NOTIZIARIO 18 gennaio 2003

 
     

Nella Repubblica delle banane
forse avremo il bollino blu

di Rita Guma

Il dibattito sulla libera informazione e' di grande interesse per l'Osservatorio sulla legalita', che da molto tempo si impegna su questo fronte con eventi, con un piano teso a pubblicizzare e diffondere testate di libera informazione e con uno specifico dossier costantemente aggiornato.
In questo dibattito si inseriscono alcune vicende di cronaca dai toni contrastanti.

L'Italia è stata tempo fa condannata dalla Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo per violazione dell'art 10 della Convenzione dei diritti dell'Uomo in tema di libertà di espressione in merito alla vicenda che vedeva contrapposti il giornalista de "Il Giornale" Perna e Giancarlo Caselli, il quale lo aveva querelato per diffamazione. Sul fronte opposto, oltre ai noti episodi che hanno visto l'allontanamento di alcuni noti giornalisti televisivi, Berlusconi ha richiesto a Luttazzi, Freccero e Travaglio 20 miliardi per la trasmissione televisiva Satyricon, mentre allo stesso Travaglio e' stato pignorato un terzo dello stipendio a causa di una querela avanzata da Cesare Previti.

Ed ancora, la commissione del Senato ha recentemente sancito che i parlamentari possono, sempre ed in ogni sede, esprimere la propria opinione, senza poter essere perseguiti per diffamazione, a causa dell'immunita' parlamentare. Una forzatura che trasforma un principio che era stato introdotto in Costituzione in difesa della liberta' di espressione dei rappresentanti del popolo, in licenza di "uccidere" (dato che ne uccide piu' la lingua che la spada).

Molti sono i casi di reali o presunte lesioni dell'immagine altrui. Sicuramente tante sono le querele per diffamazione presentate da presunte vittime e le denunce pubbliche di limitazione della liberta' di espressione da parte di giornalisti o associazioni. A questa situazione si sovrappone il problema del conflitto d'interessi e dell'egemonia radiotelevisiva da lato, quello della liberta' d'informazione in internet dall'altro.

In realta' molti pensano che internet offra la possibilita' di fare cio' che si vuole, ma non e' cosi', perche', ove mancasse una specifica normativa, vi sono le sentenze recenti che fanno giurisprudenza e che stanno comunque regolamentando il settore. Ad esempio il reato di diffamazione e' esteso ad internet, anche se il provider di cui il webmaster italiano si avvale si trovasse all'estero. Inoltre si sta operando legislativamente su due fronti: da un lato la corresponsabilizzazione dei provider per i contenuti dei siti che comporterebbe, a giudizio dei critici del provvedimento, un timore da parte dei provider a concedere i propri spazi, con conseguente migrazione verso l'estero della clientela italiana e danno economico per i provider. Io ritengo tale rischio minimo, a patto che la responsabilita' sia civile, e non penale. In tal caso vi sara' solo un innalzamento dei costi, dovuto al fatto che, come tanti altri prestatori di servizi, i provider stipuleranno assicurazioni che li garantiscano nei casi suddetti.

Sull'altro fronte vi e' una proposta che mira a concedere un "bollino blu" di autenticita' ai siti informativi, a patto che i responsabili siano regolarmente iscritti all'albo dei giornalisti. E' una legge sostenuta dai giornalisti ma contestata dal popolo di internet con la motivazione che limiterebbe la liberta' di informazione. In realta' il limite di questa seconda legge e' anche qui economico, in quanto oggi la legge sulla stampa periodica prevede il pagamento dei contributi per i collaboratori di testate registrate, quindi, quand'anche un giornalista si prestasse gratuitamente per una buona causa, sarebbe necessario pagare i contributi a tutte le persone coinvolte nella redazione del sito informativo, il che contrasta con il basso costo che oggi caratterizza la rete.

Sul piano del principio, inizialmente mi pareva ingiusto differenziare l'informazione "buona" da quella "cattiva", anche perche' l'assenza di un giornalista responsabile non mi sembra possa automaticamente rendere inattendibili i contenuti di un sito informativo, ne' che si possa dire il contrario in presenza di un giornalista. In primo luogo ritengo che la citazione della fonte non sia di per se' garanzia di certezza del fatto narrato, ma solo garanzia di rispetto per il diritto d'autore. Se riporto da una testata registrata nazionale un articolo che esprime una posizione di parte o narra un episodio per lo piu' con ipotesi non documentate, fornisco un'informazione parziale, pur citando la fonte. Cio' significa (o viene letto) come condivisione dei contenuti dell'articolo, ed e' quindi giusto che ne venga considerato compartecipe, dato che regola del buon giornalismo sarebbe la documentazione delle affermazioni e la presentazione delle versioni, anche contrapposte, di tutti gli interessati.

