NOTIZIARIO del 24 luglio 2003

 
     

IL PARERE DEL CSM SUL CASO DEI PM DI MILANO E DEL FASCICOLO SECRETATO 24/07/03

«1. L'11 aprile 2003 l'Ispettorato generale presso il Ministero della giustizia, a seguito di un esposto dell'on. Cesare PREVITI in data 31 marzo, chiedeva al Procuratore della Repubblica di Milano copia del fascicolo iscritto al n. 9520/95 del ruolo generale mod. 21 (imputati noti) ovvero "copia degli atti significativi che ne consentano la ricostruzione-cronistoria, nonché l'attuale stato", atti che il predetto on. PREVITI assumeva essere utili alla propria difesa nell'ambito del procedimento penale noto come 'processo IMI-SIR, Lodo Mondadori'. Con note del 15 e del 19 aprile la Procura di Milano opponeva l'esistenza del segreto investigativo sulla base del rilievo che il procedimento n° 9520/95 era pendente in fase delle indagini preliminari a carico di ignoti.

L'Ispettorato, con nota del 24 aprile, insisteva nella richiesta, ritenendo la risposta della Procura immotivata e quindi "del tutto inidonea a giustificare il diniego espresso". A sostegno di tali affermazioni venivano svolte considerazioni relative all'applicabilità dei termini massimi di durata delle indagini e alla irritualità della persistente iscrizione del procedimento de quo nel registro modello 21, nonostante che fossero ignoti gli indagati. Replicava la Procura di Milano (nota del 6 maggio 2003) confermando l' opposizione del segreto investigativo sulla base dell'affermazione che il procedimento n° 9520/95/21 era ancora pendente "a carico di ignoti per i reati di cui agli articoli 326, 490, 476 e 482 c.p. e per l'identificazione di eventuali ulteriori concorrenti nei reati di corruzione originariamente contestati".

Veniva trascritta l'intera cronologia dei 'movimenti' del fascicolo (stralci, richiesta di proroga del 30 gennaio 1997 e conforme provvedimento del g.i.p., richieste di archiviazioni e di rinvio a giudizio) e si ribadiva la tesi, condivisa anche dall'ordinanza della Quarta sezione del Tribunale di Milano del 17 maggio 2002, secondo la quale, in conformità con l'orientamento espresso dalla Corte di cassazione, non sarebbe ammissibile porre termini di durata delle indagini contro ignoti, dovendo addirittura qualificarsi come abnorme il provvedimento del g.i.p. che, concedendo la proroga, apponesse tale termine. Venivano, infine, richiamati gli atti consiliari aventi ad oggetto la problematica dell'opponibilità del segreto investigativo agli ispettori ministeriali.

Quanto ai motivi per i quali il fascicolo 9520/95/21, pur essendo a carico di ignoti era tuttora registrato a mod. 21, veniva allegata relazione del funzionario addetto all'ufficio RE.GE. secondo la quale "la procedura RE.GE non prevede la possibilità di trasferire notizie di reato iscritte a carico di IGNOTI dal mod.2l (registro noti) al mod. 44 registro IGNOTI, se non effettuando una nuova iscrizione a carico di ignoti con le relative variazioni di stato dei fascicoli interessati (come da dubbi espressi nella richiesta)".

Con istanza del 10 maggio 2003, diretta alla Procura di Milano e per conoscenza al Ministro, l'on PREVITI, ricollegandosi ad analoga richiesta più volte avanzata nel corso della celebrazione del dibattimento, ha chiesto di poter acquisire i seguenti atti:

1) documentazione completa della "collaborazione ARIOSTO nel periodo febbraio-luglio 1995";

2) deposizione dell'avv. Guido FASSONE del marzo 1996;

3) deposizioni rese da magistrati romani al dott. IELO, sostituto procuratore della Repubblica di Milano e documentazione da questi acquisita;

4) documentazione relativa alla pendenza del procedimento IMI/SIR presso la Procura di Perugia, verbali degli interrogatori resi al dott. RAZZI, sostituto procuratore di Perugia e documentazione trasmessa alla Procura di Milano dal dott. Pietro GIORDANO, sostituto procuratore della Repubblica a Roma.

Facendo riferimento al carteggio intercorso tra l'Ispettorato e la Procura di Milano e in relazione all'istanza da ultimo presentata dall'on. PREVITI, il Ministro, con nota del 28 maggio 2003, ha chiesto all'Ispettorato di "procedere, a mezzo di inchiesta, all'acquisizione della documentazione" indicata in detta istanza, affermando che, poiché la vicenda giudiziaria era conclusa con sentenza dibattimentale, non sarebbe opponibile il segreto investigativo. All'Ispettorato è stato richiesto anche di verificare se, in relazione ai fatti esposti, "siano rimasti violati, o meno, doveri inerenti alla funzione e, conseguentemente, realizzati comportamenti apprezzabili sul piano disciplinare ovvero su quello dell'incompatibilità ambientale e/o funzionale".

