NOTIZIARIO del 29 ottobre 2003

 
     

la relazione sul pdl del governo Berlusconi sui culti religiosi

Onorevoli Deputati! La riforma della legislazione ecclesiastica avviata nel 1984 e articolatasi nella revisione concordataria, nell'approvazione delle norme sugli enti cattolici e il sostentamento del clero, nonché nella applicazione del procedimento di cui al terzo comma dell'articolo 8 della Costituzione per la regolamentazione, sulla base di "intese", dei rapporti tra lo Stato ed alcune confessioni religiose - che hanno segnato la prima, significativa fase di un vasto processo di rinnovamento tutt'oggi in corso - si integra con il presente disegno di legge che intende compiutamente attuare i princìpi costituzionali in materia di libertà di coscienza, di religione o di credenza e, parallelamente, abrogare la normativa degli anni 1929-1930 sull'esercizio di quei culti diversi dal cattolico che, con riferimento al concetto di religione dello Stato, venivano allora definiti "ammessi".

La normativa del 1929-1930 si fonda non solo su princìpi diversi da quelli della Costituzione democratica, ma si palesa, in molte disposizioni, in netto contrasto con il sistema della medesima. D'altra parte, la regola della bilateralità sancita dagli articoli 7, secondo comma, e 8, terzo comma, della Costituzione, non esaurisce il sistema di pluralismo confessionale disegnato dal costituente, sia con riferimento alla tutela dei diritti inviolabili anche all'interno delle formazioni sociali "confessionali", sia in relazione ai diritti previsti dagli articoli 17, 18 e 19 della Costituzione ed alla libertà delle associazioni e istituzioni con finalità di religione o di culto, di cui all'articolo 20 della Costituzione, anche operanti, per loro natura o volontà, nel quadro del diritto comune. Non sarebbe possibile, inoltre, riservare alla negoziazione legislativa con le confessioni religiose - di per sé necessariamente settoriale - la regolamentazione di interessi riguardanti la generalità dei cittadini e di materie che non toccano o non si esauriscono nel rapporto Stato-confessioni, e tanto meno l'abrogazione di leggi, come quelle del 1929-1930, valide per tutti i culti liberamente esercitati nello Stato e diversi dal cattolico.

Il presente disegno di legge propone pertanto la abrogazione integrale della legge 24 giugno 1929, n. 1159, e del regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, tenendo conto di esigenze che concernono direttamente profili soggettivi della libertà religiosa, ma anche esplicitando in termini propri dell'ordinamento giuridico italiano princìpi contenuti nelle numerose convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo ratificate, rafforzandone, in tal modo, l'operatività. Si propone, altresì, di contribuire all'attuazione della tutela costituzionale degli interessi religiosi collettivi, con riferimento all'autonoma organizzazione dei medesimi - su base statutaria e associativa (articolo 8, secondo comma, e articolo 20 della Costituzione) -, senza ovviamente modificare o pregiudicare, in alcun modo, il sistema di regolazione bilaterale dei rapporti Stato-confessioni religiose (articolo 8, terzo comma, della Costituzione), ma agevolando la vita di istituzioni, associazioni e organizzazioni con finalità di religione o di culto nella loro libera e peculiare espressione. Si propone, poi, di attuare compiutamente l'articolo 8, terzo comma, della Costituzione, tenendo conto della legge sulla Presidenza del Consiglio dei ministri (legge n. 400 del 1988) ed anche delle linee già sperimentate per alcune confessioni religiose a decorrere dal 1984, definendo e regolando le procedure per la stipulazione di intese tra Governo e rappresentanze delle confessioni religiose interessate.

Il disegno di legge sulla libertà religiosa era stato già presentato dal Governo Prodi nel corso della XIII legislatura (atto Camera n. 3947). La Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, dopo un approfondito esame delle disposizioni e numerose audizioni di rappresentanti di confessioni religiose, aveva approvato, in sede referente, un testo contenente anche alcuni emendamenti presentati dal relatore, onorevole Maselli, da componenti della Commissione appartenenti a diversi gruppi parlamentari, nonché dallo stesso Governo. Nel testo che il Governo presenta ora al Parlamento sono stati recepiti tali emendamenti e sono stati apportati alcuni necessari aggiornamenti.

Il disegno di legge si compone di quattro capi: il primo riguarda la libertà di coscienza e di religione, il secondo si occupa delle confessioni e associazioni religiose e del loro eventuale riconoscimento giuridico, il terzo è dedicato alla procedura per la stipulazione delle intese, mentre il quarto contiene disposizioni finali e transitorie.

Il capo I del disegno di legge (articoli 1-14) intende concretare, per una compiuta attuazione, le garanzie costituzionali dei diritti individuali e collettivi di libertà religiosa, raccordando, altresì, tali garanzie con le disposizioni in materia contenute nelle convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo (Convenzione europea del 1950 - i cui princìpi in materia sono stati ora riaffermati dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea -, Patti internazionali del 1966, Convenzione sulla discriminazione razziale del 1966, eccetera) firmate e ratificate dal nostro Paese, ma non sempre tenute nel dovuto conto nella concretezza dell'esperienza giuridica. Pertanto, l'articolo 1 del disegno di legge è volto a rendere operativo tale raccordo in conformità all'articolo 10 della Costituzione, lasciando ovviamente "aperto" il riferimento ad eventuali future convenzioni ed anche, più in generale, alle norme del diritto internazionale "generalmente riconosciute".