A sostegno di tale tesi vi sono tre precedenti: una sentenza di primo grado del Tribunale civile di Palermo che ha condannato Umberto Santino, presidente del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", al risarcimento danni per diffamazione a mezzo stampa verso l'ex ministro Calogero Mannino per la pubblicazione di alcuni stralci di un "testo anonimo" nel libro "L'alleanza e il compromesso" edito nel '97. Nonostante l'autore si fosse limitato ad analizzare criticamente quel documento, con una affermazione esplicita sul fatto che esso proviene "più o meno direttamente da ambienti mafiosi", e nonostante quel testo, circolato nel '92 subito dopo la strage di Capaci, fosse già stato integralmente e ripetutamente pubblicato da altri, Santino è stato condannato a pagare circa 20 milioni di lire. Lo stesso ex ministro ha anche richiesto due miliardi di vecchie lire ad Alfredo Galasso, docente di diritto civile presso l'Università di Palermo, per aver riportato il medesimo testo anonimo nel libro "La mafia politica", pubblicato nel '93. Infine Silvio Berlusconi ha citato La Repubblica in solido con The Economist per aver riportato, citando la fonte, il famoso articolo pubblicato alcuni mesi fa dalla testata britannica, ed in cui veniva compiuta un'analisi (fatti e opinioni) sulla sua ascesa al potere e sui processi che lo hanno visto protagonista.

Occorre poi riflettere sul fatto che, mentre siti come l'Osservatorio o quelli di altre associazioni che si pongono l'obiettivo della veridicita' dei contenuti solo casualmente possono incorrere in errore, in rete vi e' una enorme quantita' di siti che per le ragioni piu' varie (superficialita', ignoranza, incapacita' di documentarsi, fanatismo, disonesta', necessita' di fare "audience"...) "vendono" per buone informazioni rabberciate, riciclate, parziali o distorte. Se dobbiamo essere solidali con chi viene attaccato o condannato per aver diffuso fatti provati, forti dubbi devono venirci nel caso di mere opinioni o informazioni errate riportate anche in buona fede. E' vero che ciascun sito e' registrato a nome di qualcuno (ma la verifica e' sicura solo per i siti .it) ma cio' vuol dire solo che il responsabile dell'errore (o della dolosa diffusione di disinformazioni) sarebbe identificabile e quindi perseguibile. Intanto, pero', il danno sarebbe gia' stato fatto, la persona (o l'associazione) colpita sarebbe danneggiata e l'informazione incriminata diffusa di sito in sito.

Il bollino blu garantirebbe invece che l'informazione e' stata raccolta e trattata da professionisti, cioe' da persone che sanno come si fa e che devono rispettare, per mestiere, un preciso codice deontologico. Gli altri potrebbero continuare ad esprimere la propria opinione liberamente, ma il lettore saprebbe che se vi sono fatti narrati o dichiarazioni di terzi, questi potrebbero essere non veri o imprecisi o parziali, o comunque valuterebbe in base alla propria opinione sull'affidabilita' del sito. Un po' come la laurea in medicina garantisce che il chirurgo ha studiato per operare e, se e' vero che vi sono anche medici incapaci e bravi guaritori non laureati o giornalisti scorretti ed ottimi opinionisti non iscritti all'albo, e' anche vero che la calunnia puo' perfino uccidere, proprio come un bisturi...

Noi dell'Osservatorio operiamo come associazione, e quindi non riceveremmo il bollino blu, il che non desta sospetti sulla convinzione che ho epresso. Potremmo invece pensare che l'ordine dei giornalisti voglia questo bollino per ragioni d'interesse, quali l'ampliamento del mercato derivante da questa "etichetta" o la riduzione della concorrenza. Ma se questo forse e' l'intento di alcuni, per altri giornalisti affermati (anche alcuni che di querele - miliardarie - ne hanno subite a iosa) le motivazioni addottemi coincidono con quelle che ho gia' esposto.

Il problema non sarebbe quindi la liberta' di opinione, ma l'attendibilita' dei fatti narrati o il dubbio che non siano state messe a confronto le versioni contrapposte di due contendenti, dato che l'assenza di bollino blu non impedirebbe a chiccessia di esprimere tutte le opinioni che vuole (ed anche riportare la sua narrazione dei fatti), rispondendone ovviamente in prima persona. Posso parlare di diritto ad una libera informazione se la proteggo da chi la usa con disinvoltura o inesperienza. Chiunque deve poter esprimere la propria opinone ovunque, sempre senza ledere i diritti altrui, e chiunque deve potersi informare senza che sia leso il suo diritto a conoscere fatti certi. E' ovvio che bisogna vigilare affinche' queste leggi non diventino il primo passo per mettere il bavaglio all'informazione controcorrente, e questo e' un obiettivo anche dell'Osservatorio da diverso tempo.

Perche' l'informazione sia libera e completa, ritengo pero' indispensabile:
1) eliminare i monopoli ed i conflitti d'interesse nelle testate televisive e giornalistiche
2) ottenere contratti per i giornalisti che ne garantiscano l'indipendenza
3) distinguere i fatti e le notizie dalle opinoni (anche se espresse da giornalisti).

Per quanto riguarda il punto 1, credo sia evidente a tutti il guasto prodotto dal monopolio dell'informazione e dal conflitto d'interessi che la grava. Per quanto riguarda il punto 2 voglio ricordare il pericolo derivante ai giornalisti dipendenti dall'articolo 18, che, favorendo i licenziamenti senza la necessita' di dimostrare la giusta causa, fa pendere su di loro una spada di Damocle che li lega ancor piu' ai voleri dell'editore, libero di licenziarli in caso di opinoni sgradite. Per il punto 3 ci si puo' solo appellare all'onesta' di giornalisti, editori, e responsabili di siti internet, sui quali ho gia' parlato diffusamente piu' sopra.

Mancando questi requisiti si potrebbe giungere al paradosso che proprio l'assenza del bollino blu potrebbe essere considerata una garanzia di informazione piu' rispondente alla verita'.

Bollettino Osservatorio

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