NOTIZIARIO del 27 luglio 2003

 
     

Il patteggiamento allargato
di Carlo Dore jr.*

Con l'approvazione della legge n. 134 del 12 giugno 2003, si è proceduto nella riforma degli articoli 444 e 445 cod. proc. pen. relativi all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti.

Nel procedere all'esame dei principi fondamentali di tale nuova legge, occorre preliminarmente sottolineare che, se da un lato la riforma non ha mutato la "natura" del patteggiamento, tuttora qualificabile come un istituto basato su un accordo tra P.M. ed imputato e finalizzato a procurare una rapida conclusione del processo, d'altro lato la medesima ha introdotto una serie di innovazioni le quali, in apparente contrasto con la appena citata funzione deflativa che al procedimento in questione si riconnette nell'attuale ordinamento processuale, hanno determinato la proposizione dei primi rilievi di incostituzionalità in confronto della legge in esame.

L'art. 1 della presente legge, in linea con l'orientamento rigidamente garantista assunto dal legislatore attuale, ha "allargato" il campo di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo che l'imputato o il P.M. possano chiedere al giudice l'applicazione di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria , diminuita fino a un terzo, o di una pena detentiva la quale, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non deve eccedere i cinque anni.

Posto che di tale disciplina viene esclusa l'applicazione in riferimento sia ai procedimenti relativi ai reati di associazione mafiosa e di sequestro di persona a scopo di estorsione, sia ai procedimenti a carico di delinquenti professionali, abituali o recidivi, qualora la pena ecceda i due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, gli effetti dell'applicazione della pena su richiesta previsti dall'art. 445 cod. proc. pen ( esclusione della condanna dell'imputato al pagamento delle spese del procedimento; esclusione dell'applicazione di pene accessorie e misure di sicurezza ad eccezione della confisca, nei casi previsti dall'art. 240 cod. pen.) si producono allorquando la pena irrogata non supera i due anni di pena detentiva, soli o congiunti a pena pecuniaria.

Rimane poi ferma la previsione in forza della quale la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. risulta, salvo diverse disposizioni di legge, equiparata ad una sentenza di condanna. Sicuramente, il più significativo elemento di novità introdotto dalla riforma riguarda il momento in cui la richiesta di patteggiamento può essere avanzata: appartenendo infatti il patteggiamento alla categoria di riti speciali caratterizzati dall'assenza del dibattimento, l'art. 446 cod. proc. pen. delinea l'udienza preliminare come la sede naturale di formazione dell'accordo tra le parti da cui poi deriva la richiesta di applicazione della pena, individuando nella presentazione delle conclusioni ex art. 421 comma 3 e 422 comma 3 cod. proc. pen. il termine ultimo per la formulazione della sopra citata richiesta.

Prevede poi l'art. 448 cod. proc. pen. che, in caso di dissenso del P.M. rispetto ad una proposta di accordo da parte dell'imputato o di rigetto da parte del giudice dell'ipotesi di patteggiamento prospettata dalle parti, l'imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento: qualora il giudice la ritenga fondata, procede immediatamente alla pronuncia della sentenza.

Contravvenendo ai principi basilari della costruzione appena esposta, l'art. 5 della legge 134/2003 statuisce che, per i processi giunti nel pieno della fase dibattimentale, l'imputato o il P.M. possono avanzare, nella prima udienza utile successiva all'entrata in vigore della presente legge una richiesta di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen. nuovo testo, e ciò "anche quando sia già stata presentata tale richiesta, ma vi sia stato il dissenso del P.M. o la richiesta sia stata rigettata da parte del giudice e sempre che la nuova richiesta non costituisca una mera riproposizione della precedente".

Colpisce poi il disposto del comma 2 dello stesso articolo, il quale dispone che "su richiesta dell'imputato, il dibattimento è sospeso per un periodo non inferiore a 45 giorni per valutare l'opportunità della richiesta". Durante tale periodo di sospensione, sono sospesi anche i termini di prescrizione e quelli di custodia cautelare.

Detto che la legge considera la sospensione in esame una conseguenza automatica della richiesta dell'imputato, non venendo riconosciuta al giudice alcuna discrezionalità in ordine alla disposizione della medesima, la recente prassi giurisprudenziale ha confermato che la medesima sospensione debba essere accordata all'imputato anche nell'ipotesi in cui il P.M. manifesti preventivamente il proprio dissenso in riferimento ad ogni possibile richiesta di patteggiamento.

Tale orientamento, apparentemente non in sintonia con la natura dell'istituto, già qualificato in termini di accordo inter partes, si giustifica però in base alla previsione del precedentemente citato art. 448 cod. proc. pen. , laddove si afferma che il giudice, dopo la chiusura del dibattimento o in sede di giudizio di impugnazione, possa nella sentenza applicare la pena richiesta dall'imputato, ritenendo fondata la proposta di patteggiamento e individuando come ingiustificato il diniego manifestato riguardo la medesima dal P.M. o il rigetto pronunciato dal GUP.

Come sopra ho accennato, avverso la presente disposizione sono già stati avanzati i primi rilievi di illegittimità costituzionale: premesso infatti che il termine di sospensione di 45 giorni a disposizione dell'imputato appare collidere con quella che è la funzione deflativa propria del procedimento in esame, anche in considerazione del fatto che, in caso di mancata presentazione della richiesta al termine del suddetto periodo di sospensione o di successivo rigetto della medesima, il processo avrebbe subito un prolungamento tanto consistente quanto inutile, costituisce, a mio modesto avviso, una chiara violazione del principio della ragionevole durata del processo consacrato dal comma 2 dell'art. 111 cost. la previsione secondo cui, nel silenzio della legge, della sospensione possono beneficiare anche quegli imputati che, pur avendo avuto, in base alla disciplina previdente, l'opportunità di patteggiare la pena in sede preliminare, abbiano preferito non avanzare la relativa richiesta ed affrontare conseguentemente il dibattimento.

In tal senso, un intervento della Corte Costituzionale, consistente in una pronuncia di tipo additivo, può essere ancora una volta un rimedio utile a colmare le lacune presenti nell'opera del legislatore. .

Bollettino Osservatorio

*Dottore in giurisprudenza, referente Osservatorio Onlus Cagliari

__________________________

I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE COPIATI
CITANDO E LINKANDO LA FONTE