L'articolo 2, che si richiama alle prescrizioni contenute nelle ricordate convenzioni internazionali, anche alla luce di atti come la Dichiarazione dell'ONU sulla libertà religiosa del 1981 e l'Atto finale della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Helsinki, 1975), intende specificare, in coerenza con tali prescrizioni, i contenuti principali della libertà di religione e di coscienza, chiarendo che, proprio in conformità al diritto internazionale, le "credenze non religiose" o ateistiche vanno ricondotte, sul piano della loro libera professione e del loro esercizio, alla libertà di coscienza che il disegno di legge si propone di garantire concretamente. E' noto, infatti, che nelle ricordate convenzioni internazionali il termine "credenza" (negli originali in lingua francese "conviction" e in lingua inglese "belief") si riferisce alle convinzioni non religiose o ateistiche che vengono espressamente ricondotte alle fattispecie garantite dalle disposizioni in materia di libertà fondamentali. Si ricorda anche che nella dichiarazione n. 11, annessa al Trattato di Amsterdam, lo status delle chiese e comunità religiose è esplicitamente parificato a quello delle organizzazioni filosofiche e non confessionali. Viene, inoltre, specificato che tale libertà include il diritto di mutare credenza religiosa, mentre vengono opportunamente richiamati i limiti all'esercizio dei diritti in questione previsti dalla Costituzione (articoli 18 e 19).

L'articolo 3, che si rifà al principio costituzionale di uguaglianza, garantisce da qualsiasi obbligo di dichiarazioni riguardanti specificamente l'appartenenza confessionale, non vietando, ovviamente, la possibilità di rispondere liberamente e volontariamente a richieste dirette a fini statistici o di ricerca scientifica, oppure di esercitare l'obiezione di coscienza nei casi previsti dalla legge.

L'articolo 4, che si rifà invece alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (articolo 25), a quella sui diritti del fanciullo (1959), alla Dichiarazione dell'ONU del 1981 (articolo 5) ed al Protocollo addizionale alla Convenzione europea del 1950 (articolo 2), reso esecutivo ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nel garantire il diritto dei genitori, precisa che l'istruzione e l'educazione della prole in conformità alle proprie credenze, religiose o non religiose, devono essere impartite nel rispetto della personalità e senza pregiudicare la salute dei figli. Stabilisce, inoltre, risolvendo un problema che ha trovato soluzioni diverse sul piano normativo e giurisprudenziale, al quattordicesimo anno di età la capacità dei minori di compiere scelte inerenti alla libertà di religione, senza ovviamente interferire con l'esercizio della potestà dei genitori regolata dal codice civile.

L'articolo 5 è una utile specificazione della libertà di riunione e di associazione garantita dalla Costituzione e qui riferita ai fini di religione e di culto anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 1958. Con l'articolo 6 si intende garantire la piena libertà di adesione e di recesso da qualsiasi organismo confessionale, unitamente al diritto di partecipare alla vita interna di esso, salvaguardando l'esercizio di tali libertà e diritti da ogni atto che possa discriminare, molestare o nuocere chi li eserciti e tutelando, quindi, anche persone particolarmente esposte, quali minori o incapaci. La non ingerenza da parte dello Stato riguarda esclusivamente la partecipazione alla vita e all'organizzazione delle confessioni religiose, mentre rimangono integralmente applicabili le disposizioni che garantiscono i diritti inviolabili, la personalità e l'integrità psichica e fisica degli aderenti.

L'articolo 7 specifica alcune libertà indicate all'articolo 2, precisando che il diritto di agire secondo coscienza, in relazione alle proprie convinzioni religiose o non religiose, non può comportare la violazione di diritti e doveri costituzionali, e rinviando alle norme riguardanti specifiche materie nelle quali possa avere rilievo l'obiezione di coscienza per quanto riguarda le modalità relative al concreto esercizio di tale diritto. L'articolo 8, invece, riproduce negli stessi termini l'articolo 11, comma 1, del Concordato del 1984, reso esecutivo ai sensi della legge n. 121 del 1985, ripreso anche dalle leggi di approvazione delle intese con le confessioni religiose sinora firmate, riaffermando per tutti una garanzia di libertà che, se limitata ai soli aderenti ad alcune confessioni, sarebbe non adeguata al principio costituzionale di uguaglianza. Trattasi comunque, come nel caso dell'articolo 7, di una norma di principio che esige ulteriore attuazione, per i differenti settori considerati, alla luce delle singole e particolari esigenze di ciascuno di essi. Riprendendo un emendamento approvato dalla I Commissione della Camera dei deputati nel corso della XIII legislatura, si è voluto assicurare alle persone appartenenti alle Forze armate, o ricoverate o detenute, in caso di decesso, la celebrazione delle esequie da parte di un ministro di culto della religione di appartenenza. Con l'articolo 9 (approvato dalla I Commissione della Camera dei deputati in sede referente) vengono richiamate le vigenti disposizioni volte ad impedire discriminazioni nei luoghi di lavoro a causa dell'appartenenza ad una determinata confessione o associazione religiosa. I contratti di lavoro, sia collettivi che individuali, devono tener infatti conto dell'esercizio della libertà religiosa.

