell'emittenza televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo") — , e le altre norme sopra indicate. 24.— Con memoria anch’essa depositata all’esito dell’istruttoria, l’Adusbef contesta, innanzitutto, la ricostruzione dell’assetto televisivo pubblico e privato svolta dal Ministero nella relazione depositata agli atti, in quanto la stessa farebbe pensare "che lo sviluppo dell’etere sia stato sotto il controllo dello Stato". La difesa della parte ripercorre l’evoluzione legislativa che ha caratterizzato il settore al fine di dimostrare, di converso, la carenza di una normativa organica, rispettosa dei principi costituzionali, sottolineando la nascita di fatto dell’attuale situazione del mercato televisivo e illustrando il contenuto delle sentenze ritenute più significative emanate dalla Corte costituzionale fino alla sentenza n. 420 del 1994, cui non sarebbe stata data "esecuzione". Viene, inoltre, riportato un passo della relazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in cui verrebbe fotografata, secondo l'Adusbef, l’attuale situazione in contrasto con il principio della concorrenza e del pluralismo. Allo stesso modo, l'esponente richiama parte del contenuto delle relazioni annuali al Parlamento dell’Agcom del 2000 e 2001, in cui si sarebbe rilevata la presenza di un sostanziale duopolio (Rai e Mediaset). La difesa della parte si sofferma, poi, sulla televisione digitale terrestre, ribadendo l’impossibilità dell’avvio di detto sistema entro la data programmata del 2006 e dando atto che lo stesso si trova in uno stadio di sperimentazione che, tra l’altro, la RAI starebbe effettuando esclusivamente sul piano tecnico, senza diffusione al pubblico, in tre località. Nell’ultima parte della memoria, l’Adusbef illustra "il concetto di pluralismo" in tutte le sue manifestazioni, anche alla luce delle esperienze degli altri Paesi, sottolineando lo stato di inattuazione di detto principio nel nostro Paese. La parte dà atto, inoltre, che "l’Autorità Antitrust Europea ha aperto una procedura nei confronti del Governo italiano per la questione ben nota di Centro Europa 7 s.r.l., che ha ottenuto da tre anni la concessione, ma non ha le frequenze in quanto occupate da Rete Quattro". 25.— Con memoria depositata all'esito dell'istruttoria, l'Avvocatura generale dello Stato ha ripreso, ampliandole, le argomentazioni già contenute nel precedente atto di intervento ed ha sottolineato, inoltre, quanto segue. Descrivendo il contesto televisivo digitale alla luce di quanto previsto dal decreto-legge n. 5 del 2001, la difesa erariale ritiene che i tempi non brevi di attuazione del piano analogico di assegnazione delle frequenze finirebbero con il sovrapporsi a "quelli dell’imprescindibile introduzione del digitale" (ritardandone il passaggio), con pesanti ricadute in termini economici per gli operatori, a causa della necessaria duplicazione degli investimenti, e per la stessa utenza, costretta a "risintonizzare gli apparecchi riceventi ed a riorientare le antenne e, successivamente, nuovamente costretta a risintonizzare gli apparecchi e ad acquisire set top box o nuovi televisori digitali".

L'Avvocatura aggiunge, inoltre, che la caducazione delle norme censurate non potrebbe condurre all’attuazione del piano analogico di assegnazione, stante "il congelamento della situazione di detenzione attuale" sino all’attuazione del piano digitale di assegnazione delle frequenze di cui al citato decreto-legge n. 5 del 2001. La difesa erariale ribadisce, inoltre, che la questione sarebbe inammissibile in quanto inciderebbe sulla definizione delle modalità di attuazione e di messa a regime del sistema misto previste dal legislatore, nell’esercizio non arbitrario della propria discrezionalità, mediante la correlazione tra la fissazione di limiti di cumulo delle concessioni (art. 2, comma 6, della legge n. 249 del 1997) e la ristrutturazione della concessionaria pubblica, in modo che la stessa non possa avvalersi di più di due reti per la trasmissione di pubblicità (art. 3, comma 9, della legge citata).

continua >