Premesse le vicende sopra menzionate, e con riferimento allinchiesta disposta dal Ministro, con nota del 9 giugno 1993 il dott. Ferdinando VITIELLO, facente funzioni di Procuratore della Repubblica di Milano e tutti i procuratori aggiunti, hanno sottoposto al Consiglio alcune considerazioni onde consentire leventuale adozione di iniziative che valgano a garantire lefficacia, lindipendenza e lautorevolezza dellazione di questa Procura.

In particolare i richiedenti hanno osservato che:

- i documenti richiesti dallon. PREVITI e quindi dallIspettorato hanno più volte formato oggetto di discussione in pubblico dibattimento di fronte alle sezioni I e IV del Tribunale di Milano, con conseguenti pronunce giurisdizionali;

- alla giurisprudenza di legittimità sulla questione dei termini delle indagini contro ignoti indicata nella nota del 6 maggio, si oppone, in senso contrario, unisolata sentenza della Corte di cassazione;

- sulla base della delibera C.S.M. del 17 maggio 1995 lopposizione del segreto investigativo può essere motivata con lesigenza di non pregiudicare il positivo sviluppo delle indagini e che la decisione relativa all opposizione è riservata al dirigente dellufficio e al magistrato oggetto dellispezione o della inchiesta;

- relativamente al fatto che il procedimento n. 9520/95 sia stato formalmente mantenuto a modello 21, anche dopo lo stralcio della posizione dellultimo imputato noto (avvenuto il 25 ottobre 2002), la prassi applicata nel caso di specie non contrasta con i regolamenti in vigore in materia di registri e risulta essere applicata in casi simili anche da altri uffici del pubblico ministero e che, inoltre, unipotetica nuova registrazione a mod. 44 (registro ignoti) effettuata al momento della separazione della posizione dellultimo indagato noto avrebbe potuto ingenerare equivoci circa la possibile esistenza di notizie di reato nuove ed ulteriori rispetto a quelle di cui alloriginario procedimento.

Nel corso dei lavori della Sesta Commissione è stata acquisita copia della relazione al capo dellIspettorato degli ispettori incaricati, relativa all inchiesta di cui si tratta, con la quale, sulla base del rilievo che l autorizzazione del g.i.p. alla prosecuzione delle indagini, emessa ex art. 415 c.p.p., riguarda unicamente i reati di cui ai richiamati fascicoli n. 3897/96/44 e n. 3899/96/44 e non altri. e che tali reati, come si ricava dalla sopra citata nota del 6 maggio 2003 e dalle risultanze dellesame dei registri, sono quelli di cui agli artt. 326, 490, 476 e 482 c.p.

Ed anzi dalla documentazione prodotta dallavv. SAMMARCO emerge chiaramente che l autorizzazione fu richiesta e concessa limitatamente al solo reato di cui allart. 326 c.c. si afferma che non risulta essere stata né richiesta né concessa alcuna autorizzazione a proseguire le indagini ex art. 415 c.p.p. per la identificazione di eventuali ulteriori concorrenti nei reati di corruzione ulteriormente (rectius: originariamente) contestati e che le indagini in corso, di cui il g.i.p. ha autorizzato la prosecuzione ex art. 415 c.p.p. nel settembre 1997, riguardando le ipotesi di reato di cui agli artt. 326, 490, 476 e 482 c.p., sono relative a reati da ritenersi ormai prescritti, stante il dato documentale dellepoca di iscrizione degli stessi.

Diversa valutazione, in ordine alloggetto del provvedimento del g.i.p. di autorizzazione alla prosecuzione delle indagini, è desumibile dalla nota dei sostituti procuratori BOCCASSINI e COLOMBO, in data 6 maggio 2003. In tale nota è riportata testualmente la parte dellordinanza 17 maggio 2002 con la quale il Tribunale di Milano riassume le vicende processuali di cui si tratta e individua loggetto della proroga osservando che il procedimento penale 9520/95/21 viene inizialmente iscritto sia a carico di persone individuate sia a carico di ignoti. Con il provvedimento 4 novembre 1996 la Procura della Repubblica ebbe inoltre a riunire al procedimento di cui sopra, i due procedimenti n. 3897/96/44 e 3899/96/94, entrambi a carico di ignoti.