L'articolo 10, che concreta, con riferimento ai "ministri di culto", il principio della libertà di organizzazione confessionale, stabilisce che solo quando compiano atti destinati ad avere rilevanza giuridica nello Stato, i ministri di culto debbano depositare certificazione attestante la qualifica rivestita all'ufficio competente. Tale ufficio dovrà essere individuato in relazione all'atto da compiere e all'autorità competente nella specifica materia. La disposizione, diversamente dalla legge n. 1159 del 1929, che prevedeva l'approvazione governativa delle nomine per tutti i ministri dei culti diversi da quello cattolico (articolo 3), mantiene solo in via residuale l'istituto dell'approvazione della nomina, limitandolo ai ministri di culto di confessioni religiose che non abbiano il riconoscimento giuridico (o il cui ente esponenziale non abbia tale riconoscimento). Tale previsione ha la finalità di non privare della facoltà di avere ministri di culto abilitati a compiere atti rilevanti anche per l'ordinamento giuridico statale (come il matrimonio) quelle realtà religiose che non intendano o non possano ottenere il riconoscimento della personalità giuridica.

All'articolo 11 si disciplina l'importante argomento del matrimonio. La normativa, che si ricollega alla previgente legislazione, si ispira ai princìpi di libertà e di volontarietà della nuova legislazione ecclesiastica, e si basa su due presupposti: che sia il cittadino a voler celebrare il matrimonio con effetti civili in forma religiosa; che il ministro di culto presso cui si celebra il matrimonio appartenga ad una confessione avente personalità giuridica, o la cui nomina sia stata approvata dal Ministro dell'interno. La ragione di questo secondo presupposto è semplice: trattandosi di questione che attiene allo stato delle persone, è necessario che il ministro di culto - cui sono demandate importanti funzioni, anche di rilevanza pubblicistica - appartenga ad una organizzazione fornita dei requisiti minimi di stabilità e di certezza, propri, appunto, delle persone giuridiche, o che sia stato appositamente autorizzato. L'articolo 11 delinea anche gli adempimenti di cui devono farsi carico i cittadini interessati, il ministro di culto e l'ufficiale dello stato civile. (....)

L'articolo 12 si raccorda, rinviando ad essa, alla normativa in vigore in materia di autonomia scolastica in relazione all'utilizzo di edifici ed attrezzature scolastici per attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale e sociale sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dalle istituzioni scolastiche.

Con l'articolo 13, si è estesa, in conformità ai princìpi costituzionali (articoli 3 e 20), una disposizione - limitata alle affissioni e distribuzioni di stampati che avvengano all'interno o all'ingresso di luoghi o edifici di culto - già vigente per quanto riguarda i fedeli cattolici e gli appartenenti alle confessioni che hanno stipulato intese con lo Stato ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

L'articolo 14, che contiene una disposizione approvata in Commissione, estende agli edifici di culto delle confessioni aventi personalità giuridica la tutela già prevista per gli edifici di culto cattolici e per quelli delle confessioni i cui rapporti sono regolati con legge su base di intese. Ovviamente la tutela è assicurata ai soli edifici aperti al culto pubblico, in quanto è tale destinazione che è considerata meritevole di tutela da parte dell'ordinamento. E' utile chiarire, all'inizio del capo II del presente disegno di legge, il rapporto tra l'articolo 15 e l'articolo 16, ovvero tra la libertà e i diritti che competono a qualsiasi confessione religiosa e la condizione giuridica delle confessioni che chiedono e ottengono la personalità giuridica agli effetti civili.

Con l'articolo 15 si enuncia in modo espresso e dettagliato quanto già previsto riassuntivamente dall'articolo 8, primo comma, della Costituzione, laddove si afferma che "tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge". La garanzia della eguale libertà è riconosciuta dalla Costituzione a tutte le confessioni senza richiedere per ciascuna di esse alcun requisito, né formale né sostanziale; quindi, per il solo fatto di esistere nell'habitat sociale, ogni confessione religiosa fruisce di un eguale patrimonio di libertà che non può essere limitato, o messo in discussione, dal legislatore ordinario o dai poteri pubblici. Quindi, per rendere più esplicito il contenuto della citata disposizione costituzionale, l'articolo 15 prevede che tra i diritti che competono a tutte le confessioni religiose siano da ricomprendere i diritti di celebrare i propri riti, aprire edifici di culto, diffondere la propria fede, formare e nominare liberamente i ministri di culto, emanare liberamente atti, in materia spirituale, assistere spiritualmente i propri appartenenti, comunicare e corrispondere liberamente con le proprie organizzazioni o con altre confessioni, e promuovere la valorizzazione delle proprie esperienze culturali.

Diverso è il valore degli articoli 16 e seguenti, che si sono fatti carico di un problema sempre più sentito negli ordinamenti contemporanei: quello di fornire alle confessioni religiose che lo desiderano gli strumenti giuridici necessari, a cominciare dalla personalità giuridica, per potere agire nei diversi settori della vita associativa e dei rapporti patrimoniali. Il disegno di legge prevede, quindi, l'iter procedurale per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, e si attiene ad un criterio di snellezza che mantenga gli accertamenti e le verifiche negli stretti ambiti costituzionali. In base all'articolo 16, il riconoscimento della personalità giuridica della confessione o dell'ente esponenziale di essa, ed eventualmente di entrambi, ha luogo con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Alla domanda di riconoscimento deve essere allegato lo statuto della confessione di cui è fatta menzione nell'articolo 8, secondo comma, della Costituzione; può inoltre allegarsi ogni altra documentazione che si riterrà utile ai fini del riconoscimento stesso (articolo 17, comma 1).

