NOTIZIARIO del 21 giugno 2003
 

 
   

Denunce, censure e risarcimenti
di RDL

16 Giugno 2003, Napoli.

Arcangelo Ferri (caporedattore di RAINEWS24)

Il dott. Ferri prende spunto dalla relazione dell'On. Imposimato, nella quale riscontra una certa nota di sconforto, da parte del relatore, per il quadro generale dato sull'informazione, per chiedersi quali possano essere le ragioni per le quali, nelle maggiori testate giornalistiche, e nei media in genere, non si parla più di mafie. E allora non solo propone l'interrogativo se l'esistenza di alcuni editori puri, non collocabili nella categoria dei pseudo-imprenditori citata dall'On. Imposimato, possa riattivare il dibattito su questo tema, ma lancia anche una provocazione: "Potrebbe oggi esistere un Grande Fratello, non quello di Canale 5, ma uno più genuino, di Orwelliana fattura?"

E proprio in riferimento a questo interrogativo, il dott. Ferri racconta l'episodio della videocassetta messa in onda proprio da Rainews24 sull'intervista al giudice Borsellino effettuata da due giornalisti francesi il 19 Maggio 1992, quattro giorni prima della strage di Capaci. Egli fa notare come nell'intervista il giudice Borsellino non parli di Vittorio Mangano come di uno stalliere alle dipendenze di Berlusconi, ma come un noto pregiudicato mafioso e come testa di ponte della mafia siciliana a Milano. I riferimenti a Mangano e a Silvio Berlusconi sono abbastanza espliciti quando, alla fine dell'intervista, viene posta la domanda se vi fosse un'inchiesta ancora aperta a carico di questi due personaggi a Palermo. Il giudice risponde laconicamente di sì.

Ma, stranamente, proprio questa domanda, insieme alla relativa risposta, non appare nella trascrizione parziale data dall'Espresso l'8 Aprile 1994. Il 21 Settembre del 2000, però, Rainews24 manda in onda il montato originale (di durata 10' 40") dopo aver ritrovato e sottoposto ad un accurato esame la videocassetta dei due giornalisti francesi. Berlusconi e Dell'Utri, invitati a partecipare al dibattito televisivo contestuale, rifiutano l'invito e mandano un loro legale a rappresentarli.

Successivamente Dell'Utri sporgerà denuncia contro ignoti a Palermo, per manipolazione, falsificazione, attentato ai diritti politici del cittadino con fini eversivi. All'indomani della messa in onda dell'intervista a Paolo Borsellino, nella quale viene riportata la significativa domanda finale al giudice, solo La Stampa di Torino riporta la notizia. Nemmeno le agenzie di stampa riportano l'evento della sera precedente.

Successivamente Michele Santoro richiede l'autorizzazione a mandare in onda una parte dell'intervista nella sua trasmissione "Il Raggio Verde". Lo stesso Santoro, di recente, ha dichiarato che una delle cause per le quali è stato allontanato dalla RAI è quella di aver messo in onda la videocassetta con l'ultima intervista a Borsellino. "

Rita Pennarola (condirettore de LA VOCE della Campania)

La dott.ssa Pennarola si compiace del coraggio di alcuni giornalisti del servizio pubblico televisivo e spera che questi esempi di indipendenza e di dedizione alla professione, forniti dal dott. Ferri, possano essere imitati da molti.

Anche la dott.ssa Pennarola fa notare, poi, quanto sia difficile far passare una notizia, attraverso i canali dell'informazione convenzionale (gli interessi stampa, TV e radio locali e nazionali) quando la stessa notizia riguarda da vicino le attività e gli interessi mafiosi, portando all'attenzione dell'uditorio un esempio concreto. Il telefono anticamorra, istituito da La Voce della Campania presso la Questura di Napoli, quest'anno compie il suo quinto anno di vita. Con una semplice telefonata anonima al numero 551-9999, che corrisponde, appunto, al numero del telefono anticamorra, tutti i cittadini che subiscono malversazioni da parte della camorra possono rivolgersi direttamente alla Questura ed esporre fatti relativi alla loro esperienza. Grazie a telefonate a questo numero telefonico già diverse azioni sono state messe a segno dalla Polizia in tema di lotta al racket.