In data 30 gennaio 1997 lUfficio del p.m., scadendo in data 10 febbraio 1997 il termine ex art. 407 c.p.p., richiedeva al g.i.p. l autorizzazione a proseguire le indagini nei confronti di persone ignote nell ambito nei procedimenti 3899/96/44 e 3897/96/44 così come riuniti al 9520/95/21. Detta autorizzazione veniva concessa con ordinanza del g.i.p. presso il Tribunale di Milano (cfr. documentazione prodotta dal p.m. all udienza del 29.4.2002). &Rimaneva pendente loriginario fascicolo 9520/95/21 ad esso riuniti i procedimenti 3897/96/44 e 3899/96/44 a carico di ignoti per i quali, come sopra detto, il g.i.p. aveva a suo tempo emesso ordinanza di autorizzazione alla prosecuzione delle indagini.

Sempre in ordine alla questione relativa alloggetto del provvedimento del g.i.p di proroga delle indagini è utile, infine, riportare il testo dell ordinanza ex art. 405 in data 1° settembre 1997. Il g.i.p. rilevato che il procedimento n. 3899/96 è stato iscritto al mod. 44 (ignoti) in data 27.6.1996; che in data 24 novembre 1996 ad esso è stato riunito il proc. n. 3897/97 mod. 44 e che in pari data 4 novembre 1996 i due procedimenti iscritti al mod. 44 sono stati riuniti al proc. n. 9520/95 mod. 21 & visti gli atti del procedimento e ritenuto che dalla attività di indagine sin qui svolta emerge la complessità degli accertamenti, sia con riferimento alla raccolta del materiale probatorio, sia con riferimento alla attività di valutazione di tale materiale nella prospettiva di nuove attività di indagine, tenuto conto della complessa vicenda sottostante; "autorizza il Pubblico Ministero a proseguire le indagini preliminari nel procedimento indicato in premessa a carico di ignoti."

In conclusione sul punto, i magistrati della Procura della Repubblica di Milano hanno fornito un'analitica cronistoria dei 'movimenti' del fascicolo processuale di sui si tratta e hanno indicato le ragioni della persistente iscrizione del fascicolo stesso nel registro mod. 21 e del mancato stralcio al momento della definizione dell'ultima iscrizione relativa ad imputati noti, ottemperando in tal modo all'obbligo di leale collaborazione. La questione se nella specie le indagini in corso si svolgano nel rispetto dei limiti temporali previsti dalla legge attiene allinterpretazione di norme processuali e, quindi, appartiene alla giurisdizione.

2. Il tema del rapporto tra segreto dindagine e poteri dellIspettorato è stato più volte affrontato dal Consiglio che, anche in questa occasione, non può che ribadire quanto in precedenza affermato. Con la circolare 15 gennaio 1994, n. 510 è stato affermato che, nel bilanciamento degli interessi in gioco, tra efficienza dellattività investigativa, a tutela della quale è posta la disciplina del segreto (finalizzato a proteggere lindagine penale da pericoli di interferenze e di inquinamenti provenienti dallesterno), da una parte, e tutela della credibilità della giurisdizione, dallaltra, è consentito il superamento del segreto investigativo quando una richiesta provenga dal Consiglio superiore della magistratura, organo posto dalla Costituzione a tutela dell indipendenza dei magistrati e della credibilità dellesercizio della giurisdizione. Peraltro, con la circolare del 5 ottobre 1995, n. 13682, il dovere di dare immediata comunicazione al Consiglio dei procedimenti penali a carico di magistrati è stato specificato nel dovere di comunicare, salvo che sussistano (e fino a quando sussistono) specifiche esigenze di segretezza, notizia dei fatti in ordine ai quali è iniziata lindagine, notizia dei fatti suscettibili di valutazione disciplinare o di valutazione di eventuale incompatibilità di sede o di ufficio, copia dei provvedimenti rilevanti, notizie sullo stato del procedimento (circolare 15 gennaio 1994 n. 510).

Le ragioni sulle quali si basa il regime di maggiore ampiezza della derogabilità del segreto investigativo in favore del C.S.M. non possono valere per l'Ispettorato generale presso il Ministero, che é organo della pubblica amministrazione, esterno all'ordine giudiziario. Tuttavia non può "disconoscersi che, sebbene si tratti pur sempre di un intervento da parte di un'autorità amministrativa esterna, l'attività strumentale dell' Ispettorato appare destinata a provocare l'esercizio (da parte del Ministro) di poteri e facoltà a carattere propulsivo, o comunque di collaborazione, nei confronti delle funzioni disciplinari e di autogoverno del Consiglio" (delibera 9 marzo 1994).