E' stato, in ogni caso, chiarito che l'attribuzione della personalità giuridica è possibile solo per quelle confessioni che hanno sede in Italia e che sono rappresentate, giuridicamente e di fatto, da un cittadino italiano avente domicilio in Italia (articolo 17, comma 2); infatti, l'articolo 40 prevede che le confessioni religiose che sono persone giuridiche straniere restano regolate dall'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale; ove, però, abbiano una presenza sociale organizzata in Italia e intendano essere riconosciute nell'ordinamento italiano potranno seguire l'iter previsto dalle norme del presente disegno di legge.

Come si è accennato, le confessioni religiose che intendono ottenere la personalità giuridica devono presentare lo statuto e quelle indicazioni necessarie alla propria identificazione normativa e strutturale, ma il parere del Consiglio di Stato verte essenzialmente sul carattere confessionale dell'organizzazione richiedente e implica l'accertamento che lo statuto non contrasti con l'ordinamento giuridico italiano e non contenga disposizioni contrarie ai diritti inviolabili dell'uomo (articolo 18). A tali parametri è dunque ancorata la valutazione ai fini del riconoscimento, come disposto dall'articolo 8 della Costituzione.

Gli articoli 19, 20 e 21 prevedono adempimenti successivi al riconoscimento della personalità giuridica. L'articolo 19 prescrive che la confessione riconosciuta si iscriva nel registro delle persone giuridiche. L'articolo 20 prevede che eventuali modificazioni dello statuto e dell'organizzazione acquistino efficacia con decreto del Presidente della Repubblica, acquisito il parere del Consiglio di Stato, previa deliberazione del Consiglio dei ministri; il riconoscimento può essere revocato con la medesima procedura, qualora venga meno uno dei requisiti in base ai quali il riconoscimento stesso è stato concesso. Infine, l'articolo 21 richiama, per gli acquisti, le disposizioni delle leggi civili concernenti gli acquisti delle persone giuridiche. Si tratta di disposizioni che rispondono a princìpi generali e che già esistono per tutte le confessioni che abbiano già stipulato accordi o intese con lo Stato.

In relazione agli articoli citati (15-21) è necessaria una precisazione. Come si è accennato, il riconoscimento della personalità giuridica è previsto per la confessione religiosa o per l'ente esponenziale che la rappresenta. Ciò è dovuto al fatto che alcune confessioni religiose non intendono - per motivi teologici, dottrinali, o di altra natura - chiedere il riconoscimento in quanto tali, mentre preferiscono che acquisti la personalità giuridica un proprio ente esponenziale che ne assume la rappresentanza in ambito civile. L'ordinamento giuridico, di conseguenza, recepisce un'esigenza confessionale e prevede che sia la confessione stessa a scegliere se chiedere direttamente il riconoscimento della personalità giuridica o se farlo richiedere al proprio ente esponenziale. E' evidente che, qualunque sia la scelta, le conseguenze sono le stesse: è sempre la confessione religiosa che, o direttamente o per il tramite del proprio ente esponenziale, può agire nell'ordinamento civile fruendo della condizione giuridica prefigurata dalla legge. Di tali norme, infatti, non possono usufruire, secondo le disposizioni vigenti, se non le confessioni che regolino bilateralmente i rapporti con lo Stato, con conseguente limitazione del principio dell'uguale libertà delle confessioni (articolo 8 della Costituzione).

L'articolo 22 stabilisce l'applicabilità a tutte le confessioni religiose aventi personalità giuridica delle norme statali vigenti in tema di concessioni e locazioni di beni dello Stato ad enti ecclesiastici e per la disciplina urbanistica dei servizi religiosi. Si garantisce inoltre sotto questo profilo la libertà religiosa ed il diritto di tutti i cittadini a servizi religiosi in conformità alla loro credenza ed appartenenza, commisurando interventi e servizi alle situazioni che rendono necessario l'intervento sulla base di esigenze oggettive, vale a dire in funzione di una presenza organizzata nel territorio, tenendo, quindi, conto delle esigenze religiose della popolazione. Anche nella applicazione di queste norme statali viene ad estendersi il riferimento al principio di bilateralità, prefigurando intese tra le confessioni interessate e le autorità competenti. Si stabilisce comunque una salvaguardia, riferita alla destinazione del bene, per gli edifici di culto costruiti con contributi regionali e comunali.

Con la disposizione di cui all'articolo 23, anch'essa approvata dalla I Commissione della Camera dei deputati in sede referente nel corso della XIII legislatura, si prevede, analogamente a quanto stabilito nelle intese stipulate con confessioni religiose, che la sepoltura dei defunti sia effettuata nel rispetto delle prescrizioni religiose delle confessioni di appartenenza, purché siano compatibili con il regolamento di polizia mortuaria.

L'articolo 24, stabilendo che associazioni e fondazioni con finalità di religione o di culto possano ottenere il riconoscimento della personalità giuridica con le modalità e i requisiti previsti dal codice civile, costituisce una specifica applicazione dell'articolo 20 della Costituzione. La disposizione attribuisce concretezza, anche ai fini del riconoscimento della personalità giuridica e della capacità, al divieto di trattamenti discriminatori (rispetto ad ogni altra) per le associazioni ed istituzioni di carattere ecclesiastico o con finalità di religione o di culto. La stessa norma, inoltre, affianca al rinvio al diritto comune la garanzia della loro specificità per quanto attiene alle attività di religione o di culto.