E allora ci si chiede, perché, quando si mandano i comunicati stampa alle agenzie, alle redazioni di giornali, delle radio e delle televisioni, circa il quinto anniversario del telefono anticamorra, questo evento passa sotto silenzio da parte della maggior parte di queste redazioni? Ed ecco come, secondo la dott.ssa Pennarola, anche un'informazione omissiva, pur se inconsapevolmente, potrebbe fiancheggiare la mafia. Allo stesso modo, allora, non esiste solo la mafia della lupara, ma anche quella della connivenza, a tutti i livelli.

Da un'analisi più generale, però, secondo la dott.ssa Pennarola, il sistema della corruzione, da cui si genera e prende forza la mafia, è endemico in una società il cui modello di sviluppo è fondato sulla logica dell'accumulo dei capitali, quindi è del tutto fisiologico in una società di tipo occidentale. Ed ecco che l'informazione è chiamata a svolgere un ruolo sociale determinante nella lotta contro la criminalità organizzata, che, altrimenti, rischierebbe di corrompere l'intero tessuto sociale. E questo ruolo è tanto più determinante quanto più scorriamo lo stivale da Nord a Sud.

E' vero, però, che i poteri forti, molto radicati e diffusi oggi in Italia, possono indurre alcuni giornalisti, se non la maggior parte di essi, ad una sorta di auto-censura su argomenti che concernono la corruzione in genere. La Redazione de La Voce della Campania è incappata, di recente, in uno di questi episodi durante l'inchiesta relativa al caso del Cardinale Giordano. Pertanto è necessario che sia studiata un'ipotesi di modifica legislativa tesa a tutelare la democrazia dell'informazione nel Paese. La dott.ssa Pennarola fa presente che la proposta di legge (che l'Osservatorio Onlus sostiene) che sara' poi illustrata dall'avv. Truncellito, ha incontrato il favore di Assostampa Napoli e potrebbe essere posta al vaglio del legislatore, per poter approntare un progetto di legge, che, se approvato, porrà sicuramente un argine alla tracotanza di quei poteri che stanno attualmente minacciando la libertà di informazione nel nostro Paese.

Rocco Truncellito (avvocato civilista) presente al dibattito, spiega che: "Molti fra i grandi inquisiti in sede penale, sia in procedimenti passati che in giudizi tuttora pendenti evitano accuratamente l'uso della querela se si sentono diffamati da un articolo e prescelgono la sede civile anche, evidentemente, per non doversi confrontare con un pubblico ministero, che potrebbe perfino aprire nuove indagini a loro carico proprio basandosi sui fatti descritti nell'articolo messo sotto accusa.
Per limitare questo fenomeno si potrebbe estendere alle cause civili per diffamazione la presenza obbligatoria di un pubblico ministero, come già attualmente avviene in numerosi processi, soprattutto quelli relativi al diritto di famiglia. Si dovrebbe, inoltre, introdurre una fase preliminare di ammissibilità dell'azione, che sarebbe a tutela sia del presunto diffamante che del presunto diffamato. Al primo, in caso di non ammissibilità, ciò eviterebbe di sobbarcarsi il peso economico del giudizio di merito; al secondo eviterebbe anche una pesante condanna alle spese e al risarcimento del danno, per aver intentato una lite temeraria".

Enzo Colimoro (consigliere nazionale Fnsi e segretario Assostampa a Napoli) presente al convegno, interviene sottolineando che: "Il reato di diffamazione a mezzo stampa nasce come fattispecie penale. Il fatto che possa essere trattato anche in sede civile non esclude, ma anzi avvalora, l'ipotesi dell'introduzione obbligatoria di un pm, che possa svolgere il suo ruolo nell'interesse della collettività".

Bollettino Osservatorio

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