Ne deriva la legittimità delle inchieste ministeriali, anche se sono in corso indagini, e il dovere di piena collaborazione dei magistrati nei confronti degli ispettori incaricati di tali inchieste. E' stato anche affermato che "non spetta al Consiglio dettare regole in ordine all' esercizio dei poteri attribuiti al Ministro di Grazia e Giustizia e, in particolare, in ordine all'esercizio dei poteri di sorveglianza&anche se lo spazio per un intervento consiliare potrebbe aprirsi soltanto qualora atti concreti emanati in attuazione di quei poteri (di sorveglianza) andassero a incidere sull'indipendenza garantita dalla Costituzione alla funzione giudiziaria" (delibera 9 marzo 1994 cit.).

E ancora è stato osservato che "l'esito delle inchieste dell'ispezione richiede esame e valutazione da parte del Consiglio con riferimento alla ritualità degli atti compiuti e al merito di quanto emerso". Ciò anche in relazione alla circostanza che le inchieste aventi ad oggetto fatti e condotte suscettibili di integrare illeciti disciplinari, se svolte senza il rispetto delle garanzie proprie del processo disciplinare, comportano la inutilizzabilità degli atti nell'eventuale successivo procedimento (delibera 17 maggio 1995).

3. Il pieno riconoscimento dei poteri ministeriali (di ispezione e) di inchiesta non esclude l'esistenza di limiti al loro concreto esercizio, a salvaguardia dell'indipendenza del magistrato e del principio correlato della insindacabilità dell'attività giudiziaria. Con riferimento alle inchieste relative a procedimenti riguardanti magistrati indagati, e a una richiesta dell'Ispettorato di copia delle dichiarazioni rese al pubblico ministero da collaboranti di giustizia, sentiti come persone informate sui fatti, il Consiglio (delibera 9 marzo 1994) ha affermato che il superamento dei divieti formali posti a tutela del segreto investigativo e quindi la conoscibilità di atti ancora segretati ex art. 329 c.p.p. "non dovrà comunque pregiudicare il positivo sviluppo delle indagini penali e la sicurezza delle persone, e pertanto il magistrato del PM che procede potrà certamente allo stato degli atti rifiutare, o ritardare, le informazioni e i dati richiesti ogni qualvolta sussistano concreti pericoli legati allo specifico momento processuale".

Le forme e le modalità di accesso a tali atti da parte dell'Ispettorato, comunque, "dovranno essere concordate ed in ultima istanza ovviamente decise dal magistrato titolare delle indagini". Non è pensabile "che in ordine a tali valutazioni possa esercitarsi un qualche sindacato di merito esterno da parte dell'organo ministeriale".

Su un piano più generale, con la delibera 17 maggio 1995, si è individuato come limite dell'attività di inchiesta avente ad oggetto indagini penali in corso, l'esigenza assoluta di non mettere a rischio l'indipendente esercizio della funzione giudiziaria. Non sono sindacabili il merito degli atti giudiziari, né le strategie di indagine adottate dal pubblico ministero. Il superamento di tali limiti, ove si verificasse, imporrebbe al Consiglio di non tenere conto nell'ambito della valutazione di sua competenza, degli atti che tale indipendenza ledessero e, prima ancora, di rilevare l'avvenuta lesione del relativo principio costituzionale "La decisione di mettere a disposizione dell'Ispettorato stesso gli atti dell' indagine, o la notizia del contenuto di essi, spetta esclusivamente al magistrato competente".

Tali principi sono stati poi ribaditi con la delibera 26 ottobre 1995, con la quale l'intervento del C.S.M. è giustificato nella prospettiva di "contribuire all'equilibrato assetto dei rapporti" a tutela di quei valori di autonomia e di indipendenza della magistratura da ogni altro potere, sanciti al più elevato livello normativo (art. 104 della Costituzione) e funzionali al corretto e democratico esercizio della giurisdizione: valori che trovano nel C.S.M. l'organo cui per primo compete la vigilanza e la difesa, stante il suo dovere di assicurare che gli appartenenti all'ordine giudiziario non siano colpiti da atti che, sia pure mediatamente, portino attentato alla loro indipendenza.

Quando l'inchiesta si riferisce ad attività processuali, ha anche affermato il Consiglio con la delibera di cui si tratta, il sindacato degli ispettori deve limitarsi al "mero controllo estrinseco di legittimità", sotto l'aspetto di (indiscutibili e inescusabili) violazioni di legge, di provvedimenti abnormi o di esercizio della funzione per finalità diverse da quelle di giustizia.