Gli articoli 25 e 26, distinguendo le attività di religione o di culto dalle altre attività e specificando quali si considerano comunque appartenenti all'una o all'altra categoria, ribadiscono princìpi che hanno già trovato incontroversa espressione nella legislazione ecclesiastica. L'articolo 27 salvaguarda, in conformità ad indirizzi legislativi vigenti, la possibilità e le modalità di iscrizione dei ministri di culto all'apposito Fondo previdenziale, estesa anche, dalla legge n. 488 del 1999, ai ministri di culto stranieri.

Il capo III del disegno di legge definisce il procedimento per la stipulazione delle intese tra Stato e confessioni diverse dalla cattolica previste dall'articolo 8, terzo comma, della Costituzione. Un procedimento che, nella prima fase di attuazione di tale norma e prima dell'emanazione della legge che disciplina l'attività di Governo e l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri (legge 23 agosto 1988, n. 400), era stato avviato in via sperimentale onde verificare nella pratica i modi idonei a realizzare, dopo un lungo periodo di stasi, la previsione della Costituzione. Grazie all'esperienza delle intese sinora concluse ed alla luce della citata legge n. 400 del 1988 si è, pertanto, definito, nelle sue diverse fasi, il sistema di predisposizione delle intese stesse, riservando, ai sensi degli articoli 2, comma 3, lettera i), e 5, comma 2, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, al Presidente del Consiglio dei ministri la rappresentanza del Governo e la stipulazione, e delegando al sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, segretario del Consiglio dei ministri, la conduzione delle trattative con il rappresentante della confessione religiosa interessata onde garantire la bilateralità della negoziazione.

Per assicurare, inoltre, il necessario supporto tecnico a tale negoziazione, è prevista l'istituzione di una commissione di studio costituita pariteticamente da dirigenti di prima fascia o equiparati delle amministrazioni statali interessate in relazione ai temi da trattare e, per ogni singola intesa, da altrettanti esperti designati dalla confessione religiosa. Il presidente di tale commissione è scelto tra le categorie indicate dalla citata legge n. 400 del 1988 (articoli 31 e 32). Fin dal 1985 la Commissione è stata istituita con decreto dei diversi Presidenti del Consiglio dei ministri che si sono succeduti, ed ha portato a conclusione tutte le intese firmate sinora. Dal 1997 la Commissione per le intese si avvale della consulenza della Commissione consultiva per la libertà religiosa, anch'essa istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, composta da esperti in materia. Il disegno di legge prevede che l'istanza diretta alla stipulazione di un'intesa possa essere presentata sia da confessioni che abbiano già ottenuto la personalità giuridica, sia da confessioni che non l'abbiano acquisita. In tale caso il Ministero dell'interno, acquisendo il relativo parere del Consiglio di Stato, verificherà che lo statuto della confessione non contrasti con l'ordinamento giuridico, come previsto dall'articolo 8, secondo comma, della Costituzione (articoli 28 e 29), restando al Presidente del Consiglio dei ministri la facoltà di avviare, alla luce delle valutazioni acquisite, le procedure negoziali, invitando la confessione a designare il proprio rappresentante (articolo 30).

Gli articoli 33 e 34 regolano le fasi successive alla conclusione della trattativa di cui all'articolo 31: deliberazione del Consiglio dei ministri e informazione preventiva al Parlamento, ancor prima che inizi il procedimento legislativo di approvazione. Anche a tale fine si prevede (articolo 34) che in caso di osservazioni, rilievi e indirizzi che emergano in sede di Consiglio dei ministri o nella fase di informazione al Parlamento, il Presidente del Consiglio dei ministri rimetta il testo al sottosegretario di Stato perché riprenda la trattativa con la confessione interessata onde apportare le eventuali opportune modifiche al testo. Gli articoli 35 e 36 dispongono in ordine alla firma dell'intesa da parte del Presidente del Consiglio dei ministri e del rappresentante della confessione e alla presentazione al Parlamento della legge che, sulla base dell'intesa, regolerà i rapporti della confessione stessa con lo Stato.

L'articolo 37, infine, rifacendosi alle esperienze normative già affermatesi in alcuni settori, prevede che leggi relative a specifiche materie che coinvolgono rapporti tra Stato e confessioni religiose aventi personalità giuridica possano contemplare la possibilità di applicazione di disposizioni in esse contenute con decreti del Presidente della Repubblica, sulla base di previa concertazione (intesa) con la confessione religiosa interessata che lo richieda. Un procedimento, giova sottolinearlo, già contemplato dalla legge istitutiva del Fondo di previdenza per i ministri di culto. Le disposizioni finali e transitorie (articoli 38-42) sono dirette, da un lato, a confermare la personalità giuridica delle confessioni e degli istituti riconosciuti in base alle disposizioni del 1929-1930 sull'esercizio dei "culti ammessi nello Stato", nonché in base ad altre disposizioni, salvaguardando altresì il regime giuridico e previdenziale riservato ai ministri di culto che hanno ottenuto la prevista "approvazione governativa"; dall'altro a specificare che le confessioni religiose che sono persone giuridiche straniere continuano ad essere regolate, come già ricordato, dall'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale, pur potendo richiedere, ove abbiano in Italia una presenza sociale organizzata, di essere riconosciute alle condizioni indicate dal presente disegno di legge.

Gli articoli 41 e 42, infine, nel disporre l'abrogazione della legge 24 giugno 1929, n. 1159, e del regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, delimitano l'applicazione della normativa contenuta nel disegno di legge, facendo in ogni caso integralmente salve le disposizioni di origine negoziale emanate in attuazione di accordi o intese stipulati ai sensi degli articoli 7, secondo comma, e 8, terzo comma, della Costituzione, nonché quelle di derivazione internazionale quale, ad esempio, la legge n. 654 del 1975, sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, come modificata dal decreto-legge n. 122 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 205 del 1993. Se la riforma della legislazione ecclesiastica avviatasi negli anni '80 ha avuto al suo centro l'attuazione del principio costituzionale del pluralismo religioso, il presente disegno di legge intende contribuire alla ricomposizione unitaria della disciplina degli interessi religiosi e di coscienza nei loro fondamentali profili: individuale, associativo e istituzionale. A tale fine le disposizioni in esso contenute muovono dai princìpi costituzionali relativi alle confessioni religiose, tengono conto delle regole bilateralmente concordate con alcune confessioni e delineano una legge che completa l'abrogazione della legislazione del 1929-1930. Non è stata redatta la relazione tecnica in quanto il disegno di legge non comporta oneri a carico del bilancio dello Stato.

ANALISI TECNICO-NORMATIVA

1. Aspetti tecnico-normativi in senso stretto: a) Necessità dell'intervento normativo. b) Analisi del quadro normativo. Nella relazione illustrativa si dà ampiamente conto delle ragioni di necessità che rendono improcrastinabile l'intervento legislativo primario in materia di attuazione dei princìpi costituzionali relativi alla libertà religiosa, ragioni che peraltro si renderanno evidenti nel corso dell'analisi del quadro normativo. Il disegno di legge si muove su due linee direttrici, l'una che ha riguardo alla dimensione individuale attraverso l'affermazione e la tutela dei diritti di libertà di religione e di coscienza (capo I); l'altra che coglie l'aspetto associativo della libertà religiosa individuando la disciplina destinata alle confessioni religiose ed alla procedura per l'intesa con lo Stato (capi II e III).

Per quanto riguarda le confessioni religiose, l'attuale legislazione sui "culti ammessi", risalente al 1929, è decisamente superata tanto nell'ispirazione culturale che nella residualità dell'efficacia, trattandosi di disposizioni fortemente intaccate dagli interventi della Corte costituzionale da un lato, e, dall'altro, già rese inefficaci, limitatamente alle confessioni religiose interessate, dalla legislazione sopravvenuta su base di intesa ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione. In particolare, a fronte delle ampie garanzie costituzionali poste dagli articoli 8, commi primo e secondo, 17, 18 e 19 della Costituzione, che nel loro insieme disegnano un sistema di pluralismo confessionale, la concreta attuazione delle stesse a tutt'oggi è da ritenere limitata alle confessioni religiose che hanno avuto accesso all'intesa con lo Stato e per le quali il Parlamento ha provveduto all'approvazione in legge.

Le leggi vigenti su base di intesa sono attualmente le seguenti: legge 11 agosto 1984, n. 449, recante "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola valdese", e legge 5 ottobre 1993, n. 409, recante "integrazione dell'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione"; legge 22 novembre 1988, n. 516, recante "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7^ giorno", come modificata dalla legge 20 dicembre 1996, n. 637, recante "modifica dell'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7^ giorno, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione"; legge 22 novembre 1988, n. 517, recante "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia"; legge 8 marzo 1989, n. 101, recante "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane", come modificata dalla legge 20 dicembre 1996, n. 638, recante "Modifica dell'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione"; legge 12 aprile 1995, n. 116, recante "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (UCEBI)"; legge 29 novembre 1995, n. 520, recante "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI)".

Le confessioni religiose prive di intesa o per le quali l'intesa non è ancora stata trasformata in legge, per contro, restano assoggettate alla disciplina dettata dalla legge 24 giugno 1929, n. 1159 (Disposizioni sui culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi), e dal relativo regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289 "Norme per l'attuazione della legge 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti ammessi nello Stato e per il coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato). E' pertanto urgente provvedere all'aggiornamento legislativo, con l'abrogazione integrale di tali disposizioni e l'introduzione nell'ordinamento di una disciplina organica mirante ad estendere a tutte le confessioni religiose un quadro normativo già collaudato in quanto in gran parte ispirato alla legislazione speciale emanata su base di intesa. Inoltre, il disegno di legge, agli articoli da 28 a 37, individua la procedura per l'avvio delle trattative e la conclusione dell'intesa tra lo Stato e le confessioni religiose, ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione (procedura peraltro sinora seguita per prassi). La scelta si motiva con la necessità di offrire alle confessioni religiose un quadro di certezza relativo tanto ai requisiti di ammissibilità quanto alle fasi procedurali, oltre che contribuire alla definizione delle competenze politico amministrative.

c) Incidenza delle norme proposte sulle leggi e i regolamenti vigenti. Come già detto, il disegno di legge mira ad abrogare la legge n. 1159 del 1929 ed il regio decreto n. 289 del 1930 l'intervento abrogativo è espressamente previsto all'articolo 42. d) Analisi della compatibilità dell'intervento con l'ordinamento comunitario. Il disegno di legge si iscrive a pieno titolo nel solco dei grandi princìpi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, oltre che di lotta alle discriminazioni per motivi (anche) di religione o di convinzioni personali, che sono il fondamento dell'Unione europea e come tali sono sanciti nel relativo Trattato istitutivo. e) Verifica della coerenza con le fonti legislative primarie che dispongono il trasferimento di funzioni alle regioni ed agli enti locali.