Quando l'inchiesta, per come è formulata la richiesta del Ministro o per gli atti di accertamento in concreto compiuti dagli ispettori, può incidere su profili riservati all'autonoma discrezionalità del magistrato o comunque esclusivamente sindacabili in sede processuale, "il magistrato inquisito ed il dirigente del suo ufficio - a salvaguardia del superiore valore dell'indipendenza e dell'autonomia della funzione giudiziaria - non sono tenuti ad assoggettarsi al potere inquisitorio così esercitato."

Conclude la delibera affermando che "Resta fermo, in caso di ingiustificato rifiuto di collaborare con i magistrati ispettori, la sottoponibilità del concreto atteggiamento del magistrato ad eventuale successiva verifica nelle sedi competenti." Tale orientamento è stato di recente ribadito con la delibera 8 maggio 2003 con la quale si è affermata l'inammissibilità di controlli ispettivi quando vi sia il pericolo di incidere sulle scelte del magistrato nell'ambito dell' attività giurisdizionale e di interferenza sull'indipendenza garantita dalla Costituzione alla funzione giudiziaria. In applicazione di tali affermazioni generali la già richiamata delibera del 17 maggio 1995 ha dato alcune concrete indicazioni di condotta, richiedendo che:

- il dirigente dell'ufficio o il magistrato oggetto della ispezione o della inchiesta richiedano ai magistrati e ai funzionari dell'Ispettorato Generale del Ministero di Grazia e Giustizia di essere informati del contenuto dell'incarico ispettivo o di inchiesta;

- che il dirigente dell'ufficio o il magistrato oggetto della ispezione o dell'inchiesta richiedano che sia integrato l'incarico ispettivo o di inchiesta nel caso che gli accertamenti ispettivi vadano oltre l'ambito dell'incarico originario;

- che il dirigente dell'ufficio o il magistrato oggetto dell'ispezione o dell'inchiesta informino il Consiglio superiore della magistratura nel caso in cui gli accertamenti ispettivi o di inchiesta interferiscano con l'ambito insindacabile della attività giudiziaria;

- che il dirigente dell'ufficio e il magistrato oggetto della ispezione o della inchiesta riservino sempre a sè la decisione circa le deroghe da ammettere al segreto investigativo in vista del perseguimento degli scopi propri della ispezioni e delle inchieste.

Nel caso di specie, l'opposizione del segreto investigativo è stata giustificata con la pendenza di un procedimento "a carico di ignoti per i reati di cui agli artt. 326, 490, 476, 482 c.p. e per l'identificazione di eventuali ulteriori concorrenti nei reati di corruzione originariamente contestati" e quindi con la necessità di evitare un pregiudizio per il positivo sviluppo delle indagini. Tale motivazione rientra tra quelle che alla stregua degli atti consiliari legittimano l'opposizione del segreto di indagine.

4. Deve anche essere tenuto presente il limite generale dell'attività consultiva e, in genere, dei poteri di intervento del Consiglio superiore, quali si desumono dalla risoluzione del 16 settembre 1986, secondo la quale "restano escluse dalla sfera consultiva del Consiglio tutte le norme che attengono all'interpretazione della legge sostanziale, ovvero disciplinano la forma, il contenuto e i modi di esercizio dell'azione, l'iniziativa e l'intervento del PM, gli atti e i provvedimenti del giudice e l'attività processuale in genere".

Tale delibera, come è evidente, costituisce piena attuazione del principio costituzionale della soggezione del magistrato soltanto alla legge e quindi dell'insindacabilità delle scelte interpretative delle norme sostanziali o processuali. Esula quindi dai poteri del Consiglio sindacare nel merito le motivazioni indicate, rientrando nell'esclusiva responsabilità dei magistrati della Procura di Milano la decisione sulla derogabilità o meno del segreto investigativo nella vicenda concreta; decisione la cui fondatezza è sottoposta alle ordinarie verifiche nelle sedi competenti.

5. Alla stregua delle affermazioni contenute negli atti consiliari richiamati si può affermare che: a) le questioni attinenti alla interpretazione delle norme processuali appartengono alla giurisdizione. b) L'opposizione del segreto, in pendenza delle indagini preliminari, può essere motivata soltanto dalla necessità di evitare un pregiudizio per il positivo sviluppo delle indagini; c) I Pubblici Ministeri possono, nella loro autonomia e indipendenza, opporre il segreto investigativo spiegando le ragioni della propria scelta processuale; d) Esula dai poteri del Consiglio sindacare questa scelta e le ragioni che l'hanno indotta, che potranno essere ovviamente sottoposte a a controllo nelle sedi competenti e nei tempi processuali dovuti.

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