Qualche profilo di interesse per le competenze di regioni e degli enti locali è presente nell'articolo 22 del disegno di legge, concernente l'edilizia di culto. Al comma 1, la disposizione mira ad individuare nelle "confessioni religiose aventi personalità giuridica che abbiano una presenza organizzata nell'ambito del comune" i soggetti destinatari delle disposizioni vigenti in tema di concessioni e locazioni di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato e degli enti locali in favore di enti ecclesiastici, nonché in tema di disciplina urbanistica dei servizi religiosi, di utilizzo di fondi per le opere di urbanizzazione secondaria o comunque di interventi per la costruzione, il ripristino, il restauro e la conservazione di edifici aperti all'esercizio pubblico del culto. La norma inoltre prevede la stipula di apposite intese tra le confessioni interessate e le autorità competenti, previsione che è da considerare pienamente in linea con lo sforzo devolutivo in atto nell'attuale riorganizzazione dello Stato.

Il comma 2 dello stesso articolo 22 pone il vincolo ventennale di destinazione sugli edifici di culto costruiti con contributi regionali o comunali, pena la nullità degli atti compiuti in violazione, fornendo in tale modo una norma generale di salvaguardia che, lungi dal ritenersi lesiva delle competenze delle autorità locali, è necessaria al fine di scoraggiare possibili tentativi di utilizzazione del denaro pubblico diversa dai fini indicati dalla legge. f) Verifica dell'assenza di rilegificazioni e della piena utilizzazione delle possibilità di delegificazione. Il disegno di legge interviene in materia di procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica, dettando la disciplina del riconoscimento della confessione religiosa ovvero dell'ente esponenenziale che la rappresenta. Sulla materia come noto è stato emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, il regolamento di semplificazione ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previsto dall'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59. Il disegno di legge però incide in tale disciplina nel senso che mira a ripristinare l'acquisizione obbligatoria del parere del Consiglio di Stato, già abrogata dall'articolo 17, comma 26, della legge 15 maggio 1997, n. 127. Tale scelta è stata operata in considerazione da un lato della necessità della verifica della compatibilità dello statuto della confessione religiosa con l'ordinamento giuridico (ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione) e della massima garanzia di autorevolezza necessaria a tali fini; d'altro lato occorre tenere conto che l'ordinamento giuridico non definisce cosa sia una confessione religiosa, e il Consiglio di Stato è l'organo cui continuare a demandare la valutazione caso per caso della confessionalità di una associazione. A riprova della necessità di tale autorevole supporto, va infine considerato che finora l'operato tanto della "Commissione per le intese" che della "Commissione per la libertà religiosa", per i predetti profili di particolare delicatezza, si è sempre basato sui pareri del Consiglio di Stato. Per il resto, non sono presenti profili di applicabilità delle possibilità di delegificazione.

2. Elementi di drafting e linguaggio normativo.

a) Individuazione delle nuove definizioni normative introdotte dal testo, della loro necessità, della coerenza con quelle già in uso. Non sono introdotte nuove definizioni normative. b) Verifica della correttezza dei riferimenti normativi contenuti nel progetto, con particolare riguardo alle successive modificazioni ed integrazioni subite dai medesimi. Si è verificata la correttezza dei riferimenti normativi presenti nel testo. c) Ricorso alla tecnica della novella legislativa per introdurre modificazioni ed integrazioni a disposizioni vigenti. Nel testo è presente una sola novella, all'articolo 11, comma 5, del disegno di legge. Essa è volta ad eliminare dall'articolo 83 del codice civile la dizione "culti ammessi", superata dalla nostra Costituzione e contenuta nella legge n. 1159 del 1929 che si intende abrogare con il presente disegno di legge. d) Individuazione di effetti abrogativi impliciti di disposizioni dell'atto normativo e loro traduzione in norme abrogative espresse nel testo normativo. Le abrogazioni effettuate sono espresse.

3. Ulteriori elementi.

a) Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi di costituzionalità sul medesimo o analogo oggetto. Il disegno di legge, tanto nel suo complesso quanto nei suoi aspetti particolari, risponde agli indirizzi provenienti dalla giurisprudenza, anche costituzionale, in tema non solo di libertà individuali di religione e di coscienza, ma anche di riconoscimento dei diritti delle confessioni religiose, con particolare riferimento alle confessioni prive di intesa. Per quanto riguarda la giurisprudenza costituzionale relativa ai princìpi di laicità dello Stato e di pluralismo religioso, oltre che di libertà religiosa e di coscienza nonché di parità delle confessioni religiose, si veda la sentenza n. 59 del 1958 e, da ultimo, le sentenze nn. 203 del 1989, 195 del 1993, 329 del 1997 e 508 del 2000. b) verifica dell'esistenza di progetti di legge vertenti su materia analoga all'esame del Parlamento e relativo stato dell'iter. In Parlamento, e precisamente alla Camera dei deputati, sono state presentate due proposte di legge: 1) onorevole Spini, atto Camera n. 1576 (Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi), assegnato in sede referente alla I Commissione Affari costituzionali; non è ancora iniziato l'esame; 2) onorevole Molinari, atto Camera n. 1902 (Norme sulla libertà religiosa), in stato di assegnazione.

ANALISI DELL'IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE (AIR)

a) Ambito dell'intervento; destinatari diretti e indiretti. Il disegno di legge mira a dare completa attuazione a diritti e princìpi costituzionali in materia di libertà religiosa e di coscienza; esso è pertanto indirizzato alla generalità dei cittadini. Altri soggetti direttamente destinatari sono le confessioni e associazioni religiose e le pubbliche amministrazioni immediatamente interessate ai profili attuativi, come si dirà in seguito.

b) Obiettivi e risultati attesi.

Obiettivi del disegno di legge sono la definizione e la concreta attuazione di disposizioni costituzionali e l'estensione, per quanto possibile, a tutte le confessioni religiose di un quadro normativo già vigente per quelle che hanno stipulato con lo Stato un'intesa approvata con legge ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione. I risultati attesi si collocano sul piano del raggiungimento di un maggiore grado di democrazia nel Paese, attraverso l'affermazione e la tutela delle libertà afferenti la sfera religiosa e di coscienza, in un quadro di certezza delle situazioni giuridiche soggettive, tanto individuali quanto associative.

c) Illustrazione della metodologia di analisi adottata.

L'analisi dell'impatto è il risultato di un lavoro che risale nel tempo, svolto su più versanti tanto dalle strutture politico-amministrative preposte al supporto per il procedimento di conclusione dell'intesa, quanto dalle Commissioni consultive, composte da eminenti giuristi, ed appositamente costituite al fine di predisporre gli strumenti atti al raggiungimento della concreta attuazione dei diritti e delle facoltà legati all'esercizio delle libertà religiosa e di coscienza. Si è trattato di lavori ed attività estrinsecatisi in studi, analisi ed approfondimenti sia sul piano dottrinale che operativo. Soprattutto a fini di verifica delle possibilità di concreta attuazione e di effettiva operatività di disposizioni da introdurre nell'ordinamento giuridico, sono state condotte importanti audizioni dei rappresentanti delle confessioni religiose. Inoltre, un apporto determinante per quanto riguarda la valutazione d'impatto sulle pubbliche amministrazioni, è derivato dai rappresentanti delle amministrazioni interessate, coinvolti nelle trattative per le intese con le confessioni religiose in qualità di membri della "Commissione per le intese". Pertanto il patrimonio di studi e di esperienza acquisito nel tempo, accompagnato dalla graduale armonizzazione con i mutamenti del quadro normativo, permette di disporre, oggi, di un testo sul quale la valutazione dell'impatto della regolamentazione non presenta punti di oscurità.

d) Impatto diretto e indiretto sull'organizzazione e sull'attività delle pubbliche amministrazioni; condizioni di operatività.

Occorre premettere che gran parte delle disposizioni coinvolgenti le pubbliche amministrazioni sono già vigenti perché contenute nelle leggi emanate su base d'intesa; pertanto non si dovrebbero verificare problematiche in ordine alla loro operatività. Tali previsioni riguardano i profili attuativi dei diritti individuali affermati negli articoli introduttivi del disegno di legge o dettano norme riguardanti le situazioni giuridiche delle associazioni e confessioni religiose. Di seguito una rassegna delle disposizioni che coinvolgono direttamente o indirettamente pubbliche amministrazioni. (....)

e) Impatto sui destinatari diretti.

Per quanto riguarda le confessioni religiose non vi sono da segnalare particolari innovazioni, se non di ordine procedurale (quale la reintroduzione del parere obbligatorio del Consiglio di Stato), con riferimento alla disciplina per il riconoscimento della personalità giuridica e suoi corollari (iscrizione nel registro, obbligo di comunicazione delle modifiche statutarie, disciplina degli acquisti). Peraltro, com'è ovvio, l'acquisto della personalità giuridica rimane del tutto affidato alla libera valutazione della confessione religiosa ed anzi, innovando rispetto ad una prassi finora costantemente seguita, il disegno di legge prevede che possa accedere all'intesa con lo Stato italiano anche la confessione religiosa priva di personalità giuridica (articolo 29). Per quanto riguarda i ministri di culto delle confessioni religiose con personalità giuridica o la cui nomina sia stata approvata dal Ministro dell'interno, attesa la possibilità per gli stessi di compiere atti rilevanti per l'ordinamento giuridico italiano (per tutti, ad esempio, la celebrazione di matrimoni), l'articolo 10 definisce le modalità di dimostrazione del possesso della qualifica di ministro di culto. Inoltre, per gli stessi ministri di culto è prevista l'iscrizione al Fondo di previdenza del clero (articolo 27).

f) Impatto sui destinatari indiretti.

Una disposizione nella quale si configurano destinatari indiretti (amministrazioni pubbliche ed imprese) è quella dell'articolo 9, comma 2, la quale prevede l'inserimento nei contratti collettivi e individuali di lavoro, cui si rinvia, l'esercizio della libertà religiosa nelle sue varie espressioni.

 